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Covid, la lezione di Shanghai

20 Aprile 2022 - di Luca Ricolfi

In primo pianoSocietà

Presi tra la guerra in Ucraina e i timori per una nuova recessione, poca attenzione è stata data fin qui a quel che, da 3 settimane, sta succedendo in Cina. Alla fine del mese scorso la città di Shanghai, la più grande metropoli del paese (26 milioni di abitanti), è entrata in un durissimo lockdown, deciso dalla autorità per fermare l’esplosione dei contagi. Le due fasi previste, con blocco quasi totale delle attività prima nella parte orientale, poi in quella occidentale della città, non hanno funzionato. Inutile dare i dati dei contagiati e dei morti ufficiali (ieri sono stati annunciati i primi 3 decessi), perché fin dall’inizio della pandemia la Cina ha sempre comunicato dati lacunosi ed enormemente sottostimati. Quel che è certo, invece, è che la popolazione non ha gradito, e da un paio di settimane le proteste si moltiplicano: mancano il cibo e le medicine, i trasporti sono fermi, le attività economiche operano a bassissimo regime, le famiglie vengono separate appena si accerta un caso, i test sono obbligatori e chi li rifiuta viene sanzionato duramente. Per mantenere l’ordine pubblico è stato mobilitato l’esercito.

A tre settimane dall’inizio della crisi, una cosa sembra certa: la strategia cinese “Zero Covid”, basata su durissime misure di confinamento non appena si presenta un caso, non funziona più. Né a Shanghai, né nelle altre città in lockdown (circa 45, per quasi 400 milioni di abitanti, secondo la banca Nomura).

Perché quel che sembrava aver funzionato abbastanza bene, ora non funziona più?

Le spiegazioni possibili sono parecchie: la numerosità della popolazione, la scarsa qualità del vaccino cinese, la pressoché totale assenza di immunità naturale (effetto perverso di due anni di successi nel contenimento del contagio).

Ma la spiegazione principale, a mio parere, è un’altra. La ragione per cui la Cina è nei guai è che la strategia Zero Covid, che mira alla soppressione del virus attraverso un mix di misure (lockdown, tracciamento elettronico, test di massa), può funzionare solo finché la velocità di trasmissione del virus, misurata dal parametro R0, si mantiene al di sotto di una data soglia. Finché ciò accade, si può sperare di individuare tempestivamente i focolai, isolare i casi positivi, bloccare la diffusione del virus nel territorio. E infatti, fino alla fine dell’anno scorso, non mancavano le esperienze di successo, prime fra tutte quella della Nuova Zelanda (guidata dalla premier Jacinda Ardern), ma anche quelle degli altri paesi dell’estremo oriente e dell’emisfero meridionale: Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Australia, più il quasi-stato Hong Kong.

Il problema è che, da qualche mese, ad essere in difficoltà non è solo la Cina ma lo sono anche i paesi che, puntando sullo sradicamento del virus, erano andati piuttosto vicini all’obiettivo. Il fatto che, dalla fine del 2021, anche questi paesi siano alle prese con ondate di contagi e di morti senza precedenti, il fatto che anche la “prima della classe” Jacinda Ardern sia stata costretta a reintrodurre restrizioni nei viaggi da e per l’Australia, suggerisce che la vera spiegazione di quel che accade a Shanghai e in Cina è semplicemente che, con l’arrivo della variante omicron, la velocità di trasmissione del virus è salita al punto da rendere inefficace ogni strategia Zero Covid.

Basta un’occhiata ai diagrammi di evoluzione della pandemia nei 7 paesi leader nella strategia Zero Covid per rendersene conto: l’impennata dei contagi si sviluppa nei primi mesi del 2022, quando la variante omicron, che ha un R0 prossimo a 10,  soppianta la variante delta, il cui R0 era “appena” 5.

Tutto questo significa che, fino alla variante delta, pur più trasmissibile di alfa, a sua volta più trasmissibile della variante di Wuhan, la strategia Zero Covid era un’opzione sul tavolo. Pochi paesi, fra cui la Cina e i “magnifici 7” guidati dalla Nuova Zelanda, l’avevano adottata, ma quelli che l’avevano fatto avevano raccolto i frutti dei loro sacrifici.

Oggi non più. Oggi i paesi che avevano puntato a sradicare il virus stanno interrogandosi su come gestire una pandemia che non si può stroncare nemmeno con il più duro dei lockdown. Pochi giorni fa la premier neozelandese Jacinda Ardern ha annunziato la riapertura dei collegamenti con l’Australia, interrotti l’estate scorsa per contrastare l’arrivo della variante delta. Solo la Cina, con il presidente Xi Jinping, ribadisce l’obiettivo Zero Covid, a dispetto del disastro di Shanghai.

Per imparare la lezione, a quanto pare, gli occorrerà ancora un po’ di tempo.

Controlled Mechanical Ventilation (CMV) works

25 Marzo 2022 - di fondazioneHume

Data AnalysisSpeciale

Controlled Mechanical Ventilation (CMV) works

 

  1. Research

The Marche Region financed, in March 2021, a tender for the purchase and installation of Controlled Mechanical Ventilation (CMV) systems in school classrooms. The aim was to ensure face-to-face lessons, as the available scientific evidence indicated that Controlled Mechanical Ventilation (CMV) was an effective tool to counter the spread of Sars-CoV-2, reducing the permanence of pollutants in the air. The applications were  187, for a total of 3,027 classrooms distributed in 323 schools in the Marche region, for a funded amount of 9 million euros. The first schools benefiting from the funding, set up mechanical ventilation systems during the summer period, in order to start school with active and properly functioning equipment. On this basis, with the collaboration of Hume Foundation, in 2021/2022 a study was developed allowing the comparison between two sets of observations:

1) In the first group: classes with the installation of Controlled Mechanical Ventilation (more than 300, 3% of the classes total)

2) In the second set: classes without mechanical ventilation.

This comparison was structured by analyzing the incidence data (the new positive cases) from Sars-CoV-2 in the two sets under observation (classes with CMV vs classes without ventilation) involving all school levels, from kindergarten to upper secondary school.

On this premise, the Hume Foundation asked the Marche Region to analyze the data collected, in order to estimate the effectiveness of CMV in counteracting the infection’s transmission.

For this purpose, a number of mathematical-statistical models have been built, designed to assess the impact of CMV on the transmission risk, net of other effects such as the order of the school and the number of pupils per class.

  1. Methods

To estimate the effectiveness of the CMV, two transmission indicators in particular were used, both based on the cases clusters count (2 or more cases within the same class). The impact of CMV was evaluated both in a rough way, i.e. by comparing the values ​​of the two indicators on homogeneous class groups in terms of air changes per hour, and with regression techniques, keeping under control the number of pupils per class and the type of school.

Among the many estimates of the CMV effectiveness obtained, the most conservative were usually selected.

  1. Main result

The risk of transmission can be estimated by calculating, for each class, the ratio between the number of cases related to infections occurring within the class and the number of exposed, ie pupils per class.

By setting the indicator value for classes without CMV to 100, you can determine the relative risk of infection for classrooms equipped with CMV. This ratio is equal to 37.2%, which means that the presence of CMV reduces the risk of transmission by a factor close to 3 (average indicator).

The maximum capacity of the devices installed varies considerably from school to school, in a range that goes from 100 to 1000 cubic meters-hour. If we distinguish the classes on the capacity of the installed systems, we discover that the relative risk can drop to a value more or less between 5 and 6 if the flow rate exceeds 750 cubic meters per hour, which is equivalent – approximately – to 5 changes per hour. .

All this can be summarized by calculating how the risk reduction factor increases as the quality of CMV increases, measured by the number of air changes.

As indicated in table 1, the transmission indicator varies based on the presence of schools with CMV / without CMV or with a different flow rate of cubic meters / hour. A change in efficacy is observed from: 40% correlated to a turnover / hour of 0.67-3.33, to a 66.8% efficacy correlated with 3.33 – 4.67 replacement / hour at 82.5 % efficacy with 4.67-6.66 replacement / hour.

It’s clear that the CMV, especially if adequately sized (6 or more air changes-hour), has the ability to reduce the Sars-CoV-2 infection risk by over 80%. Using it in schools, we could switch from an incidence rate of 250 per 100,000 (risk threshold identified by the Ministry) to a rate of 50 per 100,000.

Surprisingly, the risk reduction factor (between 5 and 6), inferred from this field research, corresponds perfectly to that obtained from the studies of engineers and air quality experts, based on controlled experiments (see Mikszewski, A., Stabile, L., Buonanno, G., Morawska, L., Increased close proximity airborne transmission of the SARS-CoV-2 Delta variant, “Science of the Total Environment”, 816, 2022).

 

  1. Data information

The final data set is a file with 10465 records (equal to the number of classes), each described by 21 variables (plus the class and school identification fields).

The fundamental variables that describe each class are the following:

– province

– plexus

– school order

– section

– year

– number of pupils in the class

– number of positive students in 12 different periods

– presence / absence of the CMV

– CMV plant brand

– CMV system model

The 12 periods correspond to the weeks, except for the initial one, which runs from 13 September to 10 October, and the final one, which runs from 7 to 31 January.

The classes considered are all those without CMV (10125), plus all those with CMV since 13 September (316 out of 340): in all 10441 classes.

Finally, here is some brief information on the classes considered.

For this first phase of the study, the percentage of classes taken into consideration is equal to 3% of the total.

 

La ventilazione meccanica controllata (Vmc) funziona

24 Marzo 2022 - di fondazioneHume

Data AnalysisIn primo piano
Conferenza stampa 22 marzo 2022

 

La ventilazione meccanica controllata (Vmc) funziona

  1. La ricerca

La Regione Marche ha finanziato, nel marzo 2021, un bando per l’acquisto e l’installazione degli impianti di Ventilazione Meccanica Controllata (VMC) nelle aule scolastiche. L’intervento era finalizzato a garantire le lezioni in presenza, in quanto le evidenze scientifiche disponibili indicavano nella Ventilazione Meccanica Controllata (VMC) un efficace strumento per contrastare la diffusione di Sars-CoV-2, riducendo la permanenza degli elementi inquinanti nell’aria. Le domande risultavano essere complessivamente n.187, per un totale 3.027 aule distribuite in 323 scuole marchigiane, per un importo finanziato di 9 milioni di euro. Le prime scuole beneficiarie del finanziamento, nel periodo estivo predisponevano gli impianti di ventilazione meccanica, al fine di iniziare l’anno scolastico con la strumentazione attiva e correttamente funzionante. Su queste basi nel 2021/2022 con la collaborazione della fondazione Hume, si è sviluppato uno studio che permetteva la comparazione tra due insiemi di osservazioni:

  • Nel primo insieme: le classi con l’istallazione della Ventilazione Meccanica Controllata VMC (più di 300, il 3% sul totale delle classi)
  • Nel secondo insieme: le classi senza la ventilazione meccanica.

Questa comparazione era strutturata analizzando i dati dell’incidenza (i nuovi casi positivi) da Sars-CoV-2 nei due insiemi oggetto di osservazione, classi con VMC vs classi senza ventilazione. Questo studio è stato strutturato attraverso il coinvolgimento di tutti gli ordini di scuola, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria superiore.

Su questa premessa la Fondazione Hume ha chiesto alla Regione Marche di poter analizzare i dati raccolti, in modo da stimare l’efficacia della VMC nel contrastare la trasmissione dell’infezione.

A questo scopo sono stati costruiti un certo numero di modelli matematico-statistici, atti a valutare l’impatto della VMC sul rischio di trasmissione, al netto di altri effetti quali l’ordine della scuola e il numero di alunni per classe.

 

  1. Metodi

Per stimare l’efficacia della Vmc sono stati usati 2 indicatori di trasmissione, basati sul conteggio dei cluster di casi (2 o più casi entro la medesima classe). L’impatto della Vmc è stato valutato sia in modo grezzo, ovvero confrontando i valori dei due indicatori su fasce di classi omogenee quanto al numero di ricambi-ora, sia con tecniche di regressione, tenendo sotto controllo il numero di alunni per classe e il tipo di scuola.

Fra le molte stime di efficacia della Vmc ottenute, di norma sono state selezionate le più prudenti.

  

  1. Risultato principale

Il rischio di trasmissione si può stimare calcolando, per ogni classe, il rapporto fra numero di casi attribuibile ad infezioni avvenute entro la classe e il numero di esposti, ossia di alunni per classe.

Ponendo a 100 il valore dell’indicatore per le classi prive di VMC si può determinare il rischio relativo di infezione per le aule dotate di VMC. Tale rapporto è pari al 37.2%, il che vuol dire che la presenza della VMC in classe abbatte il rischio di trasmissione di un fattore vicino a 3 (indicatore medio).

La portata massima degli apparecchi installati varia notevolmente da scuola a scuola, in un range che va da 100 a 1000 metri cubi-ora. Se distinguiamo le classi in base alla portata degli apparecchi installati, scopriamo che il rischio relativo può scendere intorno a un valore compreso fra 5 e 6 se la portata supera i 750 metri-cubi ora, il che equivale – approssimativamente – a 5 ricambi-ora.

Si può riassumere tutto questo calcolando come cresce il fattore di abbattimento del rischio man mano che sale la qualità della VMC, misurata dal numero di ricambi-ora.

Come indicato nella tabella 1.2 l’indicatore di trasmissione varia in base alla presenza di scuole con VMC/senza VMC o con una differente portata di metri cubi/ora della VMC. Si osserva una variazione dell’efficacia da: 40% correlata ad un ricambio/ora di 0,67-3,33, ad un 66,8% di efficacia correlata a 3,33 – 4,67 ricambio/ora a 82,5% di efficacia con 4,67-6,66 ricambio/ora.

Si vede bene che la VMC, specie se adeguatamente dimensionata (6 o più ricambi-ora), ha una capacità di abbattere il rischio di infezione da Sars-CoV-2 di oltre l’80%. Utilizzandola nelle scuole, si potrebbe passare da un tasso di Incidenza di 250 su 100.000 (soglia di rischio individuata dal Ministero) a un tasso di 50 su 100.000 con l’abbattimento di massimo di efficacia.

Sorprendentemente, il fattore di abbattimento del rischio (compreso fra 5 e 6), desunto da questa ricerca sul campo, corrisponde perfettamente a quello ricavabile dagli studi degli ingegneri ed esperti di qualità dell’aria, basati su esperimenti controllati (vedi

Mikszewski, A., Stabile, L., Buonanno, G., Morawska, L., Increased close proximity airborne transmission of the SARS-CoV-2 Delta variant, Science of the Total Environment, 816, 2022).

 

  1. Notizie sui dati

Il data set finale è costituito da un file con 10465 record (pari al numero delle classi), ciascuno descritto da 21 variabili (più i campi identificativi della classe e della scuola).

Le variabili fondamentali che descrivono ogni classe sono le seguenti:

  • provincia
  • plesso
  • ordine della scuola
  • sezione
  • annualità
  • numero di alunni della classe
  • numero di studenti positivi in 12 periodi diversi
  • presenza/assenza della VMC
  • marca impianto VMC
  • modello impianto VMC

I 12 periodi considerati corrispondono alle settimane, salvo il periodo iniziale, che va dal 13 settembre al 10 ottobre, e il periodo finale, che va dal 7 al 31 gennaio.

Le classi considerate sono tutte quelle senza Vmc (10125), più tutte quelle dotate di Vmc fin dal 13 settembre (316 su 340): in tutto 10441 classi.

Infine, ecco alcune informazioni sintetiche sulle classi considerate.

Per questa prima fase di studio, la percentuale di classi presa in esame è pari al 3% del totale.

L’analisi completa sarà disponibile nei prossimi giorni

A due anni da Codogno – 10 domande al CTS e alle autorità politiche

19 Febbraio 2022 - di Giorgio Buonanno - Luca Ricolfi

SocietàSpeciale

A due anni esatti dallo scoppio dell’epidemia (Codogno, 20 febbraio 2020), dopo oltre 150 mila morti, è giunto il momento che chi ha gestito l’epidemia risponda alle tante domande che finora non hanno trovato una risposta.

Ecco le dieci che ci paiono più importanti:

  1. Perché, all’inizio della pandemia, è stato dichiarato che l’Italia era “prontissima” ad affrontare il virus, nonostante il piano antipandemico del 2006 non fosse stato attuato, e tantomeno aggiornato?
  1. Perché, dopo aver preso in considerazione la chiusura immediata (primi giorni di marzo) della zona di Nembro e Alzano, si è rinunciato a metterla in atto?
  1. Perché è stata completamente ignorata la lettera aperta degli scienziati italiani che, fin dal 29 marzo del 2020, avevano suggerito di sostituire ai lockdown prolungati il protocollo dei paesi orientali, basato su test di massa, tracciamento elettronico e quarantene vere (non in famiglia)?
  1. Perché, almeno dopo il primo anno, non è stato creato un sistema di sorveglianza epidemiologica e allerta precoce nelle scuole?
  1. Perché nel Comitato-tecnico-scientifico sono stati esclusi ingegneri e studiosi di qualità dell’aria?
  1. Perché, nonostante le evidenze scientifiche disponibili fin dall’estate del 2020, è stata prima negata e poi trascurata la trasmissione aerea del virus?
  1. Perché, anche dopo il riconoscimento della trasmissione aerea del virus da parte dell’OMS (luglio 2020), il problema della messa in sicurezza degli ambienti chiusi non è mai stato affrontato in termini ingegneristici, ovvero garantendo, anche mediante la ventilazione meccanica controllata, la qualità dell’aria respirata?
  1. Perché gli interventi di messa in sicurezza da agenti patogeni respiratori negli ambienti chiusi non sono rientrati nel PNRR?
  1. Perché fino all’ultima parte del 2021 è stata negata la trasmissione del virus da parte dei vaccinati, salvo poi – erroneamente – considerarla trascurabile rispetto a quella dei non vaccinati?
  1. Perché la somministrazione della terza dose è iniziata solo a ottobre 2021 quando almeno da giugno, grazie ai dati israeliani, si conosceva la ridotta protezione temporale dei vaccini rispetto al rischio di contagio?

 

    Giorgio Buonanno – Luca Ricolfi

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Per chi vuole approfondire:

  1. Perché, nonostante le evidenze scientifiche disponibili fin dall’estate del 2020, è stata prima negata e poi trascurata la trasmissione aerea del virus?

https://www.who.int/news-room/commentaries/detail/transmission-of-sars-cov-2-implications-for-infection-prevention-precautions

https://www.who.int/news-room/questions-and-answers/item/coronavirus-disease-covid-19-how-is-it-transmitted

  1. Perché gli interventi di messa in sicurezza da agenti patogeni repiratori negli ambienti chiusi non sono rientrati nel PNRR?

 Morawska et al. (2021) A paradigm shift to combat indoor respiratory infection. Science, 372 (6543). pp. 689-691. ISSN 0036-8075).

  1. Perché fino all’ultima parte del 2021 è stata negata la trasmissione del virus da parte dei vaccinati, salvo poi – erroneamente – considerarla trascurabile rispetto a quella dei non vaccinati?

https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/variants/delta-variant.html

https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(21)00648-4/fulltext

 

Sui meccanismi di trasmissione di SARS-COV-2 (osservazioni critiche sull’articolo del prof. Saccani)

10 Febbraio 2022 - di Giorgio Buonanno

In primo pianoSocietà

Con riferimento all’articolo dal titolo ”Analisi della trasmissione di SARS-CoV-2: influenza delle condizioni termoigrometriche rispetto al rischio di diffusione del contagio” di C. Saccani et al., avrei piacere di condividere alcune osservazioni che limiterò, per motivi di tempo, alla parte iniziale.

1

Lo studio prende le mosse dalla constatazione che, allo stato dell’arte, manca una terminologia rigorosa e univocamente accettata nella letteratura tecnico-scientifica con riferimento alle modalità con cui può avvenire la trasmissione del contagio di SARS-CoV-2 e, in particolare, alle modalità di trasporto cosiddette “droplet” e “airborne”.

La trasmissione di agenti patogeni respiratori è una tematica dibattuta dai tempi degli antichi filosofi (https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3904176) ma da quasi 100 anni (si vedano il lavori di Wells del 1934) è nota per esperti di aerosol e ingegneri ambientali la dinamica delle goccioline emesse da un soggetto durante una attività metabolica e respiratoria. Non è accettabile (perché non è vero) affermare che non esiste una terminologia rigorosa a riguardo.

2

Partendo dalla definizione di una terminologia rigorosa ed univoca, attraverso l’applicazione un nuovo modello per lo studio della propagazione del contagio, lo studio, sulla base di valutazioni fisico-matematiche, dà ragione di come il contagio avvenga solo mediante goccioline, sole a poter veicolare efficacemente il virus.

E’ curioso che gli autori prima parlino di assenza di terminologia rigorosa e poi affermano che il contagio avvenga solo mediante goccioline. Cosa intendono per goccioline? Per gli studiosi di aerosol le goccioline altro non sono che particelle liquide, indipendentemente dalla loro dimensione. Per l’OMS, in una definizione sbagliata ormai corretta sulla base delle interazioni con la comunità scientifica degli studiosi dell’aerosol e degli ingegneri, le goccioline erano particelle con traiettoria balistica, soggette alla gravità, con dinamiche non dipendenti dall’ambienti circostante e con diametro > 5 µm.

3

Infatti, la gittata di una goccia emessa da un soggetto infetto, ovvero la distanza di sicurezza da mantenere per minimizzare il rischio di contagio, dipende da numerosi parametri fra i quali, di notevole importanza, il grado igrometrico dell’ambiente in cui questa, la goccia, si trova: da esso, infatti, dipende la velocità di evaporazione e, quindi, la sussistenza della goccia.

Pertanto, lo studio dimostra che il controllo del trasporto del contagio non può essere affrontato in assenza di controllo del grado igrometrico dell’ambiente in cui la goccia si muove: infatti, la definizione stessa di distanza di sicurezza perderebbe di significato in quanto la gocciolina potrebbe “sopravvivere” nell’ambiente con elevata umidità, anche per tempi lunghi e realizzando percorsi casuali, qualora le goccioline fossero al di sotto di certe dimensioni.

Come proposto da W. Wells quasi 100 anni fa, nel continuum di diametri delle particelle emesse è possibile ipotizzare due comportamenti differenti (in realtà il problema è molto più complesso perché viene emessa una nuvola di gas turbolento multifase e non singole particelle). Le goccioline più piccole (diametri inferiori a 100 µm), anche a seguito della rapidissima evaporazione tenderanno a galleggiare e a “riempire” l’ambiente chiuso circostante seguendo i moti convettivi dell’ambiente e percorrendo distanze non prevedibili solo sulla base della velocità di emissione. Le goccioline più grandi invece saranno soggette alla gravità (con scarsa influenza della evaporazione) e cadranno al suolo in prossimità del soggetto emettitore. Detto questo, trovo il testo completamente errato.

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A conclusione dello studio, è riportato un caso di studio che dimostra non solo la correlazione fra grado igrometrico e distanza di sicurezza ma anche che la trasmissione del contagio di tipo airborne, ovvero tramite virioni rilasciati a seguito di evaporazione della goccia, in virtù della loro bassissima concentrazione e del moto di tipo browniano che li caratterizza, abbia una probabilità del tutto trascurabile rispetto alla trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2.

 Ci sono una serie di errori condensati in queste poche righe. Il caso di studio non può dimostrare nulla perché parte da ipotesi sbagliate (al massimo è coerente con le ipotesi), non può esistere concettualmente una correlazione tra umidità (che vale per goccioline piccole, aerosol) e distanza di sicurezza per goccioline grandi (quelle definite dall’OMS come droplets), non esiste una dinamica dei virioni “nudi” con particelle di dimensioni ultrafini ma il risultato finale dell’evaporazione porta ai cosiddetti droplet nuclei con diametri attorno a 1-4 µm, non si capisce da dove viene la bassissima concentrazione e i moti browniani e soprattutto la presunzione che il contagio non dipenda dall’aerosol.

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Modalità di trasporto cosiddetta airborne: definita come quella modalità di trasporto in cui la particella solida che ospita il virione risulti aerotrasportata, ovvero, il cui movimento sia conseguente al moto della corrente fluida che la trasporta.

La massa virale è parte del nucleo di una particella liquida (gocciolina) che conserva anche a seguito della evaporazione dimensioni micrometriche. Non si capisce quale sarebbe la particella solida che trasporta il virione.

6

Trasmissione del contagio attraverso aerosol, in accordo alla definizione fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): “Aerosol transmission refers to the possibility that fine aerosol particles,…., which are generally considered to be particles <5μm in diameter, remain airborne for prolonged periods and be transmitted to others over distances greater than 1 m” (OMS, 2020).

Dalle due definizioni non è chiaro se ci si riferisca a particelle così fini da rimanere in sospensione in aria calma come conseguenza di moti Browniani, ovvero senza componente di moto del fluido di trasporto, oppure se le definizioni includano anche particelle di dimensioni più grandi ed in movimento in sospensione fluida come conseguenza della velocità di trascinamento della corrente che le trasporta.

La definizione dell’OMS era sicuramente errata (si veda quanto riportato in https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3904176) ma l’errore storico è stato quello di associare la condizione di trasmissione aerea a quella di maggiore efficacia di deposizione nella zona tracheo-bronchiale (5 µm). I moti Browniani non sono parte di questo discorso.

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Chi scrive ritiene che la terminologia migliore, in quanto rigorosa, univoca e più adatta allo studio dei modelli che si riferiscono alla propagazione ambientale delle particelle, sia la seguente:

Airborne: si definisce come tale il trasporto di particelle solide in sospensione fluida nell’ambiente considerato, comunque esse siano trasportate, ossia indipendentemente dalla velocità di trasporto della corrente fluida che le contiene, comprendendo quindi anche il trasporto di particelle ultrafini soggette a moti browniani;

Droplet: si definisce come tale il trasporto di goccioline nell’ambiente esaminato, indipendentemente dalla dimensione e comunque esse siano

Per aerosol si intende una sospensione metastabile di particelle solide o liquide disperse in un fluido. Droplet è una particella liquida. Queste sono definizione rigorose ed accettate ed autori non del settore non possono pensare di proporre definizioni (queste si) senza senso.

8

Si fa presente che molta della letteratura scientifica attuale, in particolare per la trasmissione del virus SARS-CoV-2, fa riferimento alla modalità cosiddetta “airborne” anche per indicare emissione da parte dei soggetti infetti di goccioline di secrezioni ultrafini (dimensioni <5 micron) (come ad esempio nella lettera firmata da 239 ricercatori indirizzata alla WHO) (Morawska et al. 2020) [239 ricercatori]. Ciò provocherebbe confusione quando ci si addentrasse nell’analisi termo fluidodinamica che segue in quanto la gocciolina rappresenta una massa potenzialmente variabile, in funzione delle caratteristiche ambientali, mentre non è così per la particella solida.

Devo dire che ho fatto fatica a capire quanto riportato, nonostante sia stato uno dei 36 studiosi che ha scritto la lettera poi firmata da 239 studiosi. Facciamo riferimento alla trasmissione aerea perché questa è la modalità di trasmissione. Riguarda particelle in emissione fino a diametri di circa 100 µm (e non 5 µm come per l’OMS). E la nostra lettera ha provocato talmente confusione (!?!) che l’OMS ha cambiato approccio in modo epocale e ha riconosciuto la trasmissione aerea.

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La classificazione che individua la trasmissione droplet indipendentemente dalla dimensione delle goccioline, esclude in maniera chiara e univoca il particolato solido come vettore di potenziale contagio (Bontempi, 2020; Domingo et al., 2020).

Qui ho capito le mie difficoltà di comprensione e concludo i miei commenti. Gli autori fanno riferimento al fantomatico trasporto del virus con il particolato, ovvero quella dinamica cavalcata in modo speculativo dalla SIMA (Società Italiana Medici dell’Ambiente) e da altri autori che ipotizzava, senza alcuna competenza della materia, il contagio all’aperto su grandi distanze (https://www.scienzainrete.it/articolo/inquinamento-e-covid-due-vaghi-indizi-non-fanno-prova/stefano-caserini-cinzia-perrino). Una sorta di ritorno alla teoria dei miasmi…

In conclusione ritengo che l’articolo pubblicato sul sito della Fondazione Hume non abbia basi scientifiche e presenti numerosi errori logici e scientifici.

Prof. Giorgio Buonanno

Università di Cassino e del Lazio Meridionale

Queensland University of Technology, Brisbane, Australia

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