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Follemente corretto – LGBTQIAPK+

18 Luglio 2024 - di Luca Ricolfi

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Che fra sesso e cibo vi sia una stretta relazione è noto da tempo: medici, psicologi, sessuologi ci spiegano che le aree del cervello attivate sono le stesse, e che il meccanismo chiave del piacere è il rilascio di dopamina. E certo non stupisce il fatto
che, nelle nostre società opulente, in cui la maggior parte della popolazione si è lasciata alle spalle i problemi della mera sussistenza, una quota altissima della vita sociale sia dedicata al cibo e al sesso, processati, ostentati, condivisi in innumerevoli
forme e varianti. Sul versante del food: ricette di cucina, tornei fra aspiranti chef, festival gastronomici, circolazione impazzita di foto che riprendono quel che si sta mangiando o cucinando. Sul versante del sesso: sfruttamento intensivo del corpo femminile nella pubblicità e nel cinema, pornografia on line, sexting (invio di immagini osé) più o meno spinto e più o meno precoce. Cibo e sesso sono diventati i capisaldi delle nostre società, e occupano una frazione sempre maggiore del nostro tempo.

Non è una novità. È dagli anni ’80, dalla stagione del riflusso nel privato, che il trend è quello. Però c’è una differenza, fra allora e oggi. Allora la società edonistica, basata sul piacere, sul sesso e sul cibo, era vista come una espressione delle politiche liberiste di Reagan e della signora Thatcher, una equazione che, nel decennio successivo, parrà confermata con l’ascesa di Berlusconi e della tv commerciale, visti come coronamento e perfetti interpreti dell’ “Edonismo Reaganiano” (copyright Roberto D’Agostino). L’ossessione per il sesso, insomma, era una cosa di destra. Oggi non più. Oggi il sesso, anzi le infinite sfumature della sessualità, in tutte le loro manifestazioni – orientamento sessuale, identità di genere, percezione del corpo, relazioni di coppia, genitorialità, aspirazioni e fantasie varie – hanno progressivamente monopolizzato l’attenzione del mondo progressista. Se nel primo ventennio della seconda Repubblica il sesso e tutto ciò che gli ruota intorno sono stati la marca distintiva del berlusconismo, dalla metà degli anni ’90 l’ossessione sessuale ha cambiato campo e forma: da allora è nel mondo della sinistra che le tematiche del sesso e del genere trovano sempre più spazio e ascolto. Alle lotte per i diritti sociali, centrate sugli interessi dei ceti popolari, subentrano quelle per i diritti civili, a partire da quelli di due specifiche minoranze sessuali: i gay e le lesbiche. Poco per volta, la stella polare dell’uguaglianza, che aveva sempre guidato i partiti progressisti, cede il passo a quella dell’inclusione.
Ma che vuol dire inclusione?

Apparentemente, significa allungamento della lista delle minoranze sessuali protette. Prima GLB, ossia gay, lesbiche e bisessuali. Poi, in omaggio al gentil sesso, LGB, ossia la medesima sigla a 3 lettere con inversione di posto fra G di gay e L di lesbiche. Poi LGBT, con l’aggiunta della T di transessuali. Fin qui tutto abbastanza chiaro e comprensibile. Le lotte a tutela di queste minoranze hanno condotto, in molti paesi, a riconoscere sempre nuovi diritti, talora anche per altre categorie: matrimonio ugualitario, unioni civili, leggi a supporto della genitorialità (adozioni, fecondazione in vitro, inseminazione artificiale), legalizzazione della gestazione per altri (GPA), leggi per favorire il cambiamento di sesso, nuovi reati per punire i crimini d’odio verso le varie minoranze sessuali. Poi però le cose hanno preso una piega strana. La sigla LGBT si è arricchita di nuove lettere: Q per queer (o questioning), I per intersessuale, A per asessuale, da cui l’acronimo allungato LGBTQIA+, il più usato degli ultimi anni. E infine ci sono le proposte più audaci, che da qualche tempo insistono per allungare ancora la lista delle minoranze sessuali con le lettere P di pansessuale e K di kinky, fino all’acronimo-mostro LBGTQIAPK+.

Vediamo il significato di alcune di queste parole recenti. La parola queer allude all’incertezza sulla propria identità sessuale o di genere. Asessuale vuol dire persona che non ha interesse per il sesso. Pansessuale, che prova attrazione per persone di qualsiasi sesso: maschi, femmine, non binari. Kinky che è appassionato di pratiche sessuali non convenzionali (comprese quelle sadomaso).

Siamo sicuri che tutte le lettere del super-acronimo individuino categorie oppresse, perseguitate, vittime di odio, e quindi degne di protezione? Che senso ha, con tutte le minoranze fragili, oppresse, emarginate, iper-sfruttate che affollano la vita sociale,
continuare ad allungare la lista delle minoranze sessuali? Perché la sinistra, come a suo tempo (e a modo suo) la destra, è così ossessionata dai problemi del sesso?

[Articolo uscito sulla Ragione il 17 luglio 2024]

Sinistre in fuga dal centro

17 Giugno 2024 - di Dino Cofrancesco

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Le elezioni europee dell’8-9 giugno hanno confermato la crisi profonda in cui versa la democrazia italiana: che si tratti di ’mal comune mezzo gaudio’ non consola molto, dimostrando solo come il nostro abbia reazioni sempre più simili a quelle degli altri paesi dell’area euro-occidentale.

Quali sono i sintomi più gravi della malattia? Ne elenco solo due.

Il primo è la spaccatura profonda che da anni divide ormai le nostre società civili. In Italia alla coalizione di centro-destra, egemonizzata da un partito postfascista che ha espresso una sincera adesione ai valori della democrazia liberale, e si trova a Palazzo Chigi, grazie a due alleati, Forza Italia – una formazione centrista della cui anima liberale nessuno potrebbe dubitare – e la Lega Salvini – un composito movimento populista che non ha affatto tradito le sue origini, come attestano le sue battaglie per le autonomie differenziate; corrisponde una coalizione egemonizzata da un PD, quello di Elly Schlein, sempre più lontana da una filosofia riformistica e costantemente tentata da un’alleanza, più o meno organica col Movimento 5 Stelle, che al suo qualunquismo (né destra/né sinistra) dovette i suoi inaspettati successi elettorali, e che oggi, con Giuseppe Conte, fa pensare a un neo-peronismo giustizialista. Ancora più a sinistra si colloca l’Alleanza Verdi Sinistra (vicina a un non trascurabile 7%) che con
il liberalismo classico non ha alcun rapporto (non è, a mio avviso, una colpa).

Le sinistre unite hanno retto all’onda lunga della destra grazie anche ai grandi quotidiani, che un tempo si dicevano dei padroni’, come quelli del Gruppo Gedi («Stampa», «Repubblica» etc.) e a una stampa furiosamente antigovernativa, tipo «Domani» e «Il Fatto quotidiano». Partiti, stampa, movimenti di protesta, finte associazioni ecologiche – che, in realtà riversano sul nemico di sempre, il capitalismo, le loro apprensioni per gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici – centri sociali vari, associazioni LGBT, pacifisti scatenati contro il sionismo, minoranze universitarie emule del ’68, aficionados di Ilaria Salis, parrocchie ribelli: è, questo, un mondo vario e composito che attesta che la sinistra è viva e vegeta e nulla ha perso delle sue caratteristiche d’antan.     È una constatazione, la mia, che non ha nulla di moralistico: il mondo è pieno di valori in conflitto e la loro dialettica è il sale della democrazia. E tuttavia, ci si chiede, può una democrazia ‘a norma’ sopravvivere quando gli attori principali in competizione trovano consensi elettorali allontanandosi dal centro? È una buona notizia che i riformisti e gli ex margheritini del PD siano destinati ad essere emarginati? Che le sinistre parlino con la voce di Claudia Fusani, di Daniela Preziosi, di Massimo
Giannini, di Ezio Mauro? Che le ali mediane del sistema politico, Azione di Carlo Calenda o Stati Uniti di Europa del duo Emma Bonino/Matteo Renzi non abbiano alcun potere di riassestare verso il centro l’asse della politica italiana? (Negli ultimi tempi della campagna elettorale, va pur detto, le loro critiche al governo erano così spietate da portare acqua al mulino di Elly Schlein, allontanando potenziali elettori, pur lontani dalla Meloni, ma vicini a un’opposizione corretta e non delegittimante).

L’altro dato emerso dalle urne è anch’esso poco rassicurante.

«In queste elezioni, ha scritto Augusto Minzolini – la politica estera, in presenza di due guerre, ha pesato come non mai in passato». Verissimo, ma fa sorridere l’analisi l’editorialista del «Giornale» quando parla di Un voto contro Putin (ma in quale beato paradiso caraibico vive Minzolini?) e giudica la più grave sconfitta di un partito di governo che si sia verificata dal dopoguerra a oggi – quella subita in Francia da Macron e in Germania da Scholz – il prezzo pagati per “qualche fuga in
avanti” (sic!). In realtà, la difesa a oltranza dell’Ucraina e gli Stati Uniti d’Europa sono stati i cavalli di battaglia di columnists e di scienziati politici dei grandi quotidiani ma non hanno toccato nessun cuore. Ma di quale Europa stiamo parlando se gli stati del vecchio continente sono tutti appiattiti (ammettiamo pure, con qualche buona ragione) sulle direttive di Washington e della Nato,
se nelle guerre che si stanno svolgendo sotto le nostre case i rappresentanti degli stati europei si sono astenuti da ogni iniziativa autonoma, da ogni tentativo di contribuire al farsi degli eventi, sia pure a fianco della Casa Bianca? Stati Uniti d’Europa! Siamo europei! ma davvero si poteva credere che, con queste genericità retoriche, si sarebbero ottenuti i voti dell’uomo della strada?     In un esemplare editoriale del «Corriere della Sera» dell’8 giugno u.s., L’Europa non è solo un’idea, Ernesto Galli della Loggia ha fatto rilevare: «le élite europee hanno finito per credere (…) che per radicarsi e legittimarsi nella coscienza dei propri cittadini, bastassero i grandi principi e i vantaggi concreti assicurati dall’Unione. Ma nessun corpo politico è stato mai tenuto insieme solo
da queste cose».

Non mi sembra che questa saggezza storica faccia parte della political culture dei Calenda, dei Renzi, dei Della Vedova. Il contrappeso centrista e moderato al trionfo della sinistra tendenzialmente illiberale è affidato alle mani di attori politici moralmente e intellettualmente affetti dal morbo di Parkinson.

[commento elettorale uscito su Paradoxa-Forum il 13 giugno]

Doccia scozzese

8 Maggio 2024 - di fondazioneHume

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Che in materia di diritti l’Europa sia un ginepraio si vede a occhio nudo. Che si parli di aborto, matrimonio gay, identità di genere, cambio di sesso, eutanasia, le differenze sono abissali. Ma come dobbiamo leggere questa diversità?

Una lettura molto comune è che i vari paesi si trovino in stadi diversi del cammino che li condurrà tutti, prima o poi, a riconoscere determinati diritti fondamentali, visti come mete di imprescindibili battaglie di civiltà. Un’altra lettura, vede il medesimo processo come una pericolosa deriva, che non afferma affatto la civiltà ma ne scandisce il declino. Quel che accomuna le due letture è l’idea che, comunque, la freccia del tempo punti in una direzione precisa, quella dell’espansione dei diritti. E che, essenzialmente, i vari paesi differiscano solo per la velocità con cui progrediscono (o regrediscono, a detta dei conservatori).

Ma siamo sicuri che la freccia del tempo punti in una direzione sola, quella dell’espansione dei diritti?

Fino a qualche anno fa lo si poteva ragionevolmente pensare, oggi molto più difficile. Segnali di rallentamento, o di vere e proprie inversioni di tendenza, si osservano in più di un paese, sia a livello legislativo, sia a livello di opinione pubblica. Il caso più clamoroso, probabilmente, è quello della Scozia, governata dal (progressista) Scottish National Party, prima con la carismatica leader Nicola Sturgeon (in carica per 10 anni), poi con il suo successore, l’ultra-progressista musulmano Humza Yousaf. Ebbene, nel giro di 15 mesi la situazione è completamente cambiata.

Alla fine del 2022 la Scozia aveva approvato il Gender Recognition Act, una legge che consente il cambiamento di genere (self-id) già a 16 anni, e senza pareri medici o legali. All’inizio di aprile di quest’anno è stato approvato lo Hate Crime Act, una legge che – sulla carta – punisce chi non riconosce come donne i maschi transitati a femmine (Mtf trans). Inoltre, da tempo veniva ventilata la possibilità di varare una legge molto permissiva sul suicidio assistito.

Apparentemente, una marcia trionfale per le battaglie di civiltà dei progressisti. In realtà le tappe di una vera débâcle. La legge sul self-id ha provocato una vivacissima reazione delle donne, compresa Joanne Rowling (l’inventrice di Harry Potter), preoccupate per l’invasione degli spazi femminili (comprese le carceri) da maschi auto-identificati come femmine. Di qui le repentine dimissioni della Sturgeon, benevolmente interpretate dai nostri media come sagge decisioni di una donna sopraffatta dalle fatiche del potere (la medesima interpretazione data per le dimissioni della Ardern in Nuova Zelanda e di Sanna Marin in Finlandia). Passa un anno, il Gender Recognition Act viene bocciato dal governo centrale britannico, e il successore della Sturgeon, Humza Yousaf, è costretto a sua volta alle dimissioni, travolto dall’ondata di critiche, ancora una volta guidate da Joanne Rowling, contro il potenziale liberticida dello Hate Crime Act, una legge in base alla quale – secondo alcuni attivisti trans – avrebbero dovuto finire in carcere quanti la pensassero come la Rowling, e – secondo altri – pure il premier Yousaf, che in passato si era prodotto in discorsi d’odio contro i bianchi (anche qui, l’interpretazione benevola è che il governo sarebbe caduto per dissensi con il partito dei Verdi sulla politica ambientale). Nel medesimo periodo, anche la Scozia, sulla scia dell’Inghilterra – deve frenare sulla somministrazione di bloccanti e ormoni ai minorenni, mentre i sondaggi rivelano che l’opinione pubblica è sempre più scettica sulla proposta di legge per facilitare il suicidio assistito.

Di qui due domande. Primo, siamo sicuri che, sul terreno dei diritti civili, la freccia del tempo punti ancora al loro ampliamento? Secondo, siamo sicuri che i leader progressisti abbiano il polso delle loro opinioni pubbliche?

L’impressione è che, per molti politici di sinistra, gli attivisti e le lobby LGBT+ contino di più dei rispettivi elettorati, e che questa distorsione percettiva li renda ciechi e potenzialmente autolesionisti. È successo con Sturgeon e Yousaf in Scozia. Ma era già successo in Italia con Enrico Letta e la battaglia perduta sul ddl Zan. E potrebbe risuccedere con Joe Biden fra qualche mese, alle elezioni presidenziali americane.

 [articolo uscito su La Ragione il 7 maggio 2024]

Campo largo, mission impossible?

25 Marzo 2024 - di Luca Ricolfi

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Il sogno di costruire a sinistra un “campo largo”, che vada dai liberal-riformisti (tipo Calenda) all’estrema sinistra (tipo Fratoianni), ha subito un duro colpo con il recente spettacolo di confusione, divisioni e ripicche andato in scena in Basilicata in vista delle imminenti elezioni regionali.

Qualcuno ha provato a dire che “solo uniti si vince”, sorvolando sul fatto che in Sardegna il centro-sinistra aveva vinto nonostante fosse diviso, e in Abruzzo aveva perso nonostante fosse unito. A quanto pare, il puzzle non possiede una soluzione semplice.

Ma ne possiede una?

Solo il tempo fornirà la risposta, ma forse un ripasso della storia della seconda Repubblica qualcosa ce lo può insegnare.

Intanto non è vero, come talora si sente dire, che le forze di centro-destra sono sempre state unite, e quelle di centro-sinistra quasi sempre divise. Il primo governo di centro-destra, guidato da Berlusconi, cadde per mano della Lega di Bossi; le elezioni del 1996 furono perse dal centro-destra perché al Lega andò al voto da sola; e alla caduta di Berlusconi nel 2011diede un contributo non secondario la sanguinosa frattura fra Berlusconi e Fini.

Quanto al centro-sinistra, i ricorrenti litigi non impedirono a Prodi di sconfiggere Berlusconi due volte (nel 1996 e nel 2006); le bizze di Bertinotti nel 1997-98 – pur costando la presidenza del consiglio a Prodi – non impedirono al centro-sinistra di governare indisturbato per cinque anni, dal 1996 al 2001.

Dunque, se stiamo alla storia degli ultimi 30 anni, non c’è eterna granitica compattezza a destra, né ineluttabile divisione a sinistra. La partita è aperta.

Che la partita sia aperta, tuttavia, non significa che la situazione sia simmetrica. Nonostante i precedenti speculari che abbiamo richiamato, ci sono almeno due ragioni di fondo che rendono più difficile unificare la sinistra che unificare la destra. La prima è che le differenze entro il campo di centro-destra sono di natura pragmatica (e quindi ricomponibili), mentre quelle entro il centro-sinistra sono di tipo valoriale (e quindi difficilmente ricomponibili). I politici di sinistra hanno perfettamente ragione quando osservano che anche a destra ci sono divisioni importanti sulla guerra, sulla politica fiscale, sull’immigrazione, ma si illudono se pensano che siano divisioni comparabili a quelle interne alla sinistra. Che sono invece basate su questioni di principio, in quanto tali percepite come non negoziabili, per non dire identitarie.

Faccio un esempio per rendere l’idea: anche a destra ci sono differenze importanti  sull’immigrazione, con Salvini che punta sulla chiusura dei porti, e Meloni sul blocco delle partenze, ma sono differenze che impallidiscono a fronte di quelle che separano Renzi e Minniti da Bonelli e Fratoianni. Queste ultime sono percepite come enormi e inconciliabili perché, complice l’atavico complesso di superiorità della sinistra, le si tratta come contrapposizioni morali, anziché come scelte fra opzioni politiche tutte legittime. Il fatto è che, su molti temi non secondari – l’immigrazione, il precariato, la guerra – le differenze di opinione a destra restano semplici differenze di opinione, a sinistra diventano irriducibili differenze etiche (detto per inciso: è per questo che Renzi e Calenda sono indigeribili per la sinistra, ma compatibili con la destra).

C’è anche una seconda ragione, però, che rende ardua – a sinistra – la costruzione di un campo largo vincente. Una ragione che definirei “idraulica”, in quanto ha a che fare con la dinamica dei flussi di voto. In breve: se il campo largo si presenta con un profilo riformista, una parte dell’elettorato Cinque Stelle non va a votare, ma se il profilo è massimalista (come attualmente) una parte dell’elettorato riformista si rifugia a destra.

Detto in altre parole: a destra la circolazione dei voti resta all’interno del perimetro della coalizione, a sinistra coinvolge anche i flussi verso astensione e coalizione avversa.

Perché funziona così?

Un po’ perché il maggior partito della sinistra non ha mai compiuto una vera scelta fra riformismo e massimalismo. Ma un po’, anche, per una ragione per così dire antropologica: dall’avvento di Berlusconi in poi, la tendenza a porre le questioni politiche in termini etici si è profondamente radicata nella psicologia dell’elettorato progressista. Il problema è che, alla lunga, l’eticizzazione del conflitto politico finisce per ritorcersi contro chi la promuove.

[articolo uscito sul Messaggero il 22 marzo 2024]

Faziosità a sinistra, incultura a destra

18 Marzo 2024 - di Dino Cofrancesco

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Come sia finito Tommaso Cerno alla direzione del ‘Tempo’, il quotidiano di Renato Angiolillo e di Vittorio Zincone, resta per me un mistero. Certo un editore  può imporre al foglio di cui è proprietario una nuova linea politica ma la rottura con la tradizione non ha nulla di esaltante per quanti hanno a cuore la continuità col passato e con i valori ai quali per tanti anni si è rimasti fedeli, pur nella consapevolezza che, col mutar dei tempi, le strategie per preservarli e consegnarli alle generazioni future possono e debbono variare. E’ superfluo aggiungere che la continuità che si è apprezza è quella che si accompagna allo ‘stile’, al rispetto degli avversari, alla misura.

 Non voglio essere equivocato,   Tommaso Cerno è un giornalista di sinistra e rimasto tale, che spesso, tuttavia, nei talk show televisivi, ha assunto apprezzabili atteggiamenti anticonformisti e contro-corrente. In un primo momento, avevo pensato, ingenuamente, che forse la sua nomina fosse dovuta alla definitiva entrata dell’ex direttore dell’Espresso nella area politica liberale. Mi ha stupito, pertanto, nel vederlo, la sera del 15 marzo su un canale di Mediaset–il 35–raccontare la marcia su Roma con un linguaggio che sarebbe piaciuto all’Anpi. Il commento al documentario storico, infatti, era scandito da frasi come ‘la marcia dei malfattori’,’i malfattori sfilano..’,i malfattori tornano nelle loro tane provinciali etc.

 Mi sono venute in mente due considerazioni: ma com’è possibile che, a più di un secolo dalla marcia su Roma e dopo le ricerche di Renzo De Felice, “che tanta ala vi stese”, si riguardino le camicie nere come una banda di mascalzoni, violenti e ubriachi? Che Mussolini e i quadrumviri abbiano affossato–ma non nel 1922 bensì nel 1924– l’Italia liberale non ci piove ma ancora adesso ci è così difficile  riconoscere che avevano in mente un progetto politico, un’etica, dei valori, che non sono certo i miei ma che, non pertanto, vanno compresi (anche per evitare il pericolo che la dimenticanza del passato comporti la sua ricomparsa) e analizzati sine ira ac studio? Viviamo ancora nel clima della guerra civile in cui quanti hanno in odio la democrazia liberale —siano rossi o neri—sono da riguardare alla stregua dei delinquenti comuni? Brutto segno questo sprofondare politica e diritto, etica e religione nell’abisso dell’indistinzione indotta dal fanatismo moralistico più ottuso! Quando il nemico diventa un criminale tout court e la sua neutralizzazione una faccenda che riguarda non l’esercito ma la polizia, ci si pone al di fuori  della civiltà liberale, che distingue Al Capone da Adolf Hitler.

La seconda considerazione rinvia alle dolenti note sulla cultura della destra liberale. L’antifascismo ‘senza se e senza ma’ di Cerno non è inferiore a quello di Aldo Cazzullo, per il quale Mussolini è stato solo un delinquente–Mussolini il capobanda. Perché dovremmo vergognarci del fascismo Ed. Mondadori (sic!) s’intitola un suo libro recente—ma colpisce che abbia trovato spazio in una TV come Mediaset nata (anche) all’insegna della lotta al pensiero unico. E’ forse il segno inequivocabile che anche per i dirigenti dell’emittente televisiva creata da Berlusconi a stabilire chi sono gli storici che contano è il circolo mediatico Espresso/Repubblica/Stampa etc.

 In realtà, se a sinistra troviamo, da sempre, una faziosità ideologica degna della Russia stalinista, a destra, trionfa  un’incultura non riscattata da quel pragmatismo che fu una delle grandi virtù del liberalismo di governo. In una Regione di centro-destra come la Liguria, la commemorazione del 25 aprile venne affidata ,l’anno scorso, pensate un po’, a Maurizio Viroli, uno degli storici più settari e dogmatici che abbiano calcato le scene delle patrie lettere, autore di libri che presentano Silvio Berlusconi  come il più grande corrotto e corruttore della Prima Repubblica. Ma c’è di peggio: l’amministrazione di centro-destra del Comune di Genova, ripetutamente sollecitata, ha fatto orecchie da mercante alla proposta di dedicare una strada, un giardino, una piazza, una scuola al più grande sociologo del suo secolo, il genovese Vilfredo Pareto, al più grande giornalista del Novecento, Giovanni Ansaldo, nato all’ombra della Lanterna, a uno dei più importanti registi del Novecento Pietro Germi, nato nella genovesissima Via Ponte Calvi e figlio di un portiere d’albergo. Che le amministrazioni di centro-sinistra non l’abbiano fatto si può capire: Vilfredo Pareto, di cui Mussolini aveva il culto, fu proposto nel 1923 come rappresentante italiano in una importante Commissione della Società delle Nazioni a Ginevra e quindi nominato senatore del Regno; Giovanni Ansaldo, dopo la sua adesione al fascismo, aveva diretto ‘Il Telegrafo’ su designazione dell’amico Galeazzo Ciano e, nel secondo dopoguerra, il liberalconservatore ‘Mattino’ di Napoli; Pietro Germi era ritenuto dagli intellettuali e cineasti del PCI un socialdemocratico, quindi un criptofascista. Figli simili, per la Genova antifascista, erano da dimenticare ma la Genova civile, non dovrebbe rendere omaggio a pensatori, giornalisti e artisti che hanno segnato la storia culturale italiana, pur non dimenticando colpe ed errori che possono aver commesso (non Germi naturalmente)?

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