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Sinistra in tilt

3 Agosto 2023 - di Luca Ricolfi

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Sulla gestazione per altri (o utero in affitto), appena proclamata “reato universale” da un voto della Camera dei deputati, la sinistra è andata in tilt. I suoi due leader principali, Schlein e Conte, non se la sono sentita di partecipare al voto. E i suoi intellettuali annaspano. Michele Serra, ad esempio, dichiara che con il voto della Camera “un’opinione è diventata legge”. E evoca lo “stato etico” (di gentiliana memoria), contrapponendolo allo stato liberale.

Ma è un errore logico grossolano, che farebbe inorridire i grandi maestri del pensiero liberale, a partire da Isaiah Berlin. Il fatto che un’opinione in materia etica possa diventare legge è parte integrante della logica delle società liberali, che si distinguono dai regimi proprio perché assumono che, su questioni fondamentali, possano scontrarsi concezioni, valori, visioni del mondo inconciliabili.  Fra le quali è inevitabile che la legge, attraverso il Parlamento o il voto popolare (referendum), operi una scelta.

È successo in modo esemplare ai tempi del referendum sull’aborto. In quell’epoca (anni ’70) le opinioni inconciliabili erano quelle dei cattolici, per i quali il feto è una persona, e quindi l’aborto è un omicidio, e quelle dei laici, per i quali l’aborto non è un omicidio, ma una libera scelta della donna. In quel caso, a diventare legge fu l’opinione dei laici, che con la legge 194 del 1978, riuscirono a imporre il loro punto di vista. E a nulla valse, qualche anno dopo, il tentativo del Movimento per la vita di imporre il punto di vista dei cattolici con il (fallito) referendum abrogativo.

In breve, come non vi era nulla di illiberale nella legge che rese ammissibile l’aborto, imponendo ai cattolici il punto di vista dei laici, così non vi è nulla di illiberale nelle leggi (presenti e future) che vietano la gestazione per altri, imponendo agli ultra-laici il punto di vista di quanti – non solo cattolici – considerano inaccettabile la pratica dell’utero in affitto.

Perché, dunque, tanto scalpore e tanto imbarazzo nel mondo progressista?

Credo che il motivo sia sottile, ma molto potente. La ragione per cui la gestazione per altri mette in difficoltà lo schieramento progressista è che incrina irrimediabilmente il racconto che, almeno dalla caduta di Renzi in poi, la sinistra ha scelto per dar forma alla propria immagine. Quel racconto era basato sostanzialmente su un principio: sostituire le grandi, storiche, battaglie per i diritti sociali con nuove, grandiose, battaglie per i diritti civili, pensate – e qui sta il punto cruciale – non come lotte di una parte politica contro un’altra, bensì come epiche “battaglie di civiltà”, condotte in nome di diritti universali, contro l’oscurantismo e la barbarie. Cittadinanza agli immigrati, unioni civili, diritti Lgbt, leggi contro l’omotransfobia, norme su eutanasia e fine vita, tutto ciò per cui il mondo progressista si batteva era pensato nel registro “civiltà contro barbarie”. Era una forzatura, certo, ma era retoricamente sostenibile, perché quelle battaglie erano condotte in nome di valori forti e abbastanza largamente condivisi, come l’apertura al diverso e la libertà individuale.

Ma con l’utero in affitto, come la mettiamo?

Improvvisamente, il mondo progressista ha sperimentato, come in parte era già successo con il Ddl Zan, che le sue proposte non erano inquadrabili nel racconto standard degli ultimi anni, quello di una ennesima “grande battaglia di civiltà” da condurre contro retrogradi e nemici della ragione. Era troppo evidente che, nella gestazione per altri, c’è qualcosa che non va: la mercificazione del corpo della donna, ad esempio, o la separazione del bambino dalla madre. Di qui l’imbarazzo di Schlein e Conte.

Ai quali mi permetto di dare un consiglio: anziché demonizzare la destra, riconoscete che la faccenda è complessa, e lasciate libertà di coscienza ai vostri parlamentari.

Perché Meloni batte Schlein – Intervista a Luca Ricolfi

2 Giugno 2023 - di fondazioneHume

In primo pianoPolitica

Il voto amministrativo ha di solito dinamiche molto locali. Perché queste comunali sono diverse?

Non è che le dinamiche locali e le personalità dei candidati sindaco non abbiano avuto il loro peso, quel che ha fatto la differenza è che una delle due parti in campo – la destra – sia prevalsa nettissimamente sull’altra, per di più in un tipo di consultazioni (le amministrative con ballottaggi) che storicamente non sono congeniali alla destra stessa. Poi c’è un’altra particolarità.

Quale?

Le consultazioni delle scorse settimane, essendosi svolte 9 mesi dopo il voto, sono fuori del raggio della “luna di miele”, che di solito dura pochi mesi. Ciò conferisce al successo della destra un significano politico per così dire “doppio”, o rafforzato, perché il consenso a Giorgia Meloni si manifesta a dispetto dell’esaurimento della fase a lei più favorevole.

L’analisi del risultato di Elly Schlein è stata che soffia il vento della destra e che il nuovo Pd ha avuto poco tempo per attrezzarsi. Che ne pensa di questa chiave di lettura?

In termini scientifici, invocare il “vento della destra” è ridicolo, è come postulare l’azione del demonio per spiegare le cattive azioni degli uomini. Quanto al “poco tempo per attrezzarsi” farei due osservazioni. Primo, se il valore aggiunto di Schlein è stato quello di rincuorare la sinistra, e se davvero il problema era riportare al voto gli elettori di sinistra-sinistra delusi, non si vede perché l’effetto del segnale-Schlein non si sarebbe dovuto avvertire già adesso, ossia a ridosso del suo insediamento al vertice del Pd. In un certo senso, era la neo-eletta Schlein ad essere in luna di miele, quindi non aver saputo cogliere il momento favorevole è particolarmente inquietante per le prospettive del Pd.

E la seconda osservazione?

Di questa sono meno sicuro, ma la butto lì sotto forma di domanda: e se il tempo giocasse contro Schlein piuttosto che a favore? Per confidare nel tempo a disposizione da qui alle Europee bisognerebbe avere una ragionevole chance di risolvere i due problemi fondamentali del Pd, ossia avere una linea politica chiara ed essere riconosciuto come il dominus di un’alleanza più vasta. Le sembra che ve ne siano le condizioni?

Eppure è vero, il voto in Europa, dalla Finlandia alla Spagna passando per l’Italia, dice che la stagione europea dei governi di centrosinistra sta finendo. O no?

È molto difficile dire se sia in atto una tendenza generale, però il fatto che in molti paesi si stiano rafforzando i partiti anti-immigrati o scettici con l’Europa suggerisce che qualcosa stia succedendo. La mia sensazione è che, negli ultimi anni, si stia consolidando un giudizio di inadeguatezza nei confronti dei vertici dell’Europa (Ue ma anche Bce), percepiti come incapaci di tutelare gli interessi primari dei cittadini: contrasto all’inflazione, fine della guerra in Ucraina, difesa delle frontiere esterne. Questo giudizio di inadeguatezza sembra toccare più la sinistra che la destra perché i progressisti hanno un’agenda astratta, etico-moralistica (ambiente, digitalizzazione, diritti, accoglienza eccetera), che va benissimo in tempi di crescita e prosperità, ma diventa inattuale in tempi bui come quelli che stiamo vivendo. Con Ronald Inglehart e la sua teoria della “rivoluzione silenziosa” (1977), si potrebbe dire che un po’ ovunque in occidente la destra è ancora attenta ai cosiddetti valori materialisti (a partire dalla sicurezza fisica ed economica), mentre la sinistra si attarda sui cosiddetti valori post-materialisti o post-borghesi: autorealizzazione, ecologia, diritti, minoranze, apertura.

C’è chi, come Dario Franceschini, ha appoggiato la Schlein sperando di dare la svolta per costruire qualcosa di nuovo a sinistra.

Mah, ho qualche dubbio. Se questo fosse il motivo, oggi vedremmo Francheschini impegnatissimo a elaborare idee, aprire tavoli di confronto, elaborare proposte. Io penso, più prosaicamente, che Franceschini abbia intuito che Bonaccini poteva perdere la sfida.

Ma la destra che si sta affermando in Italia che destra è?

Distinzione essenziale: un conto è la destra, un conto è Giorgia Meloni. La destra è un amalgama di culture politiche diversissime, al limite dell’incompatibilità. Quel che le tiene insieme è il pragmatismo, e la comune priorità di tenere la sinistra lontana dal potere. Giorgia Meloni, da quando è al governo, è espressione di un mix inedito: prudenza e moderazione nei consessi internazionali, esplicito conservatorismo sul piano culturale, cauta difesa degli interessi materiali dei cittadini (contro il fondamentalismo green dell’Europa), keynesismo in campo economico (è più importante aumentare l’occupazione che ridurre le tasse). La cosa interessante è che la sinistra pare non aver ancora capito chi è Giorgia Meloni. E quando dico la sinistra, non intendo tanto i partiti di sinistra, quanto i media che li sostengono. Anzi, direi di più: secondo me gli storici del futuro racconteranno questo periodo come quello in cui buona parte della grande stampa, delle grandi reti tv, degli intellettuali impegnati, riuscirono a far credere al Pd e agli altri partiti progressisti che in Italia fosse in arrivo una nuova forma di fascismo. Un formidabile assist a Giorgia Meloni, perché più il fascismo non arriva, più la sinistra anti-fascista perde credibilità.

Le alleanze finora non fatte nel centrosinistra potrebbero rendere di nuovo competitiva l’area?

Temo di no, anche se sarebbe auspicabile: una destra divenuta onnipotente per implosione dell’opposizione renderebbe zoppa la nostra democrazia.

Ma che cosa ostacola le alleanze a sinistra?

È molto semplice: in Italia ogni leader di sinistra si sente paladino di valori assoluti e irrinunciabili, anziché come rappresentante di interessi e obiettivi parziali, quindi negoziabili. Per questo, nel campo progressista, le alleanze o sono instabili (vi ricordate Bertinotti?), o sono impossibili. Emblematico, in questo senso, è stato il caso di Enrico Letta e del fallito “campo largo” alle ultime elezioni. I media lo hanno messo in croce come incapace e irresoluto, ma secondo me nessun leader progressista, anche infinitamente più carismatico e preparato di Enrico Letta, sarebbe mai stato in grado di mettere d’accordo Conte-Bonelli-Fratoianni-Bonino-Di Maio-Renzi-Calenda. Il problema cruciale della sinistra non è la linea politica, ma sono i suoi cacicchi, i signori della guerra che capeggiano i 7-8 partiti della galassia progressista.

Prossima conta, le Europee del 2024. Prima c’è una legge di bilancio da fare.

E sarà dura, senza ricorrere a scostamenti di bilancio. Proprio perché promette di lenire le ferite delle famiglie – dal caro-bollette all’alluvione, dall’inflazione al cuneo fiscale troppo alto – non sarà facile, per Giorgia Meloni, confezionare una legge di bilancio solida e attenta alle istanze dei ceti popolari. Tanto più che gli alleati cercheranno ognuno di far valere i propri provvedimenti bandiera. Il rischio, per il centro-destra, è di andare alla conta europea ancora più diviso del centro-sinistra. Con la differenza che un cattivo risultato alle Europee sarà molto più pericoloso per Giorgia Meloni che per Elly Schlein (sempre che nel frattempo le correnti del Pd non l’abbiano defenestrata, come fecero con il salvatore della patria Walter Veltroni).

[intervista a “Italia Oggi”, uscita il 1° giugno 2023]

L’auto-jamming della sinistra

13 Gennaio 2023 - di fondazioneHume

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Sapete che cos’è un jammer? Fondamentalmente, è un apparecchio per disturbare e neutralizzare, fino a mandarlo in tilt, qualsiasi dispositivo che funzioni emettendo onde radio. Ladri, servizi segreti, investigatori, guardie del corpo se ne servono quotidianamente, in modo più o meno legale, per rilevare e confondere i propri nemici, in una sorta di evoluzione moderna e ipertecnologica dell’antico comando “facite ammuina”.

Da quando la destra è al governo, però, c’è una novità assoluta: il jamming, anzi l’auto-jamming è entrato prepotentemente nell’arena politica. Vediamo come funziona.

La sinistra odia la destra, ed è convinta (per lo più sinceramente) che da quella parte lì non possa uscire nulla di buono. E infatti la destra non le fa mancare buone occasioni di conferma: prima un decreto anti-rave discutibile e mal scritto; poi una serie di condoni più o meno mascherati; poi l’innalzamento del tetto al contante; poi le restrizioni alle Ong; poi gli interventi pasticciati sul reddito di cittadinanza. Di fronte a tutto questo, la sinistra grida, strepita e si indigna, e fa benissimo a farlo, dal suo angolo visuale.

Ma poi succedono alcune cose. La destra al governo non si limita a fare e dire cose discutibili, insensate, o genuinamente di destra. La destra dice e fa anche cose di puro buonsenso, o cose che la sinistra aveva già fatto, o cose nuove ma genuinamente di sinistra; e persino cose che la sinistra poco prima le aveva chiesto di fare.

Esempi: la destra dice che, di norma, i telefonini non si possono usare in classe; la destra proclama che a scuola occorre premiare il merito; la destra vara provvedimenti molto favorevoli ai ceti popolari, e pure provvedimenti molto sgraditi ai ricchi e ai ceti medi.

Ed è qui che scatta l’auto-jamming, che colpisce un po’ tutto il mondo progressista, ma tocca vertici inarrivabili di masochismo con il Pd. Anziché compiacersi che la destra faccia anche cose condivisibili, o addirittura recepisca consigli della sinistra (ad esempio sul cuneo fiscale, o sul Pos), non resiste alla tentazione di riclassificare come negativo tutto ciò che la destra pensa, dice o fa. Può accadere, così, di ascoltare accuse di arretratezza, luddismo, anti-modernismo, ostilità alla tecnologia allorché un ministro ripropone la vecchia circolare di Fioroni (ministro del governo Prodi) sull’uso dei telefonini. E si deve assistere, con sconcerto, al fiorire di articoli e articolesse contro il merito, fino a ieri apprezzato dalla sinistra, ma – ora che piace alla destra – riconcettualizzato come strumento di selezione, discriminazione, esclusione, umiliazione dei non meritevoli. Per finire nel grottesco quando, di fronte alla legge di Bilancio, si deve registrare l’assoluta incapacità di comprendere che le misure più incisive sono pro-ceti bassi e anti-ceti alti.

Il risultato è una drammatica perdita, da parte degli esponenti della sinistra, delle proprie coordinate ideologiche e ideali. Di fronte ai segnali imprevisti della destra, la macchina mentale della sinistra non reagisce riprogrammandosi per tenerne conto e auto-correggersi, ma andando in confusione, come un impianto di allarme messo in crisi da un ladro che lo disturba con un jammer. Anziché accorgersi che la destra fa anche cose di sinistra, rinuncia alle proprie bandiere per il solo fatto che alcune di esse sono entrate nel discorso della destra. Anziché prendere atto che le proprie previsioni catastrofiche – aumento dello spread, bocciatura dell’Europa, cancellazione dei diritti civili – sono risultate clamorosamente errate, tenta maldestramente di confermare il modello che le ha generate, a dispetto di ogni evidenza empirica contraria. Insomma, si comporta nel modo che Karl Popper denunciava nel marxismo e nella psicanalisi, due modalità della conoscenza incapaci di apprendere dai propri errori.

Un modo di operare profondamente antiscientifico. Ma anche il più autolesionistico possibile.

Ma che senso ha dirsi anticomunisti?

29 Dicembre 2022 - di Dino Cofrancesco

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Le guerre civili dei padri sono sempre state da noi fonti di insanabili divisioni ideologiche tra figli e nipoti. Nel nostro tempo, però, abbiamo una significativa variante: le divisioni continuano ma una parte della barricata (i paladini del Bene) è sempre più piena mentre l’altra (i vinti della storia) è sempre più vuota. Un regime come il fascismo caduto quasi ottant’anni fa continua ad essere il nemico mortale di una nutrita schiera di giornalisti, professori, militanti di partito, acchiappafantasmi, mentre a farne l’apologia è una sparuta, esaltata – e spesso violenta – minoranza che nulla sa di Giovanni Gentile o di Gioacchino Volpe. A un destino analogo, però, è andato incontro anche un altro ‘caro estinto’ meno lontano, il comunismo. Oggi è considerato il principio di ogni male, il volto feroce e sanguinario della tirannide: solo che dalla parte giusta della barricata si trovano tanti che avevano osannato al ‘sol dell’avvenire’ e, dalla parte sbagliata, quei pochissimi fedeli a cui nessun Gulag riesce a far cambiare idea. Forse dovremmo ricordarci, anche per i regimi politici, dell’antico adagio ‘parce sepulto’ e, soprattutto, chiederci perché, nel caso del comunismo, almeno a est dell’Elba, vi siano tanti nostalgici (come certi taxisti moscoviti sospiranti: “ah quando c’era Stalin!”) che non sembrano apprezzare le benedizioni della democrazia liberale. Diceva Sandro Pertini, che la peggiore delle democrazie è preferibile alla migliore delle dittature. Sono d’accordo ma non tutti la pensano così e molti non riescono a dimenticare le performances sociali e assistenziali dei regimi esecrati dalla retorica liberale. Nel mondo umano non c’è salto dalla luce della libertà politica all’inferno della dittatura. C’è democrazia e democrazia, dittatura e dittatura e, spesso, le seconde si affermano per l’incapacità delle prime ad assicurare ai popoli un minimo di legge e di ordine. Quando Kruscev era in auge gli analisti americani ritenevano che se i russi avessero potuto votare liberamente, Kruscev sarebbe stato rieletto. A una democrazia liberale è più utile lo scetticismo di Montaigne che il fideismo dei nuovi liberali, ciechi davanti alla storia e alle sue lezioni di realismo.

Dino Cofrancesco

Ricolfi e la sinistra che va in pezzi

21 Dicembre 2022 - di fondazioneHume

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  1. Come le idee di sinistra sono migrate a destra. Considerando quanto sta accadendo a Bruxelles, il titolo del suo ultimo libro è più che attuale…

Sì, la sinistra ha subito una mutazione non solo ideologica e programmatica, ma anche di natura etica. Prima le si poteva rimproverare il complesso dei migliori (il mio libro Perché siamo antipatici? è di quasi vent’anni fa), ora ad alcuni può venire il sospetto (sbagliato anche quello) di una inferiorità morale, visto che gli scandali di cooperative e Ong coinvolgono sistematicamente esponenti di quella parte politica. La realtà è più semplice: la degenerazione etica della sinistra è dovuta semplicemente al fatto che proprio la sua autorevolezza, il suo insediamento nei gangli del potere, il suo controllo totale dell’industria della bontà, la rendono il bersaglio ideale dei tentativi di corruzione. Non sono più cattivi, sono solo più corruttibili.

  1. Perché quel lessico, che una volta apparteneva ai compagni, oggi caratterizza chi è al governo del Paese?

Se si riferisce al lessico della difesa dei deboli, direi che ci sono due ragioni. La prima è che la lotta contro criminalità e immigrazione irregolare fa parte integrante della difesa dei deboli, ed ovviamente è più congeniale alla destra. La seconda ragione è che la destra oggi è egemonizzata dalla destra sociale di Giorgia Meloni, che in alcune battaglie a tutela dei deboli crede davvero. Tolta la fetta salviniana della manovra (fisco, condono, contante, flat tax), il resto è costituito da misure di tutela delle fasce deboli. E questa impostazione è destinata a rafforzarsi non appena Giorgia Meloni comincerà ad occuparsi di scuola e di promozione del merito, sulla scia dell’articolo 34 della Costituzione sui “capaci e meritevoli ma privi di mezzi”.

  1. La lezione di Berlinguer sulla questione morale è stata davvero compresa, considerando gli ultimi scandali Qatargate e Soumahoro?

Non credo, ma penso che Berlinguer avesse vita facile a moraleggiare, posto che il PCI non era mai stato al governo, e il pentapartito dava spettacolo.

  1. Occhetto dice alla Bolognina ho pianto per molto meno. A suo parere, cosa è cambiato rispetto a quel periodo?

E’ successo che la globalizzazione ha mostrato il suo lato oscuro, fatto di delocalizzazioni e perdite di posti di lavoro nei paesi avanzati. E la sinistra ha assaggiato i prelibati frutti del potere, diventando parte integrante dell’establishment. Anzi, diventando egemone all’interno dell’establishment politico-economico-culturale.

  1. Quale la differenza tra le mazzette di Qatargate e Tangentopoli?

Sono cose diversissime. Le mazzette di Tangentopoli finanziavano, abbastanza stabilmente e uniformemente, il sistema dei partiti (con le rilevanti eccezioni di PCI e MSI), le mazzette del Quatargate ingrassano una frazione (speriamo piccola) della casta che, più che governarla, amministra l’Europa.

  1. Cosa ne pensa di questi europarlamentari, che finito il loro mandato, per cui sono stati votati dai cittadini, si mettono a fare i lobbisti?

Sarà ora di cominciare a prenderne atto: la politica è una carriera come tutte le altre, dominata dall’interesse individuale. Solo che, per alcuni, tale interesse è fatto di soddisfazioni personali, potere, prestigio, più o meno piccole vanità, per altri è anche arricchimento personale. Forse favorito, paradossalmente, dai lauti emolumenti del Parlamento Europeo. Dopotutto l’appetito vien mangiando…

  1. Tra poco ci sarà il congresso dei dem, il Pd può ancora svoltare e riprendersi quei temi tanto cari? E’ sufficiente cambiare qualche nome?

Il Pd è completamente disinteressato a una discussione politica vera, che affronti temi di fondo come quelli toccati nel mio libro: difesa dei deboli, libertà di opinione, eguaglianza attraverso la cultura.

La sa una cosa? Gli esponenti del Pd sono l’unica categoria che ha completamente ignorato La mutazione. Come mai le idee di sinistra sono migrate a destra.  Il fatto è che la loro tecnica non è criticare, combattere o reprimere il dissenso, la loro tecnica è ignorare chi fa delle critiche vere, sostanziali.

La paura di discutere in campo aperto è tale che i due candidati alla segreteria – Bonaccini e Schlein – non hanno ancora avuto il coraggio di dire che cosa distingue l’uno dall’altro. Io non mi stupirei che, dopo mesi in cui vi viene detto che il Pd deve decidersi a scegliere fra riformismo e massimalismo, la soluzione sia una segreteria Bonaccini-Schlein (o Schlein-Bonaccini), che – ancora una volta – lascia in sospeso tutti i nodi ideali e programmatici fondamentali.

  1. Meloni, intanto, diventa sempre più moderata, una sorta di riconversione. Tale linea continuerà a favorire il presidente del Consiglio?

Meloni, linguaggio a parte, era già moderata. Lo è almeno dal 2014, qnche se solo pochi osservatori paiono essersene accorti. Così si scambia per evoluzione di Meloni, quello che è il lento risveglio dei suoi critici.

  1. Cosa ne pensa dei primi passi del governo?

Male fisco, condoni, contante, pensioni. Abbastanza bene quasi tutto il resto, se non altro perché il grosso delle risorse sono convogliate sui ceti deboli. Opportuno il freno ai rave party, sacrosanta la limitazione del bonus cultura ai ragazzi delle famiglie meno abbienti.

  1. Non ritiene che qualche provvedimento di questo esecutivo sembri molto di sinistra?

No, la sinistra non è in grado di accorgersene. Anziché dire, toh ci hanno copiato, bene così, preferisce dire che anche i provvedimenti più di sinistra sono “di destra”, quindi cattivi a priori. E’ il sempiterno cane di Pavlov che possiede i progressisti.

  1. Il reddito di cittadinanza può essere superato?

Deve esserlo, ma in due sensi. Stroncare gli abusi, ma anche raggiungere tanti “veri poveri” che con le regole attuali non riescono ad accedervi.

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