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A proposito del caso Almasri – Ipocrisia?

3 Febbraio 2025 - di Luca Ricolfi

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Credo siano in pochissimi a sapere quel che davvero è successo nelle convulse giornate che hanno portato prima all’arresto, poi alla scarcerazione, infine al rimpatrio su un aereo di Stato italiano, del capo della polizia giudiziaria libica. In compenso siamo in tantissimi ad esserci fatte alcune domande fondamentali: perché il governo ha scelto di rimpatriare Almasri anziché arrestarlo? Perché Giorgia Meloni non ha detto a chiare lettere quello che quasi tutti credono di sapere, e cioè che la vera ragione del frettoloso rimpatrio di Almasri è stato il timore di ritorsioni del governo libico, pronto a scagliare verso il nostro paese orde di richiedenti asilo? E infine: perché Giorgia Meloni non ha fatto come Trump, che non ha esitato a sbandierare ai quattro venti la durezza delle proprie misure contro i migranti illegali? Perché tanta ipocrisia nella vicenda del torturatore libico?

Come cittadino, sono sconcertato come tutti. Ma, come sociologo, non lo sono per niente. Viste con la lente della mia disciplina, le vicende del caso Almasri sono perfettamente comprensibili. Uno dei cardini della sociologia, posto da Max Weber fin dal 1919 nel saggio La politica come professione, è la distinzione fra etica della convinzione, o dei principi (tipica di missionari e predicatori), e etica della responsabilità (che secondo Weber dovrebbe guidare i politici). Agisce secondo l’etica della convinzione chi opera secondo principi ritenuti giusti, senza curarsi delle conseguenze pratiche che ne possono derivare. Agisce secondo l’etica della responsabilità chi valuta le proprie azioni non solo in base a principi etici o morali, ma anche in base alle loro conseguenze. Ad esempio: un cultore dell’etica della convinzione in nessun caso potrebbe sottoporre a sevizie e torture un altro essere umano, ma che fare se torturare un terrorista è l’unico modo per evitare la morte di migliaia di innocenti minacciati da un ordigno a orologeria che solo lui può disinnescare?

Ebbene, alla luce della distinzione weberiana, è chiaro che Giorgia Meloni si è mossa secondo l’etica della responsabilità, mettendo sui due piatti della bilancia sia la palese ingiustizia di lasciare libero un criminale, sia la (meno palese) ingiustizia di esporre i cittadini italiani alle conseguenze di vari tipi di possibili ritorsioni (ripresa degli sbarchi, sequestri di cittadini italiani in Libia, per non parlare degli interessi dell’ENI in quel paese). Nell’ottica di Weber, stupefacente e discutibile sarebbe stato che il governo avesse agito secondo l’etica della convinzione, anziché secondo quella della responsabilità. Se le cose stanno così, a maggior ragione sembrerebbero porsi gli altri interrogativi: perché non proclamare le proprie ragioni davanti ai cittadini? Perché non adottare una postura trumpiana? Perché tanta reticenza e ipocrisia?

Anche qui la sociologia ha molto da dire, benché non sia stata certo la prima a farlo. Secondo Jon Elster, uno dei più grandi scienziati sociali del Novecento, l’ipocrisia praticata nella scena pubblica ha una fondamentale funzione di coesione sociale, di irrobustimento delle istituzioni, di rafforzamento di valori positivi condivisi. A suo modo, e paradossalmente, funziona come una “forza civilizzatrice”. Il cattivo che ipocritamente si finge buono, proprio attraverso quella finzione proclama il valore della bontà. È esattamente quello che, quattro secoli fa, aveva intuito François de La Rochefoucauld con il suo fulminante aforisma: “l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio tributa alla virtù”. Il vizioso che si finge virtuoso riconosce con ciò stesso il valore della virtù.

Ed eccoci al tema della mancata postura trumpiana. Perché adottare un profilo basso? Perché non maramaldeggiare assumendo atteggiamenti ostili nei confronti dei migranti detenuti in Libia?

L’interpretazione malevola è che il governo, come i governi precedenti, si vergogni degli accordi con la Libia ma in cuor suo (ammesso che un governo abbia un cuore) ne è ben felice, purché gli accordi funzionino. L’interpretazione del sociologo che ha recepito la lezione di Elster è che siamo in Europa, non in America. Il nostro orizzonte valoriale certo include la necessità di trovare una soluzione al problema della sicurezza e dei confini, ma include anche l’imperativo etico di rispettare i diritti dei richiedenti asilo. È per questo che, in Italia, nessuno – nemmeno la destra – si permette di fare la faccia feroce, come succede in America con Trump e in Germania con l’Afd di Alice Weidel. L’imbarazzo di Meloni è l’ammissione che, nell’affare Almasri, più che fare la cosa giusta il governo ha scelto il male minore, nonché l’implicito riconoscimento che i campi di detenzione in Libia sono un problema, e non da oggi (già nel 2018 ne diedero un resoconto illuminante Franco Viviano e Alessandra Ziniti in Non lasciamoli soli, Chiare Lettere).

Forse è questo il motivo per cui, nonostante la maggioranza degli italiani non approvi il comportamento del governo in questa vicenda, il consenso alla premier e al suo partito restano alti, se non in ulteriore ascesa. Segno che, almeno nei paesi mediterranei, tanto per l’opinione pubblica quanto per la classe di governo quello del rapporto con l’immigrazione resta un tragico dilemma, più che una crociata politica da intraprendere con la baldanza di chi si sente dalla parte della ragione.

[articolo uscito sul Messaggero il 2 febbraio 2025]

Rubrica A4 – Destra e cultura

18 Novembre 2024 - di Dino Cofrancesco

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Mi ha davvero sconcertato vedere su  Blob (Rai 3) la sparata di Giorgia Meloni contro l’egemonia culturale della sinistra che imperversa in tutti i campi del sapere, dell’editoria, delle arti, dell’intrattenimento televisivo, dello spettacolo (cine, teatro). E’ indubitabile quanto afferma la premier ma non si capisce né l’indignazione (i fatti sono quelli che sono e ,se sono quello che sono, è colpa anche di chi ha lasciato crescere l’erba cattiva dell’”impegno intellettuale”) né, tanto meno, i possibili rimedi. Si vuole forse sostituire (o affiancare) ad ogni responsabile di sinistra di un qualsiasi settore culturale un esponente della destra? Maurizio Gasparri (tra l’altro di Forza Italia, una formazione politica di centro liberale non di destra), ha detto:” Noi di destra rispetto alla sinistra abbiamo meno professori. E dunque meno scemi in giro”. Se fosse vero dovremmo reclutare, attraverso i concorsi di ogni tipo, nuovi professori (e avere più scemi in giro) in modo da dotarli di un potere culturale oggi in mano, oggettivamente, alla sinistra? Un tempo i concorsi universitari, nella rosa dei vincitori, almeno in certe materie (prevalentemente quelle storiche, filosofiche, giuridiche ed economiche) dovevano tener conto delle quote: un tanto ai cattolici, un tanto ai laici. Dovremmo pensare a diverse quote per il reclutamento degli intellettuali in posizione chiave: un 70% alla destra un 30% alla sinistra (tenendo conto che quest’ultima è sovrarappresentata?)

Ho sempre ritenuto che, con la sinistra schleiniana che ci ritroviamo, la destra al governo sia il meno peggio che potesse capitare all’Italia ma non chiudo gli occhi dinanzi alla inadeguatezza della sua classe dirigente, del tutto priva di un senso alto, quasi gramsciano, della cultura e della sua importanza. Nei rapporti con gli assessorati del centro-destra, si collezionano solo esperienze frustranti di ottusa insensibilità agli aspetti simbolici della politica. A Genova, dove vivo e lavoro da una vita, è quasi impossibile  parlare con le autorità cittadine e regionali (di centro-destra)  per proporre loro, ad esempio, di dedicare luoghi pubblici al più grande sociologo ed economista europeo, tra 800 e 900, Vilfredo Pareto, di antica famiglia genovese;  al più prestigioso giornalista del suo tempo, Giovanni Ansaldo, venuto al mondo all’ombra della Lanterna;  a un regista, come Pietro Germi, di umili origini, uno dei protagonisti della più grande stagione del cinema italiano (tra l’altro, venne ostracizzato dai suoi colleghi in quanto ‘socialdemocratico’, cioè socialfascista). Per gli amministratori della destra, i convegni culturali—come il Festival della Politica di Santa Margherita Ligure organizzato dall’Associazione Isaiah Berlin e ,quindi, all’insegna del più autentico  pluralismo—non sono poi così importanti.. A essere lautamente finanziati, ma dalle sinistre e dai loro ricchissimi sponsor, sono, invece,  convegni e festival in linea con il pensiero unico.  Persino a Santa Margherita Ligure dove trascorreva diversi mesi dell’anno Isaiah Berlin, forse il più prestigioso filosofo liberale del suo tempo—è stata una battaglia perduta quella di intitolargli una piazza, un  giardino, un istituto scolastico etc.

 A destra non c’è cultura? Sicuramente, non nei partiti e movimenti politici oggi al governo—ove si eccettuino ministri come Carlo Nordio, Giuseppe Valditara e altri pochi. Ma ce n’è abbastanza se si pensa alle produzioni intellettuali della destra. Dal compianto Augusto Del Noce al geniale Marcello Veneziani, sono non pochi i saggisti, gli articolisti, i filosofi, gli storici di quest’area culturale. Non ne faceva parte, tanto per fare qualche nome, Vittorio Mathieu, forse il più prestigioso studioso di Kant del suo tempo, autore, oltreché di poderosi volumi di storia della filosofia, di saggi divenuti classici sulla rivoluzione, sulla libertà, sul diritto di punire etc.? Un governo di destra  responsabile e competente dovrebbe, innanzitutto, preoccuparsi di sostenere le fondazioni intitolate alle grandi icone del pensiero liberale e liberalconservatore, pronto a finanziarne i convegni, i seminari di studio, i corsi di lezioni. A figure dimenticate, perché lontanissime dalla cultura dominante—per fare qualche nome, Panfilo Gentile, Mario Vinciguerra, Randolfo Pacciardi, Giacomo Noventa—dovrebbero venire intitolate bose di studio, premi per la migliore tesi di laurea, ‘dignità di stampa’ etc. Non si combatte l’intelligentsia che da decenni spadroneggia in Italia con patetici annunci di guerra—destinati a irritare anche quanti non simpatizzano con le nuove sinistre (e spesso rimpiangono le sinistre d’antan ancora marxiste e, pertanto, dotate di senso della realtà).Quando, in sostanza, si dice:  “ora è la volta nostra”, non si sospetta che, in realtà, è “la volta di sempre” e che agli italiani si presenta un vestito rivoltato ma che , in quanto tale, è sempre lo stesso vestito. E’ l’eterna tentazione del Minculpop che da destra era passata sinistra e che ora qualcuno vorrebbe, incautamente, riportare a destra.

Requiem per il terzo polo

13 Giugno 2024 - di Luca Ricolfi

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Sarà magari una coincidenza, ma certo colpisce che i più clamorosi successi di queste elezioni europee siano tutti al femminile: grazie al successo dei rispettivi partiti, Ursula Von del Leyen, Giorgia Meloni, Marine le Pen, Elly Schlein avranno un ruolo
decisivo nei futuri assetti dell’unione Europea.

Ma anche in Italia l’esito del voto premia esclusivamente le liste a traino femminile: non solo Giorgia e Elly, ma anche la lista Verdi-Sinistra condotta a un clamoroso risultato (quasi il 7%) dalla candidatura di Ilaria Salis.

Ciascuno a suo modo, i tre risultati sono eccezionali. Il 28.8% di Meloni, in quanto il suo governo è l’unico fra quelli dei grandi paesi europei ad uscire vincente, per di più in un momento (elezioni intermedie) di solito non favorevole ai governi in carica. Il
24% di Elly Schlein, in quanto il Pd è l’unico partito (insieme a AVS) che aumenta i consensi anche in termini assoluti, e ci riesce a dispetto dei voti in libera uscita temporaneamente sottratti al Pd per sostenere la causa della Salis. Il 6.8% della lista AVS, perché – secondo i sondaggi – il superamento della soglia del 4% non era per niente sicuro.

Fra i tre risultati, tuttavia, quello più impattante è stato quello della Salis. In un colpo solo, la pasionaria della lista Verdi-sinistra è riuscita nel miracolo di escludere dal Parlamento Europeo sia la lista di Renzi-Bonino (Stati Uniti di Europa) sia, verosimilmente, quella di Calenda (Azione). È facile immaginare, infatti, che – in assenza del magnete Salis – molti dei voti AVS sarebbero finiti su quelle due liste, consentendo ad almeno una delle due di raggiungere il 4%. L’extra-risultato di Salis
si aggira infatti intorno al 3%, mentre i voti mancanti a Stati Uniti d’Europa sono pari appena allo 0.2 %, e quelli mancanti ad Azione allo 0.7%: due divari colmabili con 1/3 dei consensi che Salis ha portato a Bonelli e Fratoianni.

Visto da questa angolatura, il risultato di AVS è probabilmente il più influente sul futuro del nostro sistema politico. Dopo il flop europeo, sembra estremamente difficile che Renzi e Calenda riescano a mettere insieme i cocci del Terzo polo, che pure aveva guadagnato un non disprezzabile 7.8% alle elezioni politiche. Le recriminazioni reciproche, scattate subito dopo il voto, testimoniano dei limiti caratteriali e strategici dei due leader, e annunciano un futuro non proprio allegrissimo per il centro-sinistra. Se non interverrà qualche invenzione, o qualche nuovo imprenditore della politica, i cosiddetti elettori di centro, che pure esistono, e valgono più o meno il 15% del corpo elettorale, non avrà altra strada che rivolgersi alla neo-resuscitata Forza Italia, il cui leader Tajani da tempo ripete che “occupiamo lo spazio fra Giorgia Meloni e Elly Schlein”. Una simmetria che fino a ieri,
sussistendo i partiti di Renzi e Calenda, poteva apparire artificiosa e pure un po’ furbesca, ma che ora, implosi quei due partiti, suona piuttosto come una constatazione di realtà.

Così il successo di AVS rivela la sua duplice valenza. Da un lato consolida il patto d’acciaio fra PD e AVS, due forze sempre più simili tra loro, e sancisce la perifericità dei Cinque Stelle rispetto ai due partiti di sinistra-sinistra. Dall’altro scava un baratro
fra la sinistra e il centro, fornendo a Tajani le praterie di cui ha bisogno per espandere Forza Italia. Verso il 20%, dice lui. Ma anche il 15% basterebbe ad assicurare buona salute al partito che fu di Berlusconi, e lunga vita alla maggioranza di governo.

Meloni ringrazia.

[Articolo uscito sulla Ragione il 12 giugno 2024]

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