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Niente luna di miele tra elettorato e destra vincente

24 Dicembre 2022 - di Paolo Natale

In primo pianoPolitica

Cos’è la luna di miele politico-elettorale? Lo sappiamo: è quel periodo post-voto, di lunghezza variabile, in cui l’elettorato di un certo paese tende a premiare il partito, la coalizione, il candidato che ha appena vinto le elezioni, facendo progressivamente lievitare il livello di fiducia nel governo uscente. Così, nelle settimane successive alla consultazione legislativa, si assiste spesso al cosiddetto “bandwagon effect”, la tendenza cioè ad appoggiare il partito vincente e, talvolta, addirittura a riscrivere la propria storia elettorale, ristrutturando ilproprio ricordo di voto in favore di chi ha vinto le elezioni.

Un fenomeno che capita frequentemente, soprattutto nei paesi di tradizione cattolica, a causa della rilevanza della comunità, del senso di appartenenza collettivo, ma anche in quelli di tradizione protestante, sia pur in misura minore. Quando vinse Obama negli Usa 2008, ad esempio, un sondaggio effettuato un mese dopo la sua elezione mostrava come il vantaggio del presidente uscente sul suo sfidante McCain si era incrementato di 6-7 punti percentuali, rispetto al voto presidenziale (da 7% a 14%). Da noi Silvio Berlusconigiunse ad un livello di popolarità prossima al 60% nei mesi successivi alla sua vittoria elettorale contro Veltroni, sempre nel 2008, quasi venti punti oltre la quota di voti che ottenne la sua coalizione alle elezioni politiche.

La domanda che ci poniamo oggi, in riferimento al nuovo governo uscito dalle urne tre mesi orsono, è dunque ovvia: sta accadendo anche per Giorgia Meloni e il suo esecutivo, per Fratelli d’Italia e la coalizione di centro-destra (o, se si preferisce, di destra-centro) questo incremento di fiducia, questa apertura di credito chiamata appunto luna di miele?

Ci sono due aspetti da considerare, nell’analizzare questa situazione, due aspetti che a volte viaggiano nella medesima direzione, ma che a volte non risultano del tutto correlati: il primo è, come ho detto, il livello di approvazione nell’operato del governo e del suo capo; il secondo è l’orientamento di voto a favore della coalizione o del partito di governo.

Per quanto riguarda il primo punto, è indubbio che sia Giorgia Meloni che il suo esecutivo abbiano goduto in questo periodo di un deciso incremento di fiducia, con giudizi positivi che superano di una decina di punti quelli negativi. In particolare, il gradimento per la leader di Fratelli d’Italia è passato dal 40% circa durante il periodo elettorale all’attuale 55%, grazie in particolare all’ulteriore miglioramento dei giudizi provenientidall’elettorato di centro-destra.

E proprio quest’ultimo è in realtà l’elemento rilevante che ci permette di descrivere più compiutamente anche il secondo aspetto, vale a dire l’orientamento di voto, che vede certo in ulteriore crescita la principale componente della coalizione governativa, cioè Fratelli d’Italia, ma è una crescita legata al passaggio di voto proveniente dagli altri partner della coalizione stessa, Lega e Forza Italia. Non si verifica dunque unsignificativo incremento di consensi per l’area di governo, ma solamente una sorta di ridistribuzione in favore della maggiore forza politica. Fratelli d’Italia passa dal 26% delle politiche all’attuale 30-31%, a scapito appunto, in prevalenza, degli altri partner dell’attuale esecutivo (si veda il grafico).

Per poter parlare di “luna di miele” deve verificarsi almeno una di queste condizioni: un significativo passaggio di voti (virtuali, ovviamente) prevenienti da altre aree elettorali e/o un chiaro appeal del governo all’interno della fascia di elettorato meno interessato alla politica (astensionisti o indecisi). Nessuna di queste due situazioni sembra essere presente in queste settimane: le defezioni tra le forze politiche di opposizione(Pd, M5s o Terzo Polo) in favore del governo sono molto limitate, nell’ordine di un paio di punti percentuali complessivi; i giudizi favorevoli al governo da parte dei recenti astensionisti appaiono decisamente minoritari, al contrario di quanto accadeva durante il governo Draghi.

Dunque, è certamente vero che Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni possono oggi contare su una maggioranza sia parlamentare che elettorale decisamente solida, benché non riescano a far presa sulla cosiddetta “area grigia” (indecisi e astensionisti), ma questa situazione appare largamente favorita dalla presenza di una opposizione sempre più incapace di esercitare un ruolo di possibile alternativa.

Ricolfi e la sinistra che va in pezzi

21 Dicembre 2022 - di fondazioneHume

In primo pianoSocietà

  1. Come le idee di sinistra sono migrate a destra. Considerando quanto sta accadendo a Bruxelles, il titolo del suo ultimo libro è più che attuale…

Sì, la sinistra ha subito una mutazione non solo ideologica e programmatica, ma anche di natura etica. Prima le si poteva rimproverare il complesso dei migliori (il mio libro Perché siamo antipatici? è di quasi vent’anni fa), ora ad alcuni può venire il sospetto (sbagliato anche quello) di una inferiorità morale, visto che gli scandali di cooperative e Ong coinvolgono sistematicamente esponenti di quella parte politica. La realtà è più semplice: la degenerazione etica della sinistra è dovuta semplicemente al fatto che proprio la sua autorevolezza, il suo insediamento nei gangli del potere, il suo controllo totale dell’industria della bontà, la rendono il bersaglio ideale dei tentativi di corruzione. Non sono più cattivi, sono solo più corruttibili.

  1. Perché quel lessico, che una volta apparteneva ai compagni, oggi caratterizza chi è al governo del Paese?

Se si riferisce al lessico della difesa dei deboli, direi che ci sono due ragioni. La prima è che la lotta contro criminalità e immigrazione irregolare fa parte integrante della difesa dei deboli, ed ovviamente è più congeniale alla destra. La seconda ragione è che la destra oggi è egemonizzata dalla destra sociale di Giorgia Meloni, che in alcune battaglie a tutela dei deboli crede davvero. Tolta la fetta salviniana della manovra (fisco, condono, contante, flat tax), il resto è costituito da misure di tutela delle fasce deboli. E questa impostazione è destinata a rafforzarsi non appena Giorgia Meloni comincerà ad occuparsi di scuola e di promozione del merito, sulla scia dell’articolo 34 della Costituzione sui “capaci e meritevoli ma privi di mezzi”.

  1. La lezione di Berlinguer sulla questione morale è stata davvero compresa, considerando gli ultimi scandali Qatargate e Soumahoro?

Non credo, ma penso che Berlinguer avesse vita facile a moraleggiare, posto che il PCI non era mai stato al governo, e il pentapartito dava spettacolo.

  1. Occhetto dice alla Bolognina ho pianto per molto meno. A suo parere, cosa è cambiato rispetto a quel periodo?

E’ successo che la globalizzazione ha mostrato il suo lato oscuro, fatto di delocalizzazioni e perdite di posti di lavoro nei paesi avanzati. E la sinistra ha assaggiato i prelibati frutti del potere, diventando parte integrante dell’establishment. Anzi, diventando egemone all’interno dell’establishment politico-economico-culturale.

  1. Quale la differenza tra le mazzette di Qatargate e Tangentopoli?

Sono cose diversissime. Le mazzette di Tangentopoli finanziavano, abbastanza stabilmente e uniformemente, il sistema dei partiti (con le rilevanti eccezioni di PCI e MSI), le mazzette del Quatargate ingrassano una frazione (speriamo piccola) della casta che, più che governarla, amministra l’Europa.

  1. Cosa ne pensa di questi europarlamentari, che finito il loro mandato, per cui sono stati votati dai cittadini, si mettono a fare i lobbisti?

Sarà ora di cominciare a prenderne atto: la politica è una carriera come tutte le altre, dominata dall’interesse individuale. Solo che, per alcuni, tale interesse è fatto di soddisfazioni personali, potere, prestigio, più o meno piccole vanità, per altri è anche arricchimento personale. Forse favorito, paradossalmente, dai lauti emolumenti del Parlamento Europeo. Dopotutto l’appetito vien mangiando…

  1. Tra poco ci sarà il congresso dei dem, il Pd può ancora svoltare e riprendersi quei temi tanto cari? E’ sufficiente cambiare qualche nome?

Il Pd è completamente disinteressato a una discussione politica vera, che affronti temi di fondo come quelli toccati nel mio libro: difesa dei deboli, libertà di opinione, eguaglianza attraverso la cultura.

La sa una cosa? Gli esponenti del Pd sono l’unica categoria che ha completamente ignorato La mutazione. Come mai le idee di sinistra sono migrate a destra.  Il fatto è che la loro tecnica non è criticare, combattere o reprimere il dissenso, la loro tecnica è ignorare chi fa delle critiche vere, sostanziali.

La paura di discutere in campo aperto è tale che i due candidati alla segreteria – Bonaccini e Schlein – non hanno ancora avuto il coraggio di dire che cosa distingue l’uno dall’altro. Io non mi stupirei che, dopo mesi in cui vi viene detto che il Pd deve decidersi a scegliere fra riformismo e massimalismo, la soluzione sia una segreteria Bonaccini-Schlein (o Schlein-Bonaccini), che – ancora una volta – lascia in sospeso tutti i nodi ideali e programmatici fondamentali.

  1. Meloni, intanto, diventa sempre più moderata, una sorta di riconversione. Tale linea continuerà a favorire il presidente del Consiglio?

Meloni, linguaggio a parte, era già moderata. Lo è almeno dal 2014, qnche se solo pochi osservatori paiono essersene accorti. Così si scambia per evoluzione di Meloni, quello che è il lento risveglio dei suoi critici.

  1. Cosa ne pensa dei primi passi del governo?

Male fisco, condoni, contante, pensioni. Abbastanza bene quasi tutto il resto, se non altro perché il grosso delle risorse sono convogliate sui ceti deboli. Opportuno il freno ai rave party, sacrosanta la limitazione del bonus cultura ai ragazzi delle famiglie meno abbienti.

  1. Non ritiene che qualche provvedimento di questo esecutivo sembri molto di sinistra?

No, la sinistra non è in grado di accorgersene. Anziché dire, toh ci hanno copiato, bene così, preferisce dire che anche i provvedimenti più di sinistra sono “di destra”, quindi cattivi a priori. E’ il sempiterno cane di Pavlov che possiede i progressisti.

  1. Il reddito di cittadinanza può essere superato?

Deve esserlo, ma in due sensi. Stroncare gli abusi, ma anche raggiungere tanti “veri poveri” che con le regole attuali non riescono ad accedervi.

Quegli anni bui del centrismo…

30 Novembre 2022 - di Dino Cofrancesco

In primo pianoPolitica

Gli anni che vanno dai primi governi Alcide De Gasperi allo sdoganamento delle forze di sinistra—i socialisti prima, i comunisti dopo—vengono descritti come una  sofferta fase di transizione tra la dittatura e la democrazia. Una chiesa che influenzava le scelte politiche, una radio che cestinava ogni prodotto artistico non in linea con i valori tradizionali (Dio, patria, famiglia), un’industria cinematografica soggetta alle più ottuse censure. Per chi ha vissuto quel periodo sembra di leggere una storia svolta a sua insaputa. Ero un liceale nei tardi anni cinquanta –l’unico studente della mia classe ad avere la tessera del PSI: invece della ‘Gazzetta dello Sport’, compravo ‘Il Mondo’ e non mi piaceva affatto vivere nella più bianca (allora) provincia italiana. Però ricordo anche altri aspetti di quell’Italia  dimenticati e rimossi: una televisione che, oltre a esercitare la censura, si preoccupava di elevare il livello culturale degli italiani (con sceneggiati di classici della letteratura e la mandata in onda del grande teatro europeo); una scuola selettiva non solo per gli studenti ma anche per i professori che, per diventare di ruolo, dovevano sudare sette camicie; un’amministrazione pubblica (stato e parastato) nella quale si entrava grazie a concorsi – tenuti nella mitica sede romana di Via Gerolamo Induno! – che non guadavano in faccia a nessuno; la diffusione del benessere in ampi strati sociali. La domenica nel mio paese ciociaro, prima della guerra, i contadini arrivavano in chiesa con i piedi dipinti di marrone per simulare le scarpe, nella mia adolescenza, li vedevo arrivare in macchina con grande sconcerto dei maggiorenti locali (‘di questo passo dove andremo a finire?’). Nel suo bel blog La nostra storia (‘Corriere della Sera’) Dino Messina ha recensito il libro di Pier Luigi Ballini ed Emanuele Bernardi, Il governo di centro: libertà e riforme. Alcide De Gasperi e Antonio Segni (Ed Studium). “I risultati della riforma che arrivò nel 1950 con una legge stralcio riguardante il delta del Po, la Maremma tosco-laziale, la Basilicata e la Puglia, la Sila e altre aree della Calabria, la Sicilia e la Sardegna sono racchiuse in un numero: 750 mila ettari distribuiti”. La vera rivoluzione sociale la fece la DC, a quella dei costumi avrebbero provveduto le sinistre.

 

Dino Cofrancesco

Dove sbaglia il radicale Valter Vecellio

23 Novembre 2022 - di Dino Cofrancesco

In primo pianoPolitica

Invitato all’Istituto Sturzo, con altri studiosi di pari prestigio, alla tavola rotonda di presentazione del fascicolo di ‘Paradoxa’,I, 2022, sulle ‘Parole della Destra—a cura della direttrice della rivista Laura Paoletti e del sottoscritto—Valter Vecellio un autentico liberale libertario  ha criticato il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per aver parlato di ’certezza della pena’ invece che di ‘certezza del diritto’. E’ comprensibile il disappunto del direttore di ‘Notizie radicali, che, come il suo compianto mentore Marco Pannella, ha il culto della Destra storica ed è impegnato in benemerite battaglie civili, come la denuncia delle condizioni dei detenuti nelle borboniche prigioni italiane. E tuttavia, la  certezza della pena  è una ‘species’ del ‘genus  certezza del diritto. Se c’è la seconda, non può non esserci la prima e poiché l’una è un topos retorico sbandierato a ogni pié sospinto mentre l’altro viene sistematicamente squalificato come reazionario non meraviglia che qualcuno ne faccia la sua bandiera giacché in politica non esiste il vuoto e se nessuno si fa carico dei bisogni reali e delle esigenze di una parte della popolazione ci sarà sempre qualcuno pronto ad appropriarsene. Figlie, madri, sorelle, spose che vedono gli assassini dei loro congiunti rimessi presto in libertà—grazie anche alla filosofia del diritto mite di magistrati formatisi nelle Università sessantottesche dove hanno appreso che la responsabilità individuale è un mito giacché crimini e violenze sono prodotti della società borghese—non possono non ripetere, col protagonista di una vecchia sceneggiata napoletana,”chesta non è giustizia, è ‘nfamità!”. Il fatto che delle vittime si occupino solo i giornali del centro-destra—o trasmissioni televisive come quelle di Nicola Porro, di Mario Giordano (sempre sopra le righe), di Paolo Del Debbio—dovrebbe indurre le sinistre a mettere da parte il ‘politicamente corretto’—che spesso le porta a nascondere la provenienza exracomunitaria di chi delinque–e a chiedersi, seriamente, come mai una pronipote del ‘fucilatore’ Giorgio Almirante si trovi oggi a Palazzo Chigi.

Dino Cofrancesco

Presidente dell’Associazione Culturale Isaiah Berlin

Come le idee di Sinistra sono migrate a Destra – Pietro Senaldi (Direttore di Libero) intervista Luca Ricolfi

14 Novembre 2022 - di fondazioneHume

PoliticaSpeciale

Il suo ultimo lavoro si intitola “La mutazione” e allude al passaggio a destra di alcuni valori cardine della sinistra. Ma prima dei partiti, non è cambiata la società italiana, e in che modo?

Sì, dei cambiamenti del sistema-Italia ci sono stati, ma il più importante a me pare l’aumento del grado complessivo di incertezza, del senso generale di vulnerabilità, provocato da un complesso di fattori: a partire dal 2011, l’esplosione del problema migratorio in seguito alla morte di Geddafi; nel 2007-2013 la instabilità finanziaria; dopo la crisi finanziaria, l’irruzione sulla scena mondiale dei cosiddetti perdenti della globalizzazione. La destra ha colto il cambiamento, cercando di dare risposte più o meno efficaci all’incertezza, la sinistra non ha minimamente capito che la globalizzazione, l’Europa, le istituzioni internazionali stavano diventando invise ai cittadini in difficoltà.

La sinistra è diventata un cartello di gestione del potere e questo l’ha allontanata dall’ascolto delle esigenze della popolazione: è stato un processo inconsapevole o nel tempo è diventata una strategia per conservare il potere, abbassando il livello di istruzione e quindi di consapevolezza generale per creare una massa manovrabile con qualche slogan politicamente corretto e quindi virtualmente incontestabile?

Direi che è stato un processo inconsapevole, guidato dalla naturale attrazione per il potere. Escluderei che dirigenti strutturalmente incapaci di accorgersi dei più elementari e vistosi cambiamenti della realtà possano aver consapevolmente perseguito forme di istupidimento delle masse.

Perché il merito fa così paura a sinistra, se è il solo modo di riattivare l’ascensore sociale e perché la sinistra non concepisce più la cultura come mezzo di elevazione sociale, concetto peraltro gramsciano?

Perché, grosso modo dal 1962 (anno della riforma della scuola media), e con particolare energia dal 1968, i dirigenti della sinistra si sono convinti che la partita della competizione sociale si giocasse tutta all’interno della scuola, e che la posta in gioco fossero i titoli di studio conseguiti. Di qui l’idea – imbarazzante per la sua stoltezza – che abbassando livello degli studi e asticella della promozione si sarebbe prodotta più eguaglianza.

Merito, sovranità alimentare, made in Italy, natalità: perché la sinistra ha criticato e scatenato battaglie ideologiche contro la promozione di queste parole? Sono concetti di destra, di sinistra o semplicemente di buon senso?

A me sembrano concetti di buon senso, che sono diventati improvvisamente radioattivi quando la destra li ha fatti propri. Nei loro confronti la sinistra reagisce pavlovianamente, come il toro davanti al drappo rosso.

Perché la libertà di pensiero è difesa dalla destra e non dalla sinistra, che pare ontologicamente allergica ad accogliere punti di vista differenti e votata a squalificare e degradare chi non si sottomette ai suoi diktat culturali e dal sapore propagandista?

La destra si è trovata, quasi per caso, a difendere la libertà di pensiero semplicemente perché la sinistra, con l’adesione acritica al politicamente corretto, ha progressivamente assunto tratti sempre più intolleranti. Un’intolleranza che, a sua volta, deriva dalla convinzione di incarnare la civiltà contro la barbarie, la ragione contro l’oscurantismo dei conservatori.

Il reddito di cittadinanza è diventata la linea del Piave della sinistra, solo che è una bandiera grillina. E’ il simbolo dell’abdicazione del Pd in favore di M5S del ruolo di difensore dei poveri?

Sì, ma non è l’unica abdicazione a favore dei Cinque Stelle. Oltre alla difesa dei poveri, i Cinque Stelle stanno sottraendo alla sinistra ufficiale la bandiera della pace, l’ecologia, l’arcipelago dei bonus più o meno assistenziali.

Qual è la dottrina delle tre società, che lei ha elaborato?

La dottrina distingue fra tre segmenti sociali, distinti in base al rapporto con il mercato del lavoro. La prima società, o società delle garanzie, è costituita dai lavoratori dipendenti stabili delle imprese medie e grandi, per lo più tutelati dalle organizzazioni sindacali. La seconda società, o società del rischio, è costituita dai lavoratori più esposti alle turbolenze del mercato: partite Iva, piccoli imprenditori, dipendenti regolari delle piccole imprese, lavoratori a tempo determinato delle imprese medie e grandi. La terza società, o società degli esclusi, è costituita da tre gruppi principali, accomunati dalla loro marginalità: lavoratori in nero (compresi vari tipi di quasi-schiavi, che ho descritto ne La società signorile di massa), disoccupati veri e propri (alla ricerca di un lavoro), lavoratori potenziali scoraggiati (disponibili a a lavorare, ma non in cerca di lavoro).

E’ incredibile, ma ai tre tipi di società corrispondono nitidamente tre opzioni politiche: i garantiti guardano a sinistra, i membri della società del rischio a destra, gli esclusi al movimento Cinque Stelle.

Chi sono oggi i deboli che la sinistra non difende più, cosa vogliono e cosa si aspettano dalla politica?

I dati mostrano senza ombra di dubbio che i deboli sono sovrarappresentati nella società del rischio (che guarda a destra) e nella società degli esclusi (che guarda ai Cinque Stelle).

I progressisti si sono persi inseguendo il mito del progresso, e scambiandolo erroneamente con la globalizzazione, così come cent’anni fa la destra si perse dietro il mito dell’uomo forte?

Sì e no, per come la vedo io c’è una differenza: il mito del progresso è una forza verso qualcosa, tipo una società prospera e liberata, mentre il mito dell’uomo forte, almeno in Italia, si formò anche, se non soprattutto, come reazione ai processi di disgregazione del sistema sociale in atto dopo la fine della prima guerra mondiale.

Perché i ricchi e chi ha posizioni di rendita vota a sinistra?

Per due ragioni distinte. L’interesse, dal momento che la sinistra ha abbandonato la lotta di classe e si è fatta establishment, attentissima alle esigenze dei ceti alti. E l’autogratificazione, perché un ricco che vota a sinistra, difende i migranti, è sensibile alle istanze LGBT+, tende a sentirsi moralmente superiore, e al tempo stesso “lava” (a costo zero) la colpa di essere ricco.

Lei ha partecipato al convegno di Milano organizzato nella scorsa primavera dall’allora leader di Fdi. Qual è il modello sociale proposto dalla Meloni?

Per quel che riesco a capire è parecchio diverso da quello di Salvini e Berlusconi. Fratelli d’Italia non è un partito liberista, semmai è una evoluzione della destra sociale, con robuste tentazioni stataliste e welfariste. Sul piano giudiziario, poi, Fratelli d’Italia è meno garantista di Forza Italia, come del resto è emerso chiaramente con il decreto anti-rave. E poi c’è l’aspetto più interessante: la battaglia per il merito a scuola l’ha lanciata Fratelli d’Italia, mentre gli alleati sembrano avere una visione più aziendale del ruolo della scuola.

Se perfino la Meloni promuove concetti di sinistra, significa che la destra in Italia non esiste più, o che è rappresentata da Salvini e Berlusconi o da Calenda? Insomma, da zero a quattro, quante destre ci sono in Italia?

Direi quattro, cioè quelle che ha indicato lei, ma potrebbero ridursi presto a due soltanto: la destra sociale di Meloni, e la destra liberal-liberista di Salvini e Berlusconi, o dei leader che prenderanno il loro posto. Calenda e Renzi non li vedo benissimo, a meno che riescano a convincere il Pd ad assorbirli e a macronizzarsi.

E sempre da zero a quattro, considerate le mutazioni di Fdi, quante sinistre ci sono in Italia?

Apparentemente sei, ma in realtà solo due: la sinistra qualunquista dei Cinque Stelle, con cespugli annessi (Fratoianni e Bonelli) e la sinistra senza volto del Pd (anche lei con cespugli annessi: +Europa, qualche pezzo di “terzo polo”). La grande incognita è quale volto assumerà il Pd dopo il congresso, sempre che la lunga attesa non l’abbia nel frattempo fatto sparire.

C’è un idem sentire dell’elettore di destra, per esempio rappresentato dai valori dell’ordine, della sicurezza, della detassazione?

Forse un idem sentire c’è, ma credo che il cocktail sia più complesso e sfuggente. Fra gli ingredienti che lo definiscono includerei il pragmatismo, l’ostilità verso le discussioni astratte, l’insofferenza per le ossessioni del politicamente coretto, l’anti-intellettualismo, la diffidenza verso il progresso, l’ostilità alle procedure e alla burocazia. Insomma, una sorta di neo-tradizionalismo, che poggia sulla netta sensazione che la freccia del tempo non punti sempre nella direzione giusta.

Il concetti di difesa della nazione e dei suoi interessi e di patriottismo reggono in un Paese di anarchici qual è l’Italia?

Forse sì, perché il patriottismo oggi richiesto è veramente minimale, e un problema di difesa dell’interesse nazionale esiste effettivamente.

La sfida della Meloni in Europa ha possibilità di successo e in che modo differisce da quelle di Berlusconi e di Salvini, che si scontrarono con la Ue, che ne determinò l’inizio dei rispettivi tramonti?

Sono i tempi, più che i leader, ad essere cambiati. L’Europa ha dato così cattiva prova di sé nella gestione della crisi energetica, che l’idea di una ortodossia europea da onorare e rispettare ha perso gran parte dell’antica autorevolezza. Credo che, se ci sarà un tramonto della stella di Giorgia Meloni, sarà il risultato di vicende domestiche. Tipo estenuanti trattative e bracci di ferro con Salvini e Berlusconi sulla politica economica, errori nei tempi e nei modi di varare le misure più identitarie.

A quali misure pensa, in particolare?

Essenzialmente tre: diritti civili, specie in materia di aborto; gestione dei migranti; merito e riforma della scuola.

Che giudizio dà della prima missione della Meloni in Europa?

Immagino si sia trattato, più che altro, una utile e doverosa visita di cortesia. E’ a partire dalla seconda che, forse, potremo farci un’idea.

Quali possono essere gli argomenti divisivi all’interno di questo governo e secondo lei durerà?

Credo che gli argomenti divisivi saranno quelli economici: entità dello scostamento di bilancio, tempi di realizzazione del programma fiscale, superamento della legge Fornero, ponte sullo stretto di Messina.

Quanto alla durata, non ne ho la minima idea. Però non mi stupirei che, a un certo punto, Meloni si convinca di poter andare al voto e vincere da sola.

Lei ha affermato che questo governo rappresenta una svolta storica non perché Meloni è una donna ma perché è una persona eccezionale, diversa da tutti gli altri politici.  In che senso?

Nel senso che ha due caratteristiche che mancano agli altri leader, di destra e di sinistra: primo, crede fortemente nelle sue idee; secondo, è disposta a rischiare per non tradirle.

Resta da vedere se saprà essere all’altezza anche come premier, il silenzio sulle bollette e il pasticciatissimo decreto anti-rave non fanno ben sperare.

La crisi della sinistra non è dovuta all’incapacità di produrre leader? Il centrodestra ne ha tre, che pur con tutti i difetti, lo sono. La sinistra ha prodotto solo Renzi, che non è di sinistra: come mai, carenza di qualità o questioni ambientali e culturali che impediscono la nascita di un leader?

Domanda difficile. Forse il problema è l’eccesso di colonnelli. Sembra che nel Pd viga una sorta di principio di limitazione del potere, per cui si cerca di evitare che qualcuno ne assuma troppo. Se qualcuno ci prova, come ha fatto Renzi, il corpaccione del partito reagisce espellendo l’intruso. E’ come se il Pd fosse governato da un consesso di oligarchi, che temono l’emergere di un monarca.

Le prime mosse del governo Meloni – dal tetto al contante all’anticipazione di un mese del rientro al lavoro dei medici no vax fino al decreto anti-rave party – sono state molto contestate perché ritenute provocatorie o di marginale importanza: condivide la critica, perché Meloni ha deciso di partire da lì e quanto piacciono o non piacciono queste iniziative agli elettori?

Condivido la critica. Si poteva partire in modo più prudente, senza attirarsi le critiche tutt’altro che immotivate dei media ostili. Però non penso che le critiche dell’establishment politico-cultural-mediatico possano cambiare il giudizio (positivo) degli elettori di destra, poco inclini ad attardarsi sulle sottigliezze.

La destra produce il primo premier italiano, le donne del Pd protestano contro il loro partito sostenendo di essere discriminate dai colleghi capi maschi. Tra i valori trasmigrati da sinistra a destra c’è anche la promozione della donna, oppure questo è sempre stato un valore trasversale, se non addirittura di destra, visto che in tutto il mondo le donne capo arrivano da destra?

Non credo che la promozione della donna sia una nuova bandiera della destra, semplicemente non è mai stata una pratica di sinistra. Quel che colpisce, a sinistra, è la dissociazione fra la teoria e la pratica. I miei compagni sessantottini trasformavano le donne in “angeli del ciclostile”, i loro discendenti  maschi – da Renzi a Letta – praticano la cooptazione. D’altro canto, vien da dire: ma che dovrebbero fare, se le donne di sinistra sono acquiescenti? Dopotutto la Meloni il suo posto se lo è conquistato combattendo, non certo per gentile concessione dei maschi di destra.

Da innamorato deluso della sinistra e da eminente sociologo e politologo, che via si sente di indicare al Pd, che tra cinque mesi celebrerà un congresso fondamentale per le proprie sorti?

Io penso che fra cinque mesi, quando si degneranno di tenere un congresso, i buoi saranno già scappati nella stalla dei cinque Stelle. A quel punto al Pd resteranno solo due strade: o calendo-renzizzarsi, con grande smacco; o diventare esplicitamente quel che già è: un partito radicale di massa, che si occupa solo di diritti civili e immigrazione, ed è sinceramente convinto di rappresentare “la parte migliore del Paese”.

Perché l’argomento dell’antifascismo e della difesa strenua della Costituzione, cavalcato dalla sinistra, non ha fatto breccia nell’elettorato e perché la sinistra continua a cavalcarlo, se è sterile?

La sinistra cavalca l’anti-fascismo semplicemente perché i suoi dirigenti, rifiutando per decenni il dialogo con la parte avversa, hanno perso ogni capacità di comprendere i vissuti profondi della società italiana. Quanto agli elettori, secondo me l’argomento anti-fascista non funziona per due ragioni distinte. La prima è che la gente non ha perso del tutto il senso dell’umorismo, e trova ridicolo evocare il pericolo fascista.

Ma c’è forse anche una seconda ragione, più profonda. Contrariamente a quel che paiono pensare gli scrittori di libri antifascisti sul fascismo, l’ambivalenza degli italiani verso il fascismo non dipende da una segreta simpatia per il Ventennio, o da una incompiuta maturazione democratica, ma da una sorta di imbarazzo per la nostra storia. Quella pagina della storia d’Italia non è onorevole, e non bastano le gesta dei partigiani ad assolvere la maggioranza, che prima seguì il Duce, e solo alla fine passò dalla parte giusta. E’ possibile che una parte degli italiani, più o meno confusamente, quell’imbarazzo lo senta ancora.

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