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Liberismo sanitario

12 Gennaio 2022 - di Luca Ricolfi

In primo pianoSocietà

Ero già stupito a fine ottobre, quando i primi chiari segnali di ripartenza dell’epidemia (incidenza e Rt) vennero ignorati dalle nostre autorità politiche e sanitarie. Da allora non ho fatto che ristupirmi, perché né la scoperta di omicron e della sua trasmissibilità, né i rischi connessi alle vacanze natalizie hanno condotto al varo di misure tempestive e incisive. Ma ieri il mio stupore si è trasformato in incredulità. Nel giorno in cui i contagi hanno superato la cifra record di 200 mila casi al giorno, il Consiglio dei ministri ha deciso che entro lunedì 10 gennaio tutti gli ordini di scuole riapriranno, e che solo nelle scuole materne lo faranno con la cautela minima necessaria, ossia con la regola: se c’è anche un solo positivo in classe la frequenza si interrompe per tutti. Non me lo aspettavo, non tanto perché lo giudico molto imprudente (a decisioni che considero incaute sono abituato da due anni, ma può essere che sia io a essere troppo cauto), ma perché sui rischi di apertura si erano espressi chiaramente molti presidenti di regione e molti dirigenti scolastici. I primi invocando il via libera preventivo del Comitato tecnico-scientifico, i secondi spiegando dettagliatamente perché le scuole e le Asl non erano in condizione di garantire un rientro “in sicurezza”.

Quando succede una cosa che non ti aspetti, la domanda da farsi non è “perché sbagliano?” ma “che cosa gli fa pensare di fare la cosa giusta?” Perché se l’esecutivo agisce come agisce, e il Comitato tecnico-scientifico avalla tacendo, una logica ci deve pur essere. Ma quale può essere questa logica?

A me pare che la logica che guida la filosofia di “apertura a oltranza” poggi su una scelta di fondo, maturata e ribadita innumerevoli volte in questi mesi: lasciamo pure correre i contagi, tanto – grazie ai vaccini – si muore poco e si va poco in ospedale. Questa scelta di “liberismo sanitario”, paradossalmente, è stata rafforzata e non indebolita dalla comparsa della variante omicron, di cui si è preferito sottolineare la mitezza condizionale (“poco più di un raffreddore, se si è vaccinati”) che l’estrema contagiosità. Di qui l’idea che il vero problema sia la resistenza del popolo novax, e che obbligando tutti a vaccinarsi usciremo dall’incubo.

Ma regge questo ragionamento?

Sfortunatamente no. La scommessa liberista è incompatibile con i dati su quattro punti fondamentali.

Primo, l’esperienza degli altri paesi mostra che la vaccinazione di massa è necessaria ma non sufficiente a fermare il contagio. Lo mostra senza ombra di dubbio il fatto che Rt è sopra la soglia critica di 1 in tutte le società avanzate, compresi i paesi che hanno vaccinato tutti i vaccinabili  (Portogallo) o sono molto avanti con le terze dosi (Israele, Regno Unito).

Secondo, noi discutiamo come se il nostro problema fossero i 5 milioni di maggiorenni non vaccinati, o i 2 milioni di ultra-cinquantenni non vaccinati (che sarebbero tenuti a vaccinarsi entro metà febbraio), ma i non vaccinati sono ben 11 milioni, di cui circa 3 non vaccinabili in assoluto (bambini fino a 4 anni), e altri 3 (bambini da 5 a 11 anni) vaccinabili solo nei casi in cui i genitori superassero i loro dubbi, peraltro condivisi da una parte della comunità scientifica e delle istituzioni sanitarie (nel Regno Unito la vaccinazione dei più piccoli non è ammessa). Tutto questo significa che l’obbligo per gli ultra 50-enni, ove venisse rispettato integralmente, coprirebbe circa il 20% della popolazione non vaccinata, mentre più del 50% del problema sta precisamente negli allievi delle scuole materne, elementari e medie, che ci apprestiamo a riaprire da lunedì.

Terzo, oggi il problema principale non è che 5 milioni di adulti non si vogliono vaccinare, ma che 15 milioni di adulti non riescono a farlo, perché gli hub vaccinali non sono in grado di coprire la richiesta di terze dosi per coloro che hanno perso la protezione.

Quarto, il calcolo secondo cui possiamo permetterci di lasciar correre il contagio perché la probabilità di ammalarsi gravemente è bassa, si scontra con l’aritmetica dell’epidemia: se la letalità si dimezza, ma i contagi quadruplicano (cosa per cui bastano 2 settimane), il numero di morti e di ospedalizzati raddoppia, rendendo catastrofica una situazione che negli ospedali di molte regioni è già oggi drammatica.

Ecco perché dicevo che la scommessa liberista di lasciar correre i contagi è incompatibile con i dati, ovvero con quel che si sa dei meccanismi che governano questa epidemia. Qualsiasi cosa si pensi del perché siamo arrivati fin qui, è difficile non prendere atto che lasciar (ancora) correre il virus è un azzardo che non ha alcun supporto nei dati.

Possiamo dolerci della chiusura delle scuole e del ritorno alla Dad, ma se siamo lucidi dovremmo riconoscere che è prima che avremmo dovuto tutelarle, le nostre amate scuole, con le tante cose che sono state invano proposte, dall’aumento delle aule alla ventilazione meccanica controllata. Ora ci resta solo da prendere atto che rimandarne l’apertura, come per primo ha proposto il governatore della Campania, non è certo la soluzione, ma è il minimo sindacale per provare a rallentare l’epidemia.

Verso l’obbligo, fra preoccupazione e speranza

4 Gennaio 2022 - di Luca Ricolfi

In primo pianoSocietà

Non mi è mai piaciuta granché l’idea di imporre un obbligo su un vaccino completamente nuovo. E penso che, con scelte di politica sanitaria più sagge, non saremmo mai arrivati a porci la domanda se rendere la vaccinazione obbligatoria per tutti.

Però quel che è stato è stato: la terza dose è partita con un ritardo di tre mesi, nulla è stato fatto su trasporti e ventilazione degli ambienti chiusi, ai vaccinati si è lasciato credere che corressero pochissimi rischi. Il risultato è che l’epidemia galoppa, il numero effettivo di soggetti positivi, o a diretto contatto con positivi, è dell’ordine di 5 o 6 milioni (1 italiano su 10), gli ospedali e le terapie intensive sono sotto pressione, i malati ordinari faticano ad essere ricoverati e curati, il numero dei morti quotidiani è il quadruplo di due mesi fa ed è in costante aumento.

In questa situazione, l’unica cosa che non possiamo permetterci è continuare a non fare nulla. E purtroppo il novero delle misure fra cui, nell’emergenza, siamo costretti a scegliere, non può che essere quello degli interventi (dolorosi) che producono effetti significativi a breve: estensione più o meno ampia dell’obbligo vaccinale, lockdown per i non vaccinati, Super Green Pass per accedere al lavoro, mascherine ffp2 sui mezzi pubblici, e così via.

Insomma: l’ampliamento dell’obbligo, più che essere “giusto” e risolutivo, è uno dei pochissimi rimedi disponibili al non fatto sin qui. E allora obbligo sia, purché però si tenga conto di tutti i dati della situazione, comprese le esperienze degli altri paesi.

Il dato più importante della situazione, a mio parere, è l’attuale inadeguatezza della macchina vaccinale in Italia: il numero di vaccinazioni giornaliere (circa 400 mila al giorno) è largamente insufficiente a fronteggiare la domanda. Molti continuano a ragionare come se il problema fosse solo l’ostinato rifiuto del vaccino da parte di 5 o 6 milioni di NoVax adulti, senza vedere l’altro enorme problema, quello degli “scaduti”: 18 milioni di persone che si sono vaccinate nei primi 8 mesi del 2021, vorrebbero fare la terza dose, ma in tanti casi devono ancora attendere a lungo, in quanto gli hub vaccinali e le farmacie sono sopraffatte dalle richieste. La politica può anche imporci l’obbligo, ma non può esortarci ossessivamente a vaccinarci tutti – NoVax, vaccinati “scaduti”, bambini – e poi non garantire un tempo di attesa ragionevole a chi intende vaccinarsi. Se obbligo sarà, che almeno la capacità di vaccinazione sia portata quanto prima a un livello accettabile.

Si potrebbe supporre che, una volta ridotto il numero di non vaccinati e completata la campagna per la terza dose, saremo sostanzialmente al sicuro. Su questo, tuttavia, l’esperienza degli altri paesi europei, e più in generale occidentali, ci fornisce sia motivi di preoccupazione, sia motivi di speranza.

Motivi di preoccupazione perché i paesi che più hanno vaccinato e/o più sono avanti con il cosiddetto booster (terza dose), ad esempio Portogallo, Spagna, Danimarca, Israele, Malta, Islanda, hanno tutti valori di Rt ampiamente superiori a 1, qualche volta prossimi a 2 (un valore catastrofico). Poiché si tratta anche dei paesi nei quali la variante omicron è più diffusa, pare doversi concludere che – a questi livelli di vaccinazione, e con questi vaccini (pensati per varianti precedenti) – la variante omicron risulta ancora vincente nel braccio di ferro con il vaccino.

Dobbiamo disperarci?

Forse no. Intanto perché nessun paese, nemmeno Israele, è finora riuscito a fare fino in fondo quel che andava fatto: vaccinare quasi tutti, e non permettere che i già vaccinati perdano la protezione a causa dei ritardi nella somministrazione della terza dose. E’ possibile che la corsa del virus, ora apparentemente inarrestabile, si fermi quando avremo portato a termine entrambe le missioni, ovvero vaccinare (possibilmente con vaccini aggiornati!) un alto numero di attuali NoVax, e fornire tempestivamente il booster agli “scaduti”.

Ma la ragione principale che può indurci a confidare nel futuro è l’analisi statistica della letalità nei paesi in cui la variante omicron è più diffusa. E’ presto per trarre conclusioni definitive, ma è interessante osservare che nelle ultime settimane, nella maggior parte dei paesi ad alta presenza di omicron, mentre il numero di casi diagnosticati esplodeva, il numero dei decessi non dava alcun segno di voler seguire il numero dei contagi. In Israele, Sud Africa, Australia, Stati Uniti, Canada, Regno Unito,  Svezia, Spagna, tutti paesi in cui a dicembre il contagio è dilagato, il numero dei decessi è rimasto sostanzialmente invariato, o è addirittura diminuito. Poiché tutto ciò è avvenuto nel breve volgere di poche settimane, sembra difficile attribuire la diminuzione tendenziale della letalità a un’improvvisa accelerazione della campagna di vaccinazione, o a un drastico mutamento dell’età media della popolazione degli infetti.

L’analisi statistica, dunque, pare dar torto agli esperti che avevano invitato a non illuderci di una minore letalità della nuova variante. Ad oggi, almeno sulla letalità della variante omicron, l’evidenza empirica disponibile dà qualche conforto agli ottimisti.

Una mela mezza avvelenata – Sull’eredità (sanitaria) del governo Draghi

27 Dicembre 2021 - di Luca Ricolfi

In primo pianoPolitica

Il primo anno di Draghi al governo si è concluso con una conferenza stampa autocelebrativa a 360 gradi, dalla politica economica alla politica sanitaria.

Sul modo in cui il governo Draghi ha gestito l’economia italiana fin qui, è difficile pronunciarsi oggi. Troppe azioni sono incompiute, troppe nuvole si addensano sul versante dell’occupazione, dei prezzi, dei conti pubblici. Solo il tempo potrà dirci fino a che punto l’autolode pronunciata dal premier nella conferenza di fine anno sia giustificata, o non sia stata un tantino prematura.

Sulla gestione della pandemia, invece, un bilancio è possibile. Anzi è necessario. Perché se non capiamo qual è la logica con cui ci si è mossi fin qui, difficilmente potremo orizzontarci nel complicato futuro che ci attende.

Dunque, proviamo a ripercorrere questo terribile 2021. Qual è stata la stella polare del governo Draghi?

A me pare che, fondamentalmente, la stella polare sia stata la credenza, assoluta e quindi anti-scientifica, nel potere salvifico dei vaccini. E’ una deriva che non è stata inaugurata da Draghi (era già in atto durante il governo Conte), ma che Draghi ha pienamente e convintamente assecondato. Accoppiandola con la scelta, questa sì diversa da quella del governo precedente, di perseguire il ritorno alla normalità a qualsiasi costo. Dove ritorno alla normalità ha significato, in sostanza, scegliere sempre – nei momenti critici – la strada delle aperture, ignorando le voci di chi ne sottolineava rischi.

E’ importante notare che questa sordità nei confronti delle preoccupazioni del “partito della prudenza” si è manifestata sia in primavera, con la scommessa del “rischio ragionato” (17 aprile), con cui il premier annunciava un progressivo allentamento delle restrizioni, sia in autunno, con la scelta di lasciar correre l’epidemia fino a Natale.

La differenza fra le due situazioni è cruciale. Ad aprile le preoccupazioni del “partito della prudenza”, che profetizzava 5-600 morti se si fosse aperto prematuramente, non avevano una base statistica solida (proprio per questo ne presi le distanze, con un articolo sul Messaggero). E infatti l’estate trascorse senza troppi drammi, e si incaricò di mostrare che la scommessa di Draghi non era azzardata.

A ottobre e novembre, invece, le preoccupazioni del partito della prudenza erano diventate perfettamente giustificate, perché nel frattempo – fra maggio e agosto – erano intervenuti una serie di fatti e scoperte nuove, che alteravano drasticamente il quadro.

  1. Nessuno dei vaccini approvati è sterilizzante.
  2. L’immunità di gregge non è raggiungibile, neppure vaccinando il 100% della popolazione.
  3. La protezione assicurata dai vaccini è molto più breve del previsto.
  4. La variante delta, molto più trasmissibile di tutte quelle precedenti, neutralizza buona parte dei vantaggi apportati dai vaccini (detto brutalmente: un vaccinato in presenza della delta corre più o meno il medesimo rischio di infezione di un non vaccinato ai tempi del virus originario).
  5. Anche i vaccinati possono contagiarsi e contagiare gli altri, sia pure con minore probabilità dei non vaccinati.
  6. La trasmissione del virus per aerosol, ostinatamente negata (anzi bollata come fake news) dall’OMS, rende estremamente pericolose le interazioni negli ambienti chiusi.
  7. A parità di altre condizioni, il mero arrivo della stagione fredda, con l’abbassamento delle temperature e la fine della vita all’aperto, comporta un sensibile aumento dei contagi, e quindi delle ospedalizzazioni e dei decessi.

Di fronte a queste novità, come ha reagito il governo?

Sostanzialmente come se non esistessero. Se le avesse prese in considerazione avrebbe fatto altre scelte.

Ad esempio: partire con le terze dosi ad agosto, anziché a ottobre; non alimentare la credenza che, se ci si incontra solo fra vaccinati, non si corrono rischi; rafforzare il trasporto pubblico locale; caldeggiare l’uso delle mascherine ffp2 negli ambienti chiusi; iniziare a introdurre la ventilazione meccanica controllata nelle scuole, come più volte richiesto da studiosi indipendenti e opposizione parlamentare.

La linea seguita, invece, è stata un’altra: lasciare che il virus corresse, contando sul fatto che, grazie ai vaccini, le ospedalizzazioni e i decessi non sarebbero stati numerosi come in passato.

Questa impostazione, finita l’estate, ha condotto a un enorme aumento dei contagi, di cui ora si tenta di incolpare la variante omicron. Ma è una imputazione fuorviante: l’aumento del numero di contagi era iniziato già a metà ottobre, e quando è arrivata omicron (inizio dicembre), la situazione era già ampiamente fuori controllo. La nuova variante si è limitata ad accelerare ulteriormente la corsa del virus, scatenando il panico fra i cittadini, e fornendo alla politica qualche argomento per nuove restrizioni.

Il confronto con il Natale dell’anno scorso è impressionate. Allora i casi giornalieri erano la metà di oggi e, soprattutto, la curva dei contagi era in picchiata da 6 settimane. Oggi i contagi sono il doppio dell’anno scorso e la curva è in salita vertiginosa da ben 9 settimane. E non si pensi che lo sia in tutto il mondo, o in tutta Europa: da molte settimane le curve dei contagi sono in regresso in quasi tutti i paesi dell’Est, e pure in diversi paesi occidentali: Austria, Olanda, Belgio, Germania, Norvegia, Grecia.

Ma per il governo l’unica cosa che conta sono i decessi e i posti letto occupati che, grazie ai vaccini, sono molti meno dell’anno scorso. Il numero di contagiati pare non contare nulla, in barba all’allarme lanciato sulle conseguenze del long-covid, buone per convincere i genitori a vaccinare ragazzi e bambini, ma stranamente dimenticate quando l’ennesimo bollettino sanitario certifica il numero di nuovi positivi, come se per questi ultimi il long-covid non esistesse.

A quanto pare, finché gli ospedali non scoppiano, si può continuare a non fare quasi nulla per fermare l’epidemia. La parola d’ordine è, e resta: normalità ad oltranza.

Obiettivo sacrosanto, ma la vera domanda è: qual è il costo economico di aver lasciato correre il contagio?

Perché è vero che il mondo dell’economia ha molto beneficiato di questi mesi di riconquistata (quasi) normalità, ma è forse ancora più vero che il non aver fatto quasi nulla per attutire l’impatto della stagione fredda ha fatto riesplodere i contagi, e così ha finito per risvegliare il nemico numero uno dell’economia: la paura di infettarsi, che frena i consumi e abbatte la mobilità delle persone.

Eppure dovrebbe essere chiaro: per proteggere gli ospedali può (forse) bastare contenere il numero dei malati gravi e dei decessi, ma per proteggere l’economia occorre anche contenere il numero di contagi. Perché è il rischio di infettarsi che governa la paura, ed è la paura che governa i comportamenti economici. Lo vediamo con i nostri occhi in queste vacanze natalizie, in cui la paura sta falcidiando gli introiti delle vacanze natalizie, e rischia di mettere a repentaglio quel che resta della stagione turistica invernale. Nulla fa presagire, infatti, che gennaio e febbraio non ci riservino nuove restrizioni e nuovi sacrifici, allontanando ancora una volta il sogno della normalità.

Ecco perché, sul bilancio di Draghi in conferenza stampa, resto alquanto perplesso.

La sua eredità è come una mela, metà economia e metà sanità. E’ possibile che, alla fine, la metà economica risulti abbastanza integra. Lo speriamo tutti. Ma la metà sanitaria rischia di rivelarsi avvelenata per chiunque si troverà al timone dell’Italia nel 2022.

“Il Governo sbaglia. Così fa abbassare la guardia ai vaccinati”. Intervista a Luca Ricolfi

17 Dicembre 2021 - di Luca Ricolfi

In primo pianoSocietà

Professor Luca Ricolfi, in un intervento su Repubblica la settimana scorsa ha detto chiaramente che il vaccino serve, ma da solo non basta. Lo ha sostenuto prima che venissero diffusi i primi studi in pre-print da parte delle autorità sanitarie sudafricane sull’andamento della variante Omicron, che confermerebbero una maggiore velocità di contagio. È ancora più preoccupato rispetto a 7 giorni fa?

Sì, perché seguo l’andamento dell’epidemia in Africa, e lì emerge una cosa terrificante: nei paesi in cui la variante Omicron ha già preso piede, il valore di Rt, che è già molto pericoloso quando raggiunge 1,4 o 1,5, sta viaggiando a valori vicini a 2 o 3. Un valore di Rt pari a 3 significa triplicazione dei casi in meno di una settimana, decuplicazione in 2 settimane, centuplicazione in un mese. Ma anche un valore di Rt pari a 2 non scherza: significa decuplicazione dei casi in 3 settimane. Per quel poco che si riesce a ricavare dai database dei sequenziamenti, Omicron è già piuttosto diffusa in Spagna e Francia, dove infatti Rt galoppa vicino a 1,5.

E in Italia?

In Italia ci vien detto che abbiamo poche decine di casi, ma ovviamente dipende dai pochi sequenziamenti. Secondo le ultime rilevazioni, il peso di Omicron è dell’1%, il che, su 500mila tamponi, fa 5mila casi.

La velocità di propagazione di Omicron però non è tutto. I virologi insegnano che la funzione principale dei vaccini è quella di proteggerci dalle ospedalizzazioni. Tutto sommato infettarsi e avere sintomi nulli o lievi non è un problema. Non crede?

Sì, a certe condizioni. Tutto dipende da due parametri, che nessuno conosce con precisione. Il primo è l’impatto della variante Omicron sul numero dei casi, il secondo è l’efficacia dei vaccini su di essa. Può darsi che i vaccini siano altrettanto efficaci che sulla Delta, e persino che la Omicron dia sintomi meno severi. Ma che succede se, a causa della sua facilità di trasmissione, il numero di infetti decuplica? Attualmente abbiamo 800 ricoverati in terapia intensiva, 8000 non potremmo in nessun modo sostenerli.

Quindi secondo lei non siamo ancora fuori dalla pandemia ma anzi dobbiamo continuare a stare attenti. Il Governo quindi sta sbagliando a lanciare un messaggio ottimista?

È un errore madornale. Oggi è difficile stabilire se siano più pericolosi i non vaccinati o i vaccinati. I non vaccinati contagiano di più e si ammalano di più, ma hanno il vantaggio di essere pochi. I vaccinati contagiano di meno, ma sono tanti (circa il triplo dei non vaccinati), e non di rado si credono invulnerabili. Il messaggio “sei stato bravo, hai avuto senso civico, ti premio lasciandoti fare quasi tutto quel che vuoi” sta determinando effetti catastrofici. La gente abbassa la guardia proprio perché è vaccinata. E fa malissimo, perché – stanti i ritardi del Governo nella campagna per la terza dose – la maggior parte dei vaccinati è ben poco protetta rispetto al rischio di infezione. Il dato cruciale di questa fase è l’illusione vaccinale, alimentata dalle autorità politiche e sanitarie: è da giugno che sappiamo che la copertura rispetto all’infezione dura solo 4-5 mesi, eppure il green pass ne dura ancora 12, e ne durerà ancora 9 dopo il 15 dicembre (nel frattempo, paradosso dei paradossi, i soggetti positivi possono girare con un green pass valido, perché al Ministero non hanno ancora trovato un modo di bloccarne la validità). È difficile dare dei numeri incontrovertibili ma, da stime che ho effettuato su dati americani, a me risulta che almeno metà dei contagi sono dovuti a interazioni vaccinato-vaccinato. Vaccinare va benissimo, ma pensare che basti significa non aver capito come funziona questa epidemia.

Lei dice che vaccinare è condizione necessaria, ma non sufficiente. Quali sono le ulteriori misure che dovrebbero essere prese per passare dal necessario al sufficiente?

Una misura ovvia, incredibilmente messa da parte, è il tracciamento elettronico, ovviamente con una App meno problematica di Immuni. Ma la via maestra è il controllo della qualità dell’aria.

Con quali strumenti?

Con i sensori della CO2 (anidride carbonica), i filtri di purificazione dell’aria e, ancor meglio, con la Ventilazione meccanica controllata (Vmc). Tutte soluzioni fin qui completamente ignorate, non saprei dire perché. Forse perché hanno un costo economico ed organizzativo non indifferente. Forse semplicemente perché, incredibilmente, ingegneri, chimici, fisici e statistici (il mio mestiere) sono stati esclusi dalla gestione dell’epidemia. I nostri modelli matematici dicevano chiaramente che, senza misure specifiche di contenimento, la stagione fredda e il passaggio alla vita al chiuso avrebbero triplicato o quadruplicato il numero dei casi, facendo così saltare il tracciamento.

La ventilazione dei luoghi chiusi è misura che esplicherà gli effetti nel medio periodo. A breve invece, in vista dell’inverno, che fare?

Nel breve periodo non si può fare quasi nulla, salvo mandare segnali di prudenza chiari, o con degli spot o con un messaggio del Presidente del Consiglio a reti unificate. Ad esempio dicendo che le interazioni negli ambienti chiusi sono molto pericolose anche per i vaccinati, e che sui mezzi pubblici tutti devono vigilare sull’uso delle mascherine. Possibilmente FFP2, e mai con il naso scoperto. Senso civico non è solo vaccinarsi, ma anche invitare gli altri al rispetto delle regole.

Il Governo però mi sembra andare in altra direzione, punta tutto sui vaccini. Punta ad allargare ancora la platea dei vaccinati nonché arrivare nel più breve tempo possibile a estendere la terza dose a tutti quelli che ne hanno diritto ovvero chi ha scavallato i 5 mesi dalla seconda iniezione. Neanche la terza dose ci basta per proteggerci?

Io spero che basti, almeno per qualche mese. Ma c’è un indizio che suggerisce che potrebbe non bastare.

Quale indizio?

L’andamento dell’epidemia in Israele, il paese che ha vaccinato di più ed è più avanti con la terza dose. Il 22 novembre in Israele il valore di Rt ha attraversato la soglia critica di 1, e da allora è sempre rimasto al di sopra. Ora è intorno a 1,2, più o meno come qui da noi in Italia. Può anche darsi che Israele sia semplicemente vittima della sua demografia, ossia dell’altissimo numero di bambini, ragazzi e giovani, vaccinabili e non vaccinabili. Tuttavia non possiamo escludere una eventualità più inquietante: e cioè che, con la variante Omicron, anche una vaccinazione (quasi) totale non sia sufficiente a fermare la diffusione del contagio. Ma la difficoltà di Israele di riportare sotto controllo l’epidemia non è l’unica fonte di preoccupazione. Prendiamo il Portogallo, la Spagna, e gli altri 4-5 paesi che hanno vaccinato quasi tutti. Come mai, nonostante il successo della campagna vaccinale, anche in essi il valore di Rt è abbondantemente sopra 1? La mia risposta è che, pur dando un apporto modesto all’occupazione degli ospedali, i vaccinati stanno contribuendo a riaccendere l’epidemia. E le misure premiali nei loro confronti, come il Green Pass e il Super Green Pass, non fanno che gettare benzina sul fuoco.

Non crede che le sue preoccupazioni possano essere strumentalizzate dalla ridotta dei No Vax?

Ma certo, tutto quel che si dice può essere strumentalizzato, anche l’informazione ufficiale viene regolarmente deformata, manipolata e ritorta contro la campagna vaccinale. I casi aumentano? È la dimostrazione che il green pass non funziona. Un terzo dei ricoverati in terapia intensiva sono vaccinati? È la dimostrazione che vaccinarsi non serve. La copertura anticorpale dei vaccini svanisce dopo 6 mesi? Dunque il vaccino non funziona. Perciò io capovolgo la domanda: dobbiamo nascondere i dati della situazione solo perché No Vax e Ni Vax possono usare quei dati a modo loro? Non è meglio dire tutta la verità, in modo da essere più attrezzati conto il virus? A me sembra che i governanti abbiano scelto un’altra strada. Sapendo che non ce la faranno a mantenere la promessa di tenere tutto aperto (“il green pass è libertà”), stanno costruendo il capro espiatorio perfetto per quando dovranno arrendersi di fronte al dilagare dell’epidemia. È un brutto clima quello che sta montando in Italia. Chi è scettico sul vaccino si sente vittima di sopraffazioni varie. E chi crede nel vaccino tende a scaricare sui soli non vaccinati la responsabilità di una situazione che, in realtà, dipende anche dai comportamenti dei vaccinati e dalle omissioni dei governi.

Dei No Vax lei sostiene che siano ormai considerati come perfetto capro espiatorio di tutti i mali. Però come si può dare credibilità a chi si paragona a Gesù o a chi come Giorgio Agamben o Massimo Cacciari, filosofi di grande spessore, si lascia andare a similitudini con gli anni del nazismo e del controllo totalitario sulle masse? Che credibilità possono avere?

Su questo vorrei essere chiarissimo. I paragoni con il nazismo, anche se formulati in modo metaforico o paradossale, sono inaccettabili, se non altro perché offendono le vittime dei veri regimi dittatoriali. Certe analisi statistiche, secondo cui i vaccinati si contagerebbero di più dei non vaccinati, sono semplicemente ridicole, come ampiamente dimostrato dagli esperti. E mi spingo oltre: già molti mesi fa, quando ancora scrivevo sul Messaggero, avevo sostenuto che parlare di discriminazione è un abuso di terminologia. Quello che io mi rifiuto di accettare, però, è che un argomento debba essere squalificato solo perché usato, o usabile, da parte dei No Vax. È un non-sequitur, un errore logico, come nella storiella del paziente psichiatrico che dice “il fatto che io sia paranoico non implica che io non sia perseguitato”. Ineccepibile! Il fatto che un argomento sia usato da un No Vax non implica che sia infondato.

Ma quali sarebbero gli argomenti No Vax fondati?

Intanto, mi sembra doveroso fare una precisazione: No Vax è un’etichetta di comodo, per dire non allineati al racconto ufficiale. Molte critiche al green pass e alla campagna vaccinale vengono da persone plurivaccinate. Ma non voglio eludere la domanda, e le dico quali sono, secondo me, le obiezioni sostenibili. Non dico necessariamente giuste, ma di cui ha perfettamente senso discutere senza demonizzarle.

  1. Il vaccino è stato testato nello spazio (miliardi di persone) ma non nel tempo (meno di 12 mesi).
  2. I dati sul rapporto rischi-benefici, specie per la fascia 5-11 anni, sono pochi, e insufficienti a dissolvere ogni dubbio e a prendere una decisione razionale.
  3. Il contributo dei vaccinati alla diffusione del virus è sottovalutato dalle autorità sanitarie e dai grandi media.
  4. È stato un errore puntare tutte le carte sulla campagna vaccinale, trascurando misure di contenimento su trasporti, scuole, ambienti chiusi in generale.
  5. Se avessimo usato massicciamente queste ultime armi, le restrizioni alla nostra liberà avrebbero potuto essere molto minori.

Soprattutto questa ultima considerazione mi pare degna di attenzione, se non altro perché presto potremmo accorgerci che tutto quel che non si è fatto in questi due anni dovremo comunque farlo d’ora in poi, se non vogliamo farci travolgere dal virus.

Lei mette in rilievo un dato incontrovertibile: in questi due anni abbiamo consapevolmente rinunciato a parte della nostra libertà. Affermazione oggettiva. Ma non è anche vero che la nostra libertà finisce dove comincia quella degli altri? Non considera un gesto di libertà vaccinarsi per contagiare un po’ meno gli altri o quanto meno per evitare che gli ospedali si riempiano e siano costretti a rinviare le ospedalizzazioni per altre malattie diverse dal Covid?

Sì, perfettamente d’accordo, vaccinarsi è fondamentalmente un gesto altruistico, per lo meno se compiuto da maggiorenni. Ma, per le persone razionali, il punto non è se aderire alla campagna vaccinale oppure no, se accettare restrizioni alla libertà oppure no. Il punto è se il quantum di illibertà che ci viene imposto sia eccessivo, ragionevole, o insufficiente. E su questo mi pare che siano soprattutto le posizioni politiche a fare la differenza.

In che senso? Chi si è mosso più saggiamente e chi meno nella gestione dell’epidemia?

Se lasciamo perdere i primi mesi della pandemia, in cui tutti hanno oscillato fra i due estremi “chiudiamo tutto” e “apriamo tutto”, la destra (più Italia Viva) è sempre stata più aperturista, e la sinistra più chiusurista. Alla luce di come sono andate le cose, mi pare chiaro che le posizioni anti-restrizioni della destra siano state incaute, e lo siano tuttora. Ma questo è solo un pezzo del discorso. Se guardiamo le cose in un orizzonte temporale più lungo, occorre riconoscere che la querelle sul quantum di apertura-chiusura non assolve nessuno: se avessimo aperto di più, come voleva la destra, le cose sarebbero andate ancora peggio, se avessimo chiuso ancora di più, come volevano i falchi del lockdown, non ne saremmo comunque usciti. Perché, a destra come a sinistra, è quasi sempre mancata la volontà di mettere in campo tutte le armi contro il virus, a partire da quelle più costose o più complicate: tamponi, tracciamento elettronico, messa in sicurezza degli ambienti chiusi, rafforzamento del trasporto locale, controlli capillari su treni, metropolitane e bus.

Non salva proprio nessuna forza politica?

Direi proprio di no. Ma la cosa che più mi colpisce è l’incoerenza di alcune posizioni. Prendiamo il duo Speranza-Ricciardi, o il Comitato tecnico scientifico, sempre schierati su posizioni di massima prudenza: perché non hanno mai fatto una battaglia per le misure alternative alle restrizioni, a partire dalla messa in sicurezza delle scuole? Ma un discorso simmetrico e speculare si potrebbe fare su Fratelli d’Italia, l’unica forza politica che quelle misure ha sempre e giustamente invocato: se erano consapevoli della gravità della situazione, e dell’insufficienza della campagna di vaccinazione, perché ogni volta che si è presentata l’alternativa aprire-chiudere si sono sempre schierati per l’aprire, contro le restrizioni?

Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti: nel breve periodo le misure complesse non sono mai un’alternativa, perché la loro implementazione richiede mesi e mesi. Una forza politica responsabile dovrebbe accettare le misure restrittive quando non ne esistono altre immediatamente implementabili, e al tempo stesso pretendere il varo immediato di misure alternative, che daranno i loro frutti più avanti nel tempo.

Ultima domanda sullo stato dell’informazione in pandemia. Che ne pensa della tesi provocatoria dell’ex premier Mario Monti che ha invocato una “comunicazione di guerra” ovvero un filtro alle notizie da divulgare?

In un certo senso la penso all’opposto. A mio parere i maggiori media hanno già messo in atto una comunicazione di guerra. Il tratto distintivo fondamentale della comunicazione di guerra è che gli oppositori sono trattati come disertori. Ed io proprio questo ho visto, in innumerevoli occasioni: quando, per poter esprimere una sia pur minima critica alla linea ufficiale vaccinista, ci si sente obbligati a premettere che si è vaccinati e plurivaccinati, è già il segno che il dibattito non è libero, e che i dissidenti saranno trattati da disertori. Se devo fare un rimprovero all’informazione è di aver quasi sempre fatto rappresentare le posizioni critiche solo da macchiette ridicole, e non da studiosi seri. E soprattutto di avere idolatrato i virologi-infettivologi-immunologi-microbiologi, chiamati a pontificare su tutto, compresi molti argomenti su cui sarebbe stato molto più logico – e utile – interpellare ingegneri, fisici e statistici. Su una cosa, però, sono invece d’accordo con Monti, sempre che io abbia ben inteso il suo pensiero. Quel che è mancato quasi completamente in Italia è una informazione ufficiale autorevole e coerente, come ad esempio quella di Anthony Fauci negli Stati Uniti. Se ci fosse stata, non avremmo assistito inebetiti al festival dei virologi in tv, e non saremmo stati sommersi dai dubbi che hanno tormentato, e ancora tormentano, le nostre povere menti di cittadini senza potere e senza verità.

Intervista rilasciata a The Huffington Post, 13 dicembre 2021

Vaccinare non basta

7 Dicembre 2021 - di Luca Ricolfi

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Come va l’epidemia nelle società avanzate?

Dipende dalla direzione in cui guardiamo. Il dato più drammatico è il tasso di mortalità (e di occupazione delle terapie intensive) nei paesi dell’Est Europa, che è quasi 14 volte quello dell’Italia. E’ verosimile che la ragione di questo squilibrio stia essenzialmente nella vaccinazione, che è in clamoroso ritardo nei paesi ex-comunisti. Ed è possibile che, alla radice di tale bassissima propensione a vaccinarsi, vi sia anche, se non soprattutto, la diffidenza dei cittadini di quei paesi verso lo stato centrale, una diffidenza maturata in 70 anni di dittatura e di invasione della vita privata.   Leggi di più

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