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Liberismo sanitario

12 Gennaio 2022 - di Luca Ricolfi

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Ero già stupito a fine ottobre, quando i primi chiari segnali di ripartenza dell’epidemia (incidenza e Rt) vennero ignorati dalle nostre autorità politiche e sanitarie. Da allora non ho fatto che ristupirmi, perché né la scoperta di omicron e della sua trasmissibilità, né i rischi connessi alle vacanze natalizie hanno condotto al varo di misure tempestive e incisive. Ma ieri il mio stupore si è trasformato in incredulità. Nel giorno in cui i contagi hanno superato la cifra record di 200 mila casi al giorno, il Consiglio dei ministri ha deciso che entro lunedì 10 gennaio tutti gli ordini di scuole riapriranno, e che solo nelle scuole materne lo faranno con la cautela minima necessaria, ossia con la regola: se c’è anche un solo positivo in classe la frequenza si interrompe per tutti. Non me lo aspettavo, non tanto perché lo giudico molto imprudente (a decisioni che considero incaute sono abituato da due anni, ma può essere che sia io a essere troppo cauto), ma perché sui rischi di apertura si erano espressi chiaramente molti presidenti di regione e molti dirigenti scolastici. I primi invocando il via libera preventivo del Comitato tecnico-scientifico, i secondi spiegando dettagliatamente perché le scuole e le Asl non erano in condizione di garantire un rientro “in sicurezza”.

Quando succede una cosa che non ti aspetti, la domanda da farsi non è “perché sbagliano?” ma “che cosa gli fa pensare di fare la cosa giusta?” Perché se l’esecutivo agisce come agisce, e il Comitato tecnico-scientifico avalla tacendo, una logica ci deve pur essere. Ma quale può essere questa logica?

A me pare che la logica che guida la filosofia di “apertura a oltranza” poggi su una scelta di fondo, maturata e ribadita innumerevoli volte in questi mesi: lasciamo pure correre i contagi, tanto – grazie ai vaccini – si muore poco e si va poco in ospedale. Questa scelta di “liberismo sanitario”, paradossalmente, è stata rafforzata e non indebolita dalla comparsa della variante omicron, di cui si è preferito sottolineare la mitezza condizionale (“poco più di un raffreddore, se si è vaccinati”) che l’estrema contagiosità. Di qui l’idea che il vero problema sia la resistenza del popolo novax, e che obbligando tutti a vaccinarsi usciremo dall’incubo.

Ma regge questo ragionamento?

Sfortunatamente no. La scommessa liberista è incompatibile con i dati su quattro punti fondamentali.

Primo, l’esperienza degli altri paesi mostra che la vaccinazione di massa è necessaria ma non sufficiente a fermare il contagio. Lo mostra senza ombra di dubbio il fatto che Rt è sopra la soglia critica di 1 in tutte le società avanzate, compresi i paesi che hanno vaccinato tutti i vaccinabili  (Portogallo) o sono molto avanti con le terze dosi (Israele, Regno Unito).

Secondo, noi discutiamo come se il nostro problema fossero i 5 milioni di maggiorenni non vaccinati, o i 2 milioni di ultra-cinquantenni non vaccinati (che sarebbero tenuti a vaccinarsi entro metà febbraio), ma i non vaccinati sono ben 11 milioni, di cui circa 3 non vaccinabili in assoluto (bambini fino a 4 anni), e altri 3 (bambini da 5 a 11 anni) vaccinabili solo nei casi in cui i genitori superassero i loro dubbi, peraltro condivisi da una parte della comunità scientifica e delle istituzioni sanitarie (nel Regno Unito la vaccinazione dei più piccoli non è ammessa). Tutto questo significa che l’obbligo per gli ultra 50-enni, ove venisse rispettato integralmente, coprirebbe circa il 20% della popolazione non vaccinata, mentre più del 50% del problema sta precisamente negli allievi delle scuole materne, elementari e medie, che ci apprestiamo a riaprire da lunedì.

Terzo, oggi il problema principale non è che 5 milioni di adulti non si vogliono vaccinare, ma che 15 milioni di adulti non riescono a farlo, perché gli hub vaccinali non sono in grado di coprire la richiesta di terze dosi per coloro che hanno perso la protezione.

Quarto, il calcolo secondo cui possiamo permetterci di lasciar correre il contagio perché la probabilità di ammalarsi gravemente è bassa, si scontra con l’aritmetica dell’epidemia: se la letalità si dimezza, ma i contagi quadruplicano (cosa per cui bastano 2 settimane), il numero di morti e di ospedalizzati raddoppia, rendendo catastrofica una situazione che negli ospedali di molte regioni è già oggi drammatica.

Ecco perché dicevo che la scommessa liberista di lasciar correre i contagi è incompatibile con i dati, ovvero con quel che si sa dei meccanismi che governano questa epidemia. Qualsiasi cosa si pensi del perché siamo arrivati fin qui, è difficile non prendere atto che lasciar (ancora) correre il virus è un azzardo che non ha alcun supporto nei dati.

Possiamo dolerci della chiusura delle scuole e del ritorno alla Dad, ma se siamo lucidi dovremmo riconoscere che è prima che avremmo dovuto tutelarle, le nostre amate scuole, con le tante cose che sono state invano proposte, dall’aumento delle aule alla ventilazione meccanica controllata. Ora ci resta solo da prendere atto che rimandarne l’apertura, come per primo ha proposto il governatore della Campania, non è certo la soluzione, ma è il minimo sindacale per provare a rallentare l’epidemia.

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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