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Politica

Denatalità e Governo

15 Settembre 2023 - di Alberto Contri

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Al Governo si sono accorti che la denatalità è un problema molto grave.

“Non c’è nessuna riforma o misura previdenziale che tiene nel medio e lungo periodo con i numeri della natalità che vediamo oggi in questo Paese” ha detto il Ministro Giorgetti al Meeting di Rimini.

Da alcuni mesi girano ipotesi di deduzioni progressive dal reddito a partire dal primo figlio.

E su questo tema i partiti di governo sembrano ciclisti in surplace pronti a scattare per intestarsi i relativi provvedimenti, il che costituisce già una parte del problema. Perché dimostra una visione di breve respiro. La mancanza di una complessiva visione strategica di sviluppo del paese spiega perché l’Italia è in un costante declino. Si tampona, si vende e si svende, si accontenta qualche categoria più rumorosa di altre, mentre il debito pubblico continua a crescere.

È certamente buona cosa che al Governo si stia pensando di incentivare la nascita di figli. Che dovrebbero essere procreati da giovani coppie con una visione del mondo ottimista e positiva. Ma chi ha qualche dimestichezza con la classe dai venti ai trent’anni fa davvero fatica a trovarne qualcuna.

Diseducata da una imperante e invasiva cultura woke, la maggioranza delle cosiddette future speranze del paese pare concentrarsi solo su un eterno presente, ricorrendo alla costante ricerca di piaceri istantanei, come aveva già scritto Lorenzo de Medici: “Chi vuole esser lieto, sia: di doman non c’è certezza”. 

In assenza di certezze, se non quelle che prevedono – tardi – una pensione molto modesta, buona parte dei giovani si concentra su obiettivi di soddisfazione immediata come l’apericena e la discoteca, quando non si tratta di alcol e sballo. “Ciascun suoni, balli e canti, arda di dolcezza il core: non fatica, non dolore!”.

Sono passati più di cinquecento anni, e la situazione da allora è solo peggiorata. In particolare, dopo il big bang del web si è fatto di tutto per rammollire due generazioni dissolvendo la loro mente nella “costante attenzione parziale” stimolata dall’uso smodato del cellulare (v. Mc Luhan non abita più qui?-  Alberto Contri, Bollati Boringhieri , 2017]), assogettandole al non-pensiero di influencers come i  Ferragnez, convincendole che il sesso non c’entra con l’amore, che si può cambiare come un abito, che essere fluidi è assai moderno, cool, come dicono in America e piace ripetere da noi.

Può una simile poltiglia umana, che impazzisce per Chadia Rodriguez o i Maneskin, prendersi la responsabilità di mettere su famiglia?

Famiglia? Un’istituzione ritenuta superata, con una immagine continuamente delegittimata e ridicolizzata dalla narrazione dei mass media, dei social media e delle piattaforme di pay-tv. Si veda, a titolo di esempio, la serie Euphoria prodotta da Sky, il cui regista si vantò alla conferenza stampa di presentazione dicendo: “Questa serie farà andare fuori di testa molti genitori”.

Se la famiglia normale, come ha scritto il generale Vannacci sollevando un putiferio, non torna ad essere considerata una primaria aspirazione in tv, nel cinema e nei social – e non solo in qualche pubblicità dei maccheroni – non c’è alcuna speranza di invertire il grave trend della denatalità.

Ci rendiamo conto di quanti attori dovrebbero essere convintamente coinvolti in questo processo? Un qualche incentivo potrà generare un po’ di articoli di giornale, mentre per ottenere qualche risultato occorrerebbe reimpostare completamente il modo di immaginare la propria responsabilità sociale da parte delle giovani generazioni.

C’è in giro qualcuno che intende farsi carico di una simile rivoluzione culturale e antropologica?

Della stoltezza – La maledizione del Pd

13 Settembre 2023 - di Luca Ricolfi

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Ci sono parole che si inabissano, anche nel breve corso di una vita. Quand’ero ragazzo, tutte le settimane compravo “Il monello”, uno dei giornalini per ragazzi degli anni ’60, come “L’intrepido”, o “Nembo Kid”. Oggi nessuno usa più la parola monello. Perché le monellate sono derubricate a ordinaria amministrazione, e per essere trattati da trasgressori bisogna essere almeno teppisti, bulli, o membri di mini-gang. Così nessuno usa più parole come piroscafo, réclame, pudico, o bestemmie come “crìbbio!”, alterazione eufemistica di Cristo!

Poco male, si dirà, la lingua trattiene quel che serve. C’è un caso, però, nel quale il setaccio della lingua non ha funzionato a dovere, perché la parola scomparsa servirebbe eccome. È il caso dell’aggettivo ‘stolto’ e del sostantivo ‘stoltezza’. Quante volte lo abbiamo incontrato nelle versioni di latino… E quante volte siamo stati avvertiti del pericolo. La cultura dell’antica Roma, ma anche la Bibbia, sono piene di riferimenti (e di ammonimenti) in materia di stoltezza. La figura dello stolto assume un ruolo centrale nella definizione dei principi morali, della condotta di vita, della via della saggezza e della virtù.

La stoltezza è diversa dalla stupidità, profondamente diversa. Nessuna delle due ha un contrario perfetto, ma se dobbiamo assegnarne uno potremmo dire che il contrario di stupido è intelligente, il contrario di stolto è saggio. O, se vogliamo, la stupidità è un particolare deficit di intelligenza, la stoltezza è un particolare deficit di saggezza. Più esattamente: lo stolto è chi agisce senza vedere le conseguenze del proprio agire che potranno essere negative per lui stesso. La stoltezza, in altre parole, è una mancanza  di lungimiranza che ha effetti autolesionistici.

Perché è un peccato che la parola stoltezza sia scomparsa dal nostro vocabolario? È semplice: perché la stoltezza non è scomparsa dal nostro mondo. Ci sono situazioni e comportamenti che sarebbero meglio compresi, e forse corretti, se sapessimo ancora maneggiare la categoria della stoltezza.

Esempi?

Sono innumerevoli. Il genitore che, per essere esonerato dalla fatica di interagire con i pargoli, li dota di smartphone fin dai 2 anni, causando dipendenza, danni cerebrali, e innumerevoli problemi di relazione quando sarà più grande. Lo studente che, durante la carriera scolastica o universitaria, fa il minimo necessario per essere promosso, salvo poi scoprire che le sue (in-)competenze non sono apprezzate sul mercato del lavoro. Il datore di lavoro che spreme all’inverosimile un dipendente esemplare, salvo perderlo quando quest’ultimo trova un posto migliore.

E poi c’è il Pd, o meglio la sua dirigenza. Nessuna categoria della scienza politica coglie l’essenza di questo partito meglio di quella della stoltezza. Perché, negli ultimi tempi, il nucleo dell’azione politica del Pd è stato: attaccare gli avversari in un modo che li rafforza, e al tempo stesso indebolisce il partito.

È stato così con Enrico Letta e la campagna antifascista che ha preceduto le elezioni del 25 settembre 2022, una campagna così surreale che ha finito per accelerare la corsa dei “fascisti” di Fratelli d’Italia. Ma è stato così anche con le mosse più recenti di Elly Schlein. Attaccare il governo perché non ferma gli sbarchi, come se questo potesse portare consensi a un partito che, in nome dell’accoglienza, ne vorrebbe ancora di più. Descrivere l’Italia come un paese allo sfascio, dove scuola e sanità sono a pezzi, i salari sono da fame, i lavoratori muoiono sul posto del lavoro, le donne vengono perseguitate, stuprate e uccise, come se questo dipendesse dal governo in carica, e non da quelli precedenti, tutti (tranne uno) con il Pd in posizioni chiave. Sostenere un referendum contro una legge del passato promossa dallo stesso Pd (il Jobs Act), come se questo potesse non scatenare una guerra civile dentro un partito che quella legge l’ha voluta e votata.

Si potrebbe continuare. Ma credo che la morale sia chiara: senza la categoria della stoltezza, diventa difficile descrivere il mondo in cui viviamo.

Verso le elezioni europee – Il dilemma migratorio

12 Settembre 2023 - di Luca Ricolfi

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Di elezioni europee si parla ancora poco, almeno in modo esplicito. Ma sottotraccia è lì che vanno la mente e le mosse dei politici, che già pensano come posizionarsi in vista del voto di giugno 2024. Fra i temi di cui non si parla ancora in modo esplicito, ma che pendono come una spada di Damocle su tutti, c’è sicuramente lo spinosissimo nodo dell’immigrazione illegale in Europa. Un nodo che in Italia si presenta con tre facce: sbarchi a Lampedusa e negli altri porti del Sud, ingressi a Trieste dalla rotta balcanica, respingimenti francesi a Ventimiglia.

È interessante il fatto che, rispetto a questo problema, le forze politiche siano sostanzialmente mute. Non nel senso che non ne parlino, ma nel senso che non parlano delle soluzioni.

Il centro-destra pare ormai rassegnato a considerare ineluttabile il flusso di migranti dalla rotta centrale del mediterraneo, almeno finché l’Europa non batterà un colpo (ma quale colpo? più soldi all’Italia? pattugliamenti di Frontex davanti alle coste della Tunisia e della Libia?). Quanto alla rotta balcanica, alla pressione su Trieste e le altre città del Friuli, se ne parla poco perché qualsiasi soluzione si scontra con l’ostilità dei cittadini, spaventati dall’arrivo di centinaia di stranieri collocati in un limbo incapace di accoglierli e di integrarli.

Quanto al centro-sinistra, l’impegno maggiore non è a prospettare soluzioni che vadano oltre il “più soldi ai sindaci per gestire l’accoglienza”, bensì a denunciare le promesse tradite di Giorgia Meloni, a partire da quella di fermare gli sbarchi con il “blocco navale”.

Insomma, sia la destra sia la sinistra paiono a corto di idee, o meglio di idee nuove, per affrontare il prossimo appuntamento europeo. Con ogni probabilità, il Pd si presenterà con il consueto schema: i migranti non sono il problema, i migranti sono la soluzione (ai bisogni di manodopera delle imprese). E magari aggiungeranno: in passato abbiamo sbagliato, è tempo che il Pd cancelli Marco Minniti e le sue politiche di contenimento dei flussi, come già sta cancellando Renzi e il suo sciagurato Jobs Act.

E il partito di Giorgia Meloni? A giudicare dalla cautela con cui si sta muovendo sul terreno migratorio, si direbbe che l’incapacità di fermare gli sbarchi, combinata con i drammatici problemi delle imprese che non trovano forza lavoro, possa condurre a una riconsiderazione del problema dell’immigrazione. I cui termini essenziali sono abbastanza chiari, se non ci si lascia offuscare dal velo dell’ideologia.

Il dilemma in cui qualsiasi governo è destinato ad incappare discende dal sistema di incentivi che regola i flussi migratori. Se l’immigrazione irregolare in Europa viene ostacolata e criminalizzata, i numeri diventano più gestibili, ma cresce la quota di stranieri che non si possono integrare, e con essa il senso di insicurezza dei nativi (a partire dai ceti popolari). Se viceversa l’immigrazione viene liberalizzata, allargando le maglie anche a chi non ha diritto all’asilo, il flusso è destinato a diventare presto ingestibile, con benefici tangibili per le imprese (più manodopera, salari più bassi), ma costi drammatici per i ceti popolari (dumping salariale, disordine urbano). Detto per inciso, è questo il motivo per cui un comunista come Marco Rizzo, ma anche altri esponenti della sinistra, si oppone all’aumento dei flussi migratori.

Il tutto complicato da una circostanza spesso dimenticata: l’affanno delle imprese non riguarda solo la mancanza di manodopera a bassa qualificazione, ma anche – se non prevalentemente – la mancanza di forza lavoro qualificata: elettricisti, meccanici, fonditori, saldatori, fabbri, tecnici informatici e così via. Pensare che questa lacuna possa essere colmata lasciando via libera agli sbarchi e allentando la sorveglianza ai confini con la Slovenia è perlomeno ingenuo.

Ecco perché, quello dell’immigrazione, è un problema vero, che richiederebbe un approccio analitico, attento ai costi e ai benefici delle varie politiche, senza scorciatoie ideologiche. Non sembra che, con l’approssimarsi dell’appuntamento europeo, tale consapevolezza si stia facendo strada, né a sinistra né a destra.

È un peccato, perché i problemi veri meritano di essere affrontati a viso aperto, non elusi a colpi di slogan e ideologia.

Vannacci, che brutta figura i grandi media!

11 Settembre 2023 - di Luca Ricolfi

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(Intervista di Alessandra Ricciardi a Luca Ricolfi, uscita il 7 settembre su “Italia Oggi”).

  • Professore, il generale Vannacci ha trovato un editore per il suo libro, dopo aver stravenduto con l’edizione on line. È nata una stella?

Le stelle brillano in cielo da milioni di anni, quella di Vannacci non si sa ancora quanto durerà. Però, fin da quando è uscito, non ho condiviso la supponente profezia dei commentatori politici: “dal 1° settembre non se ne parlerà più”. Mi aspettavo una tenuta, anche per ragioni tecniche: il file in pdf del libro sta girando vorticosamente su internet, le copie vendute da Amazon sono solo una frazione del circolante.

  • Lei lo ha letto il libro?

Dalla prima riga all’ultima, ero troppo incuriosito.

  • E non ha trovato che alcune tesi su gay e donne siano politicamente scorrette se non discriminatorie?

Attenzione: quasi tutto quel che una persona normale pensa e dice è considerato politicamente scorretto dalle guardie rosse del pensiero. E, nel mondo inquinato dai social, è impossibile esprimere un’idea senza che qualcuno si senta offeso, poco rispettato, discriminato, deriso, eccetera.

Ma non voglio sfuggire alla domanda. È vero, nel libro di Vannacci si trovano frasi ironiche sui gay e sulle femministe (ad esempio “moderne fattucchiere”), ma nulla che possa essere interpretato come razzismo, sessismo, o giustificazione di pratiche discriminatorie. Quel che mi colpisce, semmai, è un’altra cosa…

  • Quale?

Il quasi completo disinteresse dei media, degli studiosi, degli intellettuali per il contenuto delle proposte del Generale, alcune delle quali sono più che ragionevoli, o comunque difendibili. Sul clima e sull’ambiente, ad esempio, Vannacci espone – con molto maggiore dovizia di argomenti statistici – una tesi difesa pochi anni fa da Jonathan Franzen in un apprezzato libretto pubblicato da Einaudi (E se smettessimo di fingere?) dove sosteneva che fosse meglio concentrare gli investimenti sul contenimento dei danni del riscaldamento piuttosto che puntare su un’utopistica riduzione della temperatura globale. La realtà, purtroppo, è che sul Mondo al contrario i media considerati più autorevoli hanno dato una drammatica prova di mancanza di professionalità. La sistematica deformazione del pensiero di un autore, e soprattutto il silenzio totale sulle sue proposte, sulle sue analisi e sulla sua visione del mondo, sono segnali molto preoccupanti.

  • Così la pensano anche alcuni esponenti della destra però.

Sì, ho letto ad esempio la recensione negativa di Franco Cardini. Ma la sua è una reazione da professore universitario a professore. Non c’è alcuno sforzo di entrare nel punto di vista (e nel linguaggio!) dell’interlocutore, che invece è la cosa più interessante di fronte a un unicum come il libro di Vannacci. Lo dico come sociologo: il mero fatto che un libro autoprodotto venda più di 100 mila copie in poche settimane, superando di gran lunga tutti i “venerati maestri” che si contendono l’attenzione del pubblico, è un fatto che già solo per questo merita una riflessione scientifica. Tanto più che il libro non usa nessuna delle armi improprie del nostro tempo: volgarità, sesso, pornografia, violenza verbale, promesse di salute, felicità o autorealizzazione.

  • Il ministro della difesa Crosetto ha rivendicato in queste ore la scelta di averlo destituito, “sono stato più militare di lui”, ha detto. Un militare in quella posizione può dire tutto come potrebbe fare un altro comune cittadino? Non ritiene che la libertà di espressione abbia dei limiti?

Le rispondo con una certa sofferenza, perché ho grande stima (e simpatia) per Guido Crosetto. Ebbene, penso anch’io che la libertà di espressione abbia dei limiti. Ma sono quelli fissati dalla Costituzione e dalla legge, non dall’opportunità politica.

  • A quali limiti si riferisce?

Innanzitutto all’articolo 21, secondo cui “sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”. E in secondo luogo al codice (penale e civile) che stabilisce in modo piuttosto preciso i casi nei quali un’opinione diventa illecita (calunnia, diffamazione, ingiuria, minaccia, vilipendio, apologia di reato, incitamento alla discriminazione). Nel libro di Vannacci non ci sono né offese al buon costume (semmai critiche a chi lo offende), né tracce dei reati previsti dal codice penale. E non si può neppure dire, come ha incautamente affermato il Generale Camporini, che l’articolo 98 della Costituzione preveda limiti alla libertà di espressione di magistrati, militari di carriera, agenti di polizia. L’articolo 98 si limita a dire che, per tali categorie, la legge può “stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici”.

Insomma, come liberale, trovo semmai che le norme attuali siano eccessivamente limitative della libertà di manifestazione del pensiero.

  • E quindi ci sono temi di destra di cui Vannacci diventa paladino e che la destra di governo, Fdi e Lega, non rappresenta più?

Secondo me è un errore collocare Vannacci sullo spettro politico, o confrontarne le posizioni con quelle dei partiti di destra. Certo, la maggior parte delle idee di Vannacci sono discutibili, conservatrici, e spesso nostalgiche. Ma il suo libro è la descrizione di uno stato d’animo, non un manifesto politico.

  • Può nascere altro a destra? O Vannacci sarà assorbito nella destra di governo?

Io mi auguro che Vannacci non entri direttamente in politica, ma continui a fare – in modo meno rozzo – quel che ha fatto finora: dare voce a un segmento importante della società italiana.

  • La solita “maggioranza silenziosa”?

Direi di no. La maggioranza silenziosa rappresentava solo ed essenzialmente una richiesta di ordine. Nel Mondo al contrario c’è di più e di meno: la nostalgia per un mondo più ordinario, non semplicemente più ordinato. Un mondo più aderente al senso comune, più tradizionalista, meno ostaggio delle minoranze organizzate. È il mondo della maggioranza? Credo di no. Quella di Vannacci a me pare una silenziosa minoranza di massa. Che in lui sta trovando un modo di far sentire la sua voce.

È il mondo della maggioranza? Credo di no. Quella di Vannacci, a me pare una cospicua minoranza silenziosa. Che in lui sta trovando un modo di far sentire la sua voce.

Immigrazione ed elezioni europee – Perché la destra è in pole position

6 Settembre 2023 - di Luca Ricolfi

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Mancano 9 mesi alle prossime elezioni Europee, e si sente dire che la relativa campagna elettorale è già iniziata. Non mi sembra esatto, almeno in Italia. Quel che si osserva, negli ultimi mesi, è semmai un penoso tentativo dei partiti (specie quelli di governo) di differenziarsi sulla politica interna, mentre quasi nulla sulle grandi tematiche europee – dal patto di stabilità all’immigrazione – né sul problema politico fondamentale: con quale maggioranza la Commissione europea governerà il Vecchio continente?

Eppure questo è il punto cruciale. Accade infatti che, per la prima volta dal 1979 (primo Parlamento Europeo), esiste la concreta possibilità che l’alleanza Popolari-Liberali-Socialisti, che ci ha governati per 45 anni, non abbia più i numeri per governare.  È tutt’altro da escludere, infatti, che i due raggruppamenti di destra (Identità e Democrazia, Conservatori e Riformisti), che attualmente occupano il 18% dei seggi, si rafforzino al punto da rendere numericamente possibile una maggioranza con i Popolari, attualmente al 25%: lo spostamento elettorale necessario per tale ribaltamento è dell’ordine di 7 punti percentuali, che sono tanti ma non tantissimi. Questa eventualità, più che regalarci un governo di destra (impraticabile finché il Partito Popolare manterrà lo sbarramento contro l’estrema destra), si tradurrebbe in una fortissima instabilità, fino alla sostanziale paralisi delle istituzioni europee. Una prospettiva non proprio esaltante.

Ma che cosa rende verosimile l’ipotesi di un successo delle destre in Europa?

Fondamentalmente il combinato disposto di due circostanze: l’aggravamento del problema migratorio, particolarmente acuto in Italia; la rimozione del problema da parte dei maggiori partiti progressisti europei.

Che il problema migratorio sia in cima alle preoccupazioni di alcune opinioni pubbliche europee si indovina dai risultati elettorali e dai sondaggi più recenti, che segnalano il rafforzamento dei partiti ostili all’immigrazione. Oltre al recente successo della coalizione di destra guidata da Giorgia Meloni, si debbono ricordare: l’avanzata di Alternative für Deutschland in Germania (elezioni politiche e sondaggi), il rafforzamento del Rassemblement National in Francia (elezioni legislative), le recenti clamorose vittorie delle destre in Svezia, Finlandia, Grecia. In apparente controtendenza, i risultati elettorali in Spagna (dove il partito xenofobo Vox ha perso colpi) e in Danimarca (dove la premier socialdemocratica Mette Frederiksen è tornata a guidare il paese).  Dico “apparente” controtendenza perché sia in Spagna sia in Danimarca il consenso elettorale complessivo ai partiti di destra e centro-destra è in realtà aumentato, sia pure di poco.

Il caso danese merita una speciale attenzione. In Danimarca i socialdemocratici, con il 27.5% dei consensi, hanno ottenuto il miglior risultato di sempre, e hanno scelto di formare un governo di grande coalizione (“né rossa né blu”, secondo la premier) con gli altri due maggiori partiti, ossia liberali e i moderati. Il punto interessante, però, è con che tipo di messaggio i socialdemocratici hanno affrontato – e vinto – la prova elettorale. Per mesi, al centro del dibattito politico danese vi è stata la proposta, caldeggiata dai socialdemocratici stessi, di collocare in Rwanda o in qualche territorio straniero una parte dei migranti.

Ed ecco il punto chiave: anche se con ogni probabilità la proposta non sarà attuata, o sarà annacquata in qualcosa d’altro, il fatto è che i socialdemocratici hanno riconquistato la fiducia dell’elettorato mostrando che prendono sul serio il problema dell’immigrazione. Una sorta di variante nordica della “linea Minniti”, che in Italia ebbe breve durata, almeno a sinistra.

Nulla di tutto ciò pare muoversi nelle altre socialdemocrazie europee. Anzi, l’atteggiamento della Commissione è di “comprendere” l’esistenza del problema, ma di essere decisa a non far nulla prima del rinnovo del Parlamento europeo, il prossimo giugno. Ecco perché penso che i partiti di destra, radicale o estrema, abbiamo ottime possibilità di fare un grosso risultato alle prossime elezioni europee. Negare o sottovalutare il problema dei migranti è il più grande regalo che i partiti di sinistra possano fare alle forze politiche di destra.

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