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I referendum della discordia

19 Maggio 2025 - di Luca Ricolfi

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Quasi certamente le prossime elezioni politiche si terranno intorno al mese di giugno del 2027, anche se – in teoria – la legislatura dovrebbe durare fino al mese di settembre del medesimo anno. Mancano dunque più di due anni al prossimo appuntamento elettorale. A dispetto di ciò, le forze politiche si stanno muovendo come se le elezioni fossero alle porte. Giorgia Meloni ha già chiarito che si ricandiderà. Elly Schlein e Maurizio Landini, a loro volta, hanno già aperto la campagna elettorale brandendo i 5 referendum, nella convinzione che la mobilitazione sui quesiti referendari possa rinvigorire l’opposizione.

Personalmente ne dubito fortemente, per vari motivi. Il primo è che tutti i sondaggi prevedono che il quorum non verrà raggiunto: con ogni probabilità circa 2 italiani su 3 non andranno a votare. Difficile, a quel punto, cantare vittoria solo perché nella minoranza che è andata al voto sono prevalsi i sì. È facile prevedere che la destra ritorcerà sulla sinistra il ragionamento con cui tante volte, in questi due anni e mezzo, ha cercato di delegittimare il voto a Giorgia Meloni (che ha raccolto sì il 26% dei consensi, ma sul 64% dei votanti: quindi solo 1 italiano su 6 la ha scelta). Ora sentiremo ripetere infinite volte che il 70 o 80% di consenso su un determinato quesito referendario rappresenta solo il 15% (o 20%, o 25 %) dell’elettorato complessivo.

Il secondo motivo di perplessità è che i 5 referendum non sono solo un’occasione di visibilità per l’opposizione: sono anche una formidabile opportunità, per il governo, di mostrare le divisioni del cosiddetto campo largo. L’unica forza di opposizione che voterà sì a tutti i referendum è AVS (Alleanza Verdi Sinistra). La segretaria del Pd Elly Schlein vorrebbe che lo stesso facessero i suoi, ma incontra il dissenso di molti membri della minoranza interna, che sono perplessi sui quesiti che, di fatto, rinnegano la stagione renziana e il Jobs Act: molti di loro voteranno sì solo ad alcuni dei referendum che riguardano il mercato del lavoro, ciascuno secondo le proprie sensibilità politiche personali. Riccardo Magi, leader di +Europa, pare intenzionato a votare sì solo a due referendum, quello sulla responsabilità delle imprese appaltanti e quello (promosso da lui stesso) che dimezza i tempi necessari per ottenere la cittadinanza italiana. Questo referendum, a sua volta, dovrà fare i conti con le perplessità dei Cinque Stelle, da sempre critici con l’immigrazione irregolare (Giuseppe Conte ha lasciato libertà di coscienza). Quanto a Renzi e Calenda, voteranno no a 4 referendum su 5 (tutti quelli sul mercato del lavoro).

E qui veniamo alla mia ultima perplessità, la più importante. Il fatto che non esista nemmeno un referendum su cui siano d’accordo tutte le forze del costituendo “campo largo” non si limita a mostrare che l’opposizione è ultra-divisa, ma suggerisce una considerazione più ampia: i temi scelti per i referendum sono palesemente controversi, visto che rispetto a ciascuno di essi vi è almeno una forza politica di sinistra che li considera sbagliati.

Ciò apre un interrogativo molto serio sul futuro dell’opposizione. Anch’io, come Romano Prodi e tanti altri, penso che una coalizione progressista abbia qualche possibilità di sfidare vittoriosamente Giorgia Meloni solo se dismette la battaglia per la leadership, che oggi impegna Schlein, Conte e (di nascosto) Landini, e punta tutte le sue carte sulla elaborazione di un programma comune (come fece il centro-sinistra prodiano nel 2006). Ma non posso non chiedermi: se nemmeno sui referendum sono stati capaci di mettere a punto una linea comune, come potranno riuscirci quando si tratterà di formulare un programma di governo che convinca la maggioranza degli italiani?

Una risposta possibile è che non ci riusciranno e andranno al voto più o meno divisi, come l’ultima volta. L’altra risposta possibile è che sottoscriveranno un programma comune monstre, ottenuto sommando gli opposti estremismi delle cultura progressista. Ovvero: sulla politica economico-sociale la linea Landini-Schlein (salario minimo legale e patrimoniale permanente), sui diritti la linea di Magi-Bonino (ius soli, Ddl Zan, Green Deal). Il che, in sostanza, significa sposare la linea politica di AVS, ossia della più estrema delle forze di sinistra, come certifica il fatto che sia l’unica a votare convintamente sì a tutti e 5 i referendum.

[articolo uscito sulla Ragione il 15 maggio 2025]

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