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Astensioni e delusioni

22 Febbraio 2023 - di Paolo Natale

In primo pianoPolitica

Trascorso qualche giorno dalle considerazioni sorprese dei commentatori e dalle spiegazioni a caldo del fenomeno del deciso incremento dell’astensionismo, il tema è un po’ evaporato, come accade troppo sovente nel nostro paese. Possiamo e dobbiamo invece tornare a parlarne ora in maniera forse meno emotiva e più razionale, cercando di identificarne le cause più profonde, quanto meno in Italia, senza peraltro dimenticare che questa tendenza si manifesta a volte ancora più evidente in molte delle altre democrazie occidentali.

 I dati di fatto sono presto riassunti: nel Lazio e in Lombardia hanno votato alle ultime regionali tre milioni di persone in meno rispetto alle elezioni politiche di settembre, già demarcate da un forte calo di votanti rispetto alle politiche precedenti (un ulteriore milione in meno nelle due regioni), e la stessa lista di Fratelli d’Italia, ilpartito certamente vincitore anche di questa tornata, ha lasciato a casa un milione di voti in poco più di quattro mesi.

Questi dati non paiono casuali, come forse poteva essere giudicato il tracollo della partecipazione in Emilia-Romagna nel 2014, quando votò soltanto poco più del 37% degli aventi diritto, un po’ come nel Lazio di quest’anno. Cinque anni più tardi, così come cinque anni prima, la l’affluenza registrava infatti valori prossimi al 70%. Quella sorta di indicente di percorso, in una regione peraltro dove il turnout è costantemente tra i primi del paese, non fu mai chiaramente analizzato, ma è probabile fosse dovuto ad un improvviso disinteresse per una consultazione il cui risultato non era mai stato messo in dubbio, in un periodo in cui il Pd per una volta nella sua storia stava vivendo un momento di grandissimo consenso elettorale ed aveva appena trionfato, con Renzi, alle recenti Europee.

Oggi il deficit di partecipazione non pare in alcun modo casuale, o legato a circostanze contingenti, e ha bisogno di una spiegazione esaustiva; le sue cause possono essere ricondotte ad almeno cinque elementi.

Per prima cosa occorre sottolineare il fatto che il dato sull’astensionismo alle amministrative è gonfiato daun particolare tecnico: nelle elezioni regionali, come pure in quelle comunali, fanno parte del corpo elettorale diriferimento anche tutti coloro che sono residenti all’estero, cosa che non accade né alle politiche né alle europee, quando sono invece scorporati perché possono votare all’estero. Alle ultime politiche, ad esempio, gli elettori lombardi che non vivono in Italia erano mezzo milione in meno di quelli delle regionali: aumentando la “base” di riferimento per il calcolo degli astenuti, è ovvio che questi ultimi sembrino di più, alle amministrative. Il dato “vero” del voto sarebbe dunque del 45% in Lombardia e del 41% nel Lazio, circa 4 punti in più di quello che appare. Pur con questo caveat, è peraltro indubbia la sua significativa decrescita.

Un secondo elemento importante da sottolineare è che questo tipo di processo è un processo che sostanzialmente va avanti da almeno 10-12 anni; ultimamente si è certo un po’ accresciuto, anche rispetto alle politiche, ma nella realtà il fenomeno dell’astensionismo in Italia, che si sta in qualche modo avvicinando al fenomeno che si verifica anche nel resto delle democrazie occidentali, risale probabilmente al 2012-2013, gli anni cioè dell’avvento del Movimento 5 stelle. Questa nuova forza politica sia nel 2013 che nel 2018 ha drenato una quota consistente di potenziale astensionisti col suo messaggio palesemente anticasta,antipolitica e contro i partiti tradizionali (“apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno”): i 5 stelle presero il 25% nel 2013 e addirittura il 33% nel 2018, e molto probabilmente una loro quota significativa,almeno la metà, si sarebbe astenuta in mancanza della presenza del movimento di Grillo.

Nella cosiddetta prima Repubblica l’astensionismo era bassissimo, come si sa, perché il voto era legato soprattutto ad appartenenze subculturali (cattoliche o socialcomunista) e quindi ovviamente il voto diventava proprio una sorta di manifesto di appartenenza a una delle due culture prevalenti; nella seconda Repubblica la crescita di astensionismo è stata limitata da quella che ho chiamato “fedeltà leggera”, la manifestazione elettorale pro o contro Berlusconi, non più una cosa di anima ma di testa, di opinione. Con il tramonto politico di Berlusconi, dal 2011 in poi, non ci sono più né vecchie appartenenze né una certa polarizzazione berlusconiana o anti-berlusconiana; nel contempo, sempre più forte e presente si manifesta il distacco tra cittadini e politica e i suoi rappresentanti: i politici hanno come noto un indice di gradimento intorno al 15- 20%; esaurito l’innamoramento per i 5 stelle, vissuti ormai come parte del sistema che prima criticavano, l’alterità nei confronti del mondo politico si incarna nel rifiuto, nell’astensione.

La scelta di recarsi alle urne, in qualche modo, potrebbe essere vista come una sorta di scelta più matura,non più condizionata da fattori esterni, ma legata soprattutto alla propria vicinanza alle idee politiche di questo o quel partito. Per inciso, una scelta che in questo periodo favorisce maggiormente il centro-destra, i cui elettori sono oggi più interessati al voto, ma che fino a pochi anni fa favoriva al contrario il centro-sinistra.

Ma esistono infine gli ultimi tre fattori che hanno condizionato la scarsa affluenza. Il terzo elemento è paradossalmente legato ad una ritrovata fiducia nel mondo demoscopico: ultimamente i sondaggi ci azzeccano abbastanza nelle loro stime di comportamento di voto, e gli elettori “sanno” già quale sarà lo scenario principale che uscirà dalle urne; un risultato già scontato, come la vittoria delle destre alle politiche e ancor più nelle regionali, ha probabilmente dissuaso una parte significativa della popolazione elettorale dall’andare a votare.

Inoltre, un’offerta politica priva di figure di grande appeal, come in parte poteva essere stata la stessa Meloni alle politiche, non è riuscita a dare stimoli ad un elettorato che, lo sappiamo, è oggi molto più sensibile alle figure dei leader che non a quella dei partiti.

Infine, last but not least, è esistito soprattutto in quest’ultima tornata regionale un vero problema di informazione e comunicazione dell’evento elettorale, un po’ da tutti gli attori legati al rinnovo delle amministrazioni di Lazio e Lombardia, che già di per sé non suscita un interesse spasmodico. Una mancanza informativa da una parte e di specifico interesse dall’altra che può venir facilmente riassunta in questo episodio, piccolo ma simbolicamente significativo, vissuto da me in prima persona: due giorni prima del voto, mia lezione a Scienze Politiche (non Numismatica!), a Milano, al biennio magistrale. Chiedo ai miei studenti: andate a votare domenica? Risposta prevalente: perché, prof, per cosa si vota…? Ecco.

Per finire, e se consideriamo quello che accade negli altri paesi europei, soprattutto al Nord, vediamo che anche lì spesso si assiste ad un astensionismo intorno al 50% se non di più, in alcune occasioni soprattutto quelle più amministrative: pare dunque questa una tendenza che accomuna ormai l’Italia al resto d’Europa. Mail vero problema è che effettivamente mentre negli altri paesi a volte non si vota perché si ha fiducia comunque in entrambe le parti politiche (penso alla Svezia, o alla Danimarca: chiunque vinca so che amministrerà responsabilmente), forse in Italia si vota meno proprio perché si ritiene che le parti politiche siano sempre meno degne di fiducia. Ecco, questo forse è qualcosa che dovrebbe dare qualche preoccupazione in più.

A Bonaccini-Schlein-Cuperlo-De Micheli “Perchè non volete dire quel che pensate?”

21 Febbraio 2023 - di fondazioneHume

In primo pianoPolitica

Cinque giorni fa, in vista delle primarie del 26 febbraio, la Fondazione David Hume e l’Istituto Bruno Leoni hanno lanciato un appello ai candidati alla segreteria del Pd (appello di cui gli entourage dei candidati hanno confermato la ricezione).

Nell’appello (lo trovate qua sotto) si chiedeva loro di usare dieci minuti del loro tempo per rispondere a 18 quesiti politici fondamentali. Se lo avessero fatto, oggi avremmo le idee molto più chiare su che cosa ciascuno di essi pensa, e che cosa lo differenzia dagli altri tre.

Ed ecco le risposte:

Elly Schlein: nessuna risposta

Stefano Bonaccini: nessuna risposta

Gianni Cuperlo: preferisco non rispondere

Paola De Micheli: appena ho tempo vi rispondo (ma finora non ha trovato il tempo)

Che dire? Giudicate voi. Certo, è interessante che, finché possono restare nel vago, i candidati alla segreteria del Pd siano ben felici di parlare, ma appena li si interroga su questioni precise e politicamente sensibili, se ne guardino bene. Sembra quasi preferiscano non scoprire le carte.

E allora, visto che non possiamo sapere che Pd vogliono coloro che si candidano a guidarlo, perché non provate a compilarlo voi il questionario?

Per farlo basta cliccare qua sotto:

https://forms.gle/NWnyp78KwKHUgNmbA

Compilandolo, le vostre risposte (rigorosamente anonime) saranno registrate in un dataset che le raccoglie tutte, come in un sondaggio di opinione.

Dopo le primarie, Fondazione David Hume e Istituto Bruno Leoni renderanno pubblici i risultati del sondaggio.

Follemente corretto (18) – Cambiare razza?

21 Febbraio 2023 - di Luca Ricolfi

In primo pianoSocietà

Che si possa cambiare sesso, è una eventualità ormai entrata nel senso comune. Ma il percorso è stato lungo, e non è ancora concluso. Con la legge 164 del 1982, la riassegnazione del sesso sulla carta di identità comportava necessariamente un intervento chirurgico. Con il decreto legislativo 150 del 2011 le cose cambiano drasticamente: si può ottenere una modificazione del proprio status anagrafico anche senza intervento chirurgico, l’essenziale è convincere il giudice dell’esistenza di una condizione di “disforia di genere” e della serietà (e irreversibilità) della propria scelta.

Oggi le organizzazioni che promuovono i diritti delle persone trans chiedono molto di più: quel che molti vorrebbero è il cosiddetto self-id, ossia la possibilità di scegliere il proprio genere in modo completamente libero, senza alcun intervento di medici, psicologi, giudici.

La questione è delicata perché alla condizione di maschio o femmina sono associati diritti e prerogative differenti. Un maschio, ad esempio, non può accedere a bagni, spogliatoi, reparti carcerari, associazioni, competizioni (sportive e non) riservate alle donne. Simmetricamente, una donna non può partecipare ad associazioni, gare e reclutamenti riservati agli uomini. Il problema che si pone, quindi, è se il cambio di sesso/genere comporti una riallocazione automatica e completa di diritti, prerogative e corrispondenti divieti. E, soprattutto, se sia il singolo l’unico arbitro che può decidere del proprio sesso/genere, secondo la filosofia del self-id, o sia invece necessaria l’approvazione di altri soggetti individuali e istituzionali (genitori, medici, psicologi, giudici). E, infine, se debbano essere sanzionati quanti si rifiutano di accettare auto-identificazioni di genere soggettive, non sancite dalla legge (ad esempio l’insegnante che continua ad usare pronomi maschili verso un allievo che si autoidentifica come femmina).

Le organizzazioni che promuovono i diritti LGBT tendono ad asserire che la scelta del sesso/genere debba essere individuale, completamente libera, rispettata e riconosciuta da tutti. Non hanno però messo in conto che la medesima pretesa di scegliere – e far valere – la propria identità potesse essere avanzata in ambiti diversi dal genere: ad esempio quello della razza. Dopo quello dei trans-sessuali, è venuto il tempo dei trans-razziali.

Sono celebri, negli Stati Uniti, i casi di Rachel Dolezal, donna caucasica che si è finta di colore per anni (prima di fare outing, nel 2015); o di Korla Pandit, musicista afro-americano che si è fatto passare per indiano; o della professoressa Jessika Crug, figlia di genitori bianchi, che per tutta la vita lavorativa ha fatto credere di essere di colore.

Ma i casi più interessanti sono quelli di coloro che, anziché ricorrere all’inganno, sono ricorsi alla medicina e alla chirurgia per modificare effettivamente il proprio corpo. Martina Big, donna tedesca bianca, è ricorsa a iniezioni di melanina per diventare nera. Oli London, ragazzo bianco inglese, si è sottoposto a 18 (diciotto) interventi chirurgici per diventare come un coreano (più esattamente: per somigliare alla popstar coreana Jimin dei BTS).

Il fenomeno sarebbe rimasto poco più che una curiosità folkloristica se non avesse attirato l’attenzione delle accademiche femministe. Tutto parte da un provocatorio saggio del 2017 di Rebecca Tuvel, giovane docente di filosofia, in cui si sostiene che, così come ammettiamo la possibilità di cambiare genere, per coerenza dovremmo ammettere quella di cambiare razza. Fra i due tipi di transizione, infatti, non sussistono differenze tali da autorizzarne una e negare l’altra.

La filosofa non aveva previsto, però, che la sua difesa del transrazzialismo può portare da tutt’altra parte. I paradossi connessi alla scelta soggettiva della razza (un bianco che diventa nero può godere dei diritti riservati ai neri?), anziché ampliare gli ambiti della autodeterminazione, hanno finito per accendere un faro sull’assurdità di ogni auto-identificazione, di genere o di razza che sia. Di qui una pioggia di contumelie a Rebecca Tuvel, e il contrordine: cambiare razza non si può, solo il genere può essere cambiato.

La lobby LGBT è, e deve restare, un club esclusivo.

Le diverse forme della primitiva dominanza maschile sulle donne: l’interazione tra natura e cultura

20 Febbraio 2023 - di Silvia Bonino

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Non solo cultura

La condizione delle donne è stata segnata storicamente, in tutto il mondo, da gravi disparità di trattamento, con sopraffazione e dominio maschili. Tale situazione perdura oggi anche nel mondo occidentale, teoricamente egualitario. In Italia, per esempio, si va dal minore stipendio a parità di mansione fino agli abusi, alle violenze sessuali e alle uccisioni, il cui numero non accenna a diminuire. Se spostiamo lo sguardo, troviamo diffusissima in tutto il mondo quella che l’antropologa francese Françoise Héritier (1996) ha definito la “valenza differenziale dei sessi”, cioè l’attribuzione di un maggiore valore al sesso maschile, che si traduce in supremazia su quello femminile, codificata a livello giuridico e religioso. Tutto questo nei confronti non di una minoranza, ma di metà della popolazione umana.

Le differenze di valutazione e di trattamento sono in genere spiegate con il perdurare della cultura patriarcale. Questa interpretazione non riesce a spiegare perché il modello patriarcale dell’uomo dominante e della donna subordinata sia così ampiamente diffuso in culture diverse e in tempi storici e luoghi molto differenti. Essa si fonda, inoltre, sull’implicito presupposto che l’essere umano sia influenzato solo dalla cultura, dimenticando due evidenze. La prima è che noi siamo dei mammiferi – se pure dotati di particolarissime caratteristiche cognitive e sociali – con un corpo e un cervello che sono il risultato di una lunga evoluzione filogenetica; in concreto, ciò significa che abbiamo delle disposizioni biologiche –non rigide predeterminazioni al comportamento – che non possono essere ignorate. La seconda evidenza riguarda la cultura stessa, che è il frutto delle specifiche capacità del cervello e della mente umana. Quest’ultima emerge, con modalità sconosciute, da un cervello che si è plasmato nel corso di una lunga storia filogenetica; è stato lo sviluppo della neocorteccia a rendere possibili il pensiero, la parola e l’autocoscienza, consentendo agli esseri umani di comunicare tra loro e di elaborare idee che sono diventate patrimonio di una comunità, poiché potevano essere trasmesse in forma orale, e in seguito anche in forma scritta, superando i limiti di spazio e di tempo. Di conseguenza la cultura, nata dalle potenzialità del cervello umano, è diventata uno strumento di adattamento che non solo si affianca alle disposizioni biologiche ma interagisce continuamente con esse, contribuendo a plasmare il cervello e la mente di ognuno di noi. Ne deriva che le influenze culturali, in continuo divenire, non possono essere considerate in modo separato e isolato da quelle biologiche: occorre invece studiare le reciproche interazioni tra patrimonio biologico e patrimonio culturale, tra natura e cultura, senza riduzionismi di alcun tipo. Occorre inoltre ricordare che il singolo individuo non è il risultato meccanico dell’interazione tra influenze biologiche e influenze culturali; egli, grazie alle capacità di autocoscienza e riflessione su di sé, contribuisce con le proprie scelte e comportamenti a plasmare il proprio cervello e la propria mente.

Da quanto detto deriva che i comportamenti di svalutazione e dominanza degli uomini sulle donne non possono essere spiegati facendo riferimento solo alla cultura, o viceversa solo al patrimonio biologico. Occorre superare le semplificazioni e prendere atto della nostra realtà di mammiferi molto speciali, dotati di un corpo e di un cervello, ma anche di capacità simboliche e di cultura; le relazioni tra uomini e donne vanno quindi studiate nella complessità delle interazioni tra influenze biologiche e culturali. È un compito molto ampio e appena avviato, ma oggi siamo già in grado di delineare un quadro sufficientemente fondato, sulla base di conoscenze scientifiche che ci provengono da discipline diverse (per approfondire: Bonino, 2019).

L’evoluzione della socialità umana e delle relazioni tra uomini e donne

Per comprendere la socialità umana – di cui la diffusa svalutazione e la dominanza degli uomini sulle donne è un aspetto – partiamo dunque dal corpo e dal cervello, realtà che sovente sono prese in minore considerazione o addirittura negate, ma che sono comuni a tutti gli appartenenti alla specie umana. Come è ormai assodato (Blundo e Ceccarelli, 2011), il cervello umano è il risultato di una lunga evoluzione filogenetica, che parte dai primi vertebrati (i rettili), prosegue con i mammiferi primitivi e poi con i neomammiferi, cui la specie umana appartiene. Di conseguenza, nel nostro cervello coesistono tre livelli, corrispondenti a diverse fasi di progressione filogenetica: strutture con origini molto arcaiche (cervello rettiliano) coesistono con altre più recenti (cervello limbico o emotivo, comparso con i protomammiferi) e con altre recentissime (neocorteccia, comparsa con i neomammiferi e massimamente sviluppata nella specie umana). La dominanza degli uomini sulle donne è riconducibile alle disposizioni biologiche sedimentate nella parte più arcaica del nostro cervello come possibilità, non certo come istinto o determinazione al comportamento. Nei rettili le interazioni sociali tra i sessi sono limitate al momento dell’estro, in funzione della riproduzione, e sono caratterizzate da aggressione nei maschi e da paura nelle femmine, in un rapporto di dominanza-sottomissione privo di qualunque relazione individualizzata. Questo tipo di relazione è stato superato nel corso della filogenesi: esso non è specifico degli esseri umani e non è più per noi adattivo.  La nostra specie infatti ha sviluppato un’ampia gamma di capacità di socialità positiva, che sono comparse nella filogenesi con il cervello emotivo e si sono poi ampliate enormemente con lo sviluppo della neocorteccia. Si tratta delle capacità di stabilire relazioni individualizzate e personali, legami di attaccamento, sintonia emotiva, cooperazione e altruismo; esse si sono sviluppate a partire non dalla sessualità ma dalla relazione tra la madre e la prole, e si fondano su specifiche disposizioni alla relazione sociale che sono universali e precocissime (per approfondire: Bonino, 2012). Esse sono presenti in tutti gli appartenenti alla specie umana (come le espressioni emotive di base) e fin dalle primissime fasi della vita (come l’imitazione e il contagio emotivo, fondato sui neuroni specchio, precursori dell’empatia vera e propria). Queste disposizioni permettono l’identificazione dell’altro o dell’altra come essere uguale a sé, in cui specchiarsi e ritrovare la stessa comune umanità, indipendentemente dal sesso. Questa identificazione primaria può essere rafforzata dal pensiero, e quindi dalla cultura, capaci di elaborare e trasmettere idee di uguaglianza; essa può, però, anche essere inibita quando questi sviluppano idee di disuguaglianza, che giustificano la dominanza rettiliana primitiva a favore del potere maschile.

Per quanto riguarda in senso stretto la sessualità, questa si è disgiunta nel corso della filogenesi dalla connessione con l’aggressione nei maschi e con la paura nelle femmine, in un rapporto di dominanza-sottomissione. La sessualità si è congiunta sempre più alla capacità di stabilire legami personali fino a perdere nella nostra specie la sua funzione unicamente riproduttiva per diventare uno strumento al servizio del mantenimento della relazione affettiva. E’ così comparso l’amore sessuale, specifico degli esseri umani, nei quali l’esercizio della sessualità è del tutto sovrabbondante ai soli fini riproduttivi. Infatti non esistono specifici e riconoscibili periodi di estro e la disponibilità sessuale sia nei maschi sia nelle femmine è continua, in presenza anche di alcune modificazioni corporee che favoriscono l’attrazione sessuale (come il seno femminile) e il reciproco piacere sessuale. Questa trasformazione della sessualità umana è avvenuta per rispondere alle esigenze non solo di cura prolungata di una prole con un’infanzia lunghissima, che richiedeva l’impegno continuativo di entrambi i genitori e non solo della madre, ma anche per quelle di relazione affettiva degli esseri umani, dotati di altissima socialità e di un’articolata vita di gruppo con i propri simili. Ciò che è specifico degli esseri umani è quindi la capacità di stabilire relazioni personali paritarie e durature, che coniugano sesso e affetti, basate sul riconoscimento reciproco della comune e uguale umanità.

Esistono dunque in noi, come uomini e donne, disposizioni biologiche diverse e con differente valore adattivo. Quelle arcaiche primitive (aggressione e dominio nei maschi, sottomissione e paura nelle femmine) non sono proprie della nostra specie: nessuno può giustificare la violenza sessuale o il predominio maschile sulle donne invocando la “natura” umana, perché non è più quella la nostra natura. Di conseguenza, le disposizioni arcaiche non svolgono più alcuna funzione adattiva; al contrario, come la quotidiana esperienza ci mostra, creano solo sofferenza a livello individuale e sociale. Esse sono una zavorra che ci portiamo dietro, nel nostro cervello, da un antico passato filogenetico e che dobbiamo imparare non solo a controllare e a non sollecitare, ma anche a non giustificare e legalizzare.

Gli uomini non sono necessariamente dei prevaricatori e dei violenti, ma possono diventare tali se non prendono consapevolezza delle tendenze arcaiche dentro di loro e di quanto la cultura spesso le favorisca, a scapito della socialità evoluta, specificamente umana, l’unica capace di dare benessere ai singoli e alla società. Le donne, a loro volta, non sono condannate per destino biologico alla sottomissione, ma possono facilmente subirla e accettarla se lasciano prevalere in loro l’arcaica disposizione alla paura, in presenza di una cultura che ostacola il riconoscimento delle relazioni paritarie. Le disposizioni sociali proprie della nostra specie sono quelle egualitarie, di riconoscimento della comune umanità: sono queste che la cultura deve favorire per dare benessere. E sono queste che ogni individuo, mai in balia né della natura né della cultura, deve coltivare in se stesso, se vuole davvero esprimere e realizzare la sua umanità.

Le molte forme della dominanza maschile

Nel funzionamento unitario del cervello e della mente, le parti più arcaiche interagiscono con quelle più evolute; di conseguenza, cultura e disposizioni primitive si influenzano reciprocamente.   Cultura significa pensiero, vale a dire parole, sistemi simbolici, idee, ideologie, credenze religiose, costruzioni giuridiche, espressioni artistiche, tecnologia, e molto altro ancora. Può accadere che la cultura giustifichi e cerchi di rafforzare la primitiva supremazia del maschio sulla femmina, a danno delle disposizioni egualitarie più evolute e recenti. In questi casi, il pensiero mette le proprie sofisticate modalità di funzionamento al servizio non delle predisposizioni alla socialità positiva, proprie della nostra specie, ma della sopraffazione primitiva; ciò avviene allo scopo di perpetuare il dominio di alcuni uomini, o di alcuni gruppi di uomini, sulle donne. E’ quindi nell’alleanza tra pensiero, cultura e tendenze primitive di dominio, che si favorisce e si rafforza in modo forte e stabile la prevaricazione degli uomini sulle donne; si determina infatti un giro vizioso in cui il pensiero e la cultura sostengono le tendenze preumane arcaiche e queste ultime, anziché venire inibite e controllate a vantaggio di quelle egualitarie, prevalgono.

Quest’alleanza prende forme diverse nelle varie culture e nei vari tempi storici. Essa emerge nelle forme più brutali di dominanza maschile primitiva, quando si impone la volontà sessuale maschile a una donna, sottomessa con la forza fisica. In questo tipo di sopraffazione sembrerebbe essere in gioco solo l’attivazione della parte più primitiva del cervello maschile, con un prevalere cieco e incontrollato della disposizione biologica arcaica per carenza di controllo dell’impulsività. In realtà anche la cultura ha un ruolo importante, sia perché offre stimoli (come la pornografia) che possono favorire l’emersione di modalità primitive di sessualità predatoria, sia perché sovente giustifica il violentatore, anche nelle sentenze di tribunale, attribuendo la colpa alla donna.

Altre forme di dominanza primitiva sono codificate dalla cultura di appartenenza, in particolare dai sistemi giuridici. E’ facile riconoscere questa dominanza nelle svariate leggi che oggi, in diverse parti del mondo, impongono la segregazione delle donne, la loro subordinazione giuridica al maschio (padre, fratello, marito), il divieto di istruzione, l’imposizione di un vestiario che le occulta. E’ invece più difficile identificare le forme di prevaricazione maschile primitiva nella cultura occidentale, che riconosce formalmente, a livello giuridico, l’uguaglianza di uomini e donne. Eppure sono molte le forme di dominio accettate e intellettualmente giustificate con svariati ed elaborati argomenti. Una delle più diffuse, antiche e persistenti, è la prostituzione, che proprio per il suo intrinseco carattere di dominanza è stata definita “stupro a pagamento”. Oltre a essere accettata come inevitabile o regolamentata per legge, oggi essa viene giustificata da alcune correnti di pensiero come semplice “lavoro sessuale”, al pari di qualunque altra prestazione lavorativa retribuita (per approfondire: Pazé, 2023). Oppure viene rivendicata come liberazione della sessualità femminile, dimenticando che la sessualità umana si è evoluta come relazione individualizzata tra persone uguali, frutto di una libera scelta e caratterizzata dal mutuo coinvolgimento emotivo di entrambi partner. In queste interpretazioni ancora una volta il pensiero elabora teorie al servizio della dominanza maschile primitiva.

Tra le forme più recenti di dominanza maschile c’è la pratica dell’utero in affitto da parte delle coppie omosessuali. Di fronte all’intrinseca impossibilità biologica, per due maschi, di concepire un embrione e di condurre una gravidanza, si ricorre all’inseminazione di una donna utilizzata come gestante; alla nascita, questa dovrà per contratto cedere il neonato ai committenti. La pratica è resa possibile dalla tecnologia, quindi ancora una volta dalla cultura e dal pensiero, i quali vengono inoltre utilizzati per elaborare giustificazioni concettuali volte a legittimarla. Il tentativo di rendere accettabile tale pratica passa anche attraverso il linguaggio – strumento culturale per eccellenza – con l’uso di termini meno crudi, come “gestazione per altri” o addirittura “gestazione altruistica”. Anche quando è una coppia eterosessuale a ricorrere a questa pratica, si tratta sempre dell’esercizio del dominio maschile primitivo sul corpo femminile da parte di chi ha un potere economico schiacciante. In questi casi, la donna acquirente soggiace ai modelli di comportamento maschili e li fa propri, grazie alle giustificazioni che la mente umana è in grado di costruire.

In tutte queste forme di riproposizione in chiave moderna dell’arcaica dominanza maschile, il pensiero svolge un ruolo decisivo: esso veicola posizioni ideologiche storicamente consolidate, di cui garantisce il mantenimento, e allo stesso tempo ne costruisce di nuove, che possono diventare parte del bagaglio di una cultura. E’ sempre il pensiero che giustifica, legittima, trova spiegazioni, argomenta sulla normalità del dominio maschile, spesso con l’acquiescenza delle donne, non sempre consapevoli del loro atteggiamento di sottomissione. Paradossalmente, è la manifestazione ritenuta più elevata, distintiva, nobile e creativa della nostra mente (il pensiero), che emerge dalla parte più evoluta del nostro cervello (la neocorteccia), a fare i maggiori danni, alleandosi con le parti più primitive di noi, nell’interesse di alcuni uomini che difendono così il proprio potere di dominio sulle donne.

 

Prendere consapevolezza

Per superare questa situazione credo si debba prendere atto, anzi tutto, che abbiamo un corpo, realtà che non possiamo ignorare: negarne l’esistenza non ci aiuta risolvere i problemi di rapporto tra uomini e donne e non ci aiuta a trovare un maggiore benessere, che sarebbe invece possibile raggiungere, viste le nostre disposizioni di socialità positiva, biologicamente radicate. Di conseguenza, occorre superare le forti resistenze sia degli uomini sia delle donne, nella nostra cultura, a riconoscere le disposizioni biologiche primitive, per prendere consapevolezza della presenza di tendenze arcaiche di dominanza aggressiva nei primi e di sottomissione paurosa nelle seconde. Riconoscerle è il primo passo per non favorirle con il pensiero e la cultura. Infatti, prendere consapevolezza non significa giustificare, ma al contrario combattere meglio i rapporti di dominanza e sottomissione, svelando ciò che nella cultura e nell’esercizio del pensiero si allea con le nostre disposizioni arcaiche e disadattive e non con quelle all’uguaglianza, alla condivisione emotiva, alla cooperazione e all’altruismo. Gli uomini non sono necessariamente dei prevaricatori e dei violenti, ma possono diventare tali se non prendono coscienza delle tendenze arcaiche dentro di loro e di quanto la cultura spesso le favorisca, a scapito della socialità evoluta, specificamente umana, l’unica capace di dare benessere ai singoli e alla società. Le donne, a loro volta, non sono condannate per destino biologico alla sottomissione, ma possono facilmente subirla e accettarla se lasciano prevalere in loro l’arcaica disposizione alla paura, in presenza di una cultura che ostacola il riconoscimento delle relazioni paritarie.

Le disposizioni sociali proprie della nostra specie sono quelle egualitarie, di riconoscimento della comune umanità, di socialità positiva, di relazioni sessuali e affettive paritarie; dobbiamo quindi impegnarci perché la cultura si allei con queste e non con le tendenze al dominio aggressivo degli uomini sulle donne. Si tratta allora di lavorare, sia come individui sia come società, per una cultura che, interagendo con la nostra natura, favorisca l’emergere delle disposizioni sociative specificamente umane e in grado di far vivere bene sia gli uomini che le donne. E’ un compito che non avrà mai termine, poiché le disposizioni arcaiche non possono essere eliminate e tenderanno sempre a riproporsi in nuove forme e nuovi camuffamenti; esso ha però buone possibilità di successo, perché la nostra vera natura come esseri umani – questo lo possiamo dire con fondamento scientifico – non è quella dei rapporti di dominanza e sottomissione tra uomini e donne.

Silvia Bonino

 

 

Riferimenti bibliografici

Blundo C., Ceccarelli M. (2011). L’organizzazione gerarchico-funzionale del sistema nervoso centrale: lo sviluppo dei processi mentali. In C. Blundo. Neuroscienze cliniche del comportamento. Edra, Milano, pp. 89-121.

Bonino S. (2012). Altruisti per natura. Laterza, Roma-Bari.

Bonino S. (2019). Amori molesti. Natura e cultura nella violenza di coppia. Laterza, Roma-Bari.

Héritier F.  (1996). Masculin/Féminin. La pensée de la différence. Odile Jacob, Paris (trad. it. Maschile e femminile. Il pensiero della differenza. Laterza, Roma-Bari 1997).

Pazé V. (2023). Libertà in vendita. Il corpo fra scelta e mercato. Boringhieri, Torino.

By Luca Ricolfi

Un questionario per i 4 candidati alla segreteria del Pd

E’ da tre mesi che proviamo, invano, a capire su che cosa i 4 candidati alla segreteria del Pd non sono d’accordo fra loro. Né si può dire che interviste e lunghe mozioni congressuali abbiano diradato la nebbia.

Ecco perché ho fatto quel che per mestiere di sociologo sono incline a fare: un questionario a risposte chiuse (solo 18 domande, bastano 10 minuti per rispondere…). Per aiutare tutti noi a capire che cosa c’è nelle loro teste.

Vedremo che cosa risponderanno. Se taceranno, saremo costretti a pensare che non vogliono scoprire le carte, o che le carte sono troppo simili.

Ma perché si fa così fatica a capire che cosa li differenzia uno dall’altro?

Forse il motivo è che è sempre meno chiaro che cosa – realmente – distingua la sinistra dalla destra. Per tre decenni, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la sinistra di governo ha fatto proprie idee di destra, come il mercato, la concorrenza, le liberalizzazioni, le privatizzazioni, i benefici della globalizzazione. Lo ha spiegato molto bene Marco Revelli nel suo libro Le due destre, uscito quasi trent’anni fa.

Ma è successo anche il contrario. Diverse idee di sinistra sono migrate o stanno migrando a destra, specie da quando l’anima sociale della destra ha preso il sopravvento su quella liberista. E’ così che difesa dei deboli, libertà di espressione e persino la promozione del merito hanno attecchito in settori importanti della destra, come ho cercato di raccontare nel libro La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra, uscito pochi mesi fa.

https://rizzoli.rizzolilibri.it/libri/la-mutazione

C’è però una ragione ancora più importante per cui le differenze fra Bonaccini, Cuperlo, De Micheli e Schlein non si riescono a individuare, anche studiando a fondo le loro mozioni. Ed è che i loro discorsi riguardano quasi sempre i fini del cambiamento, non i mezzi per attuare quei fini. E sui fini – combattere le diseguaglianze, promuovere la parità di genere, tutelare l’ambiente, rafforzare lo stato sociale, stimolare la crescita – è praticamente impossibile dissentire. Le differenze vere possono emergere solo quando si comincia a parlare dei mezzi, ossia delle scelte – per lo più dolorose – che occorre compiere in presenza di risorse scarse. Oppure quando le scelte hanno forti connotazioni etico-morali.

È a questo, a prendere posizione sui dilemmi veri, che serve il questionario. Se i 4 candidati vorranno provare a rispondere alle 18 domande sarà molto più facile, per gli  elettori, fare una scelta informata. Che poi, in fondo, è l’essenza della democrazia.

 

MERCATO DEL LAVORO

1          Che cosa pensa dei voucher?

□ rischiano di far aumentare la precarietà

□ possono agevolare la emersione del lavoro nero

2          Che cosa pensa del salario minimo legale?

□ sono contrario, meglio affidarsi alla contrattazione sindacale

□ sono favorevole a un salario minimo legale nazionale di (almeno) 9 euro l’ora

□ sono favorevole a un salario minimo legale, ma differenziato per settore produttivo e

    costo della vita del territorio

 

IMMIGRAZIONE, CRIMINALITA’, ORDINE PUBBLICO

3          Secondo lei la concorrenza degli immigrati contribuisce a tenere bassi i salari degli italiani?

□ sì

□ no

4          Se dovesse scegliere il ministro dell’interno, quale fra questi ministri del passato  preferirebbe?

□ Minniti

□ Lamorgese

5          Come vede il rapporto fra criminalità e immigrazione?

□ non ci sono differenze apprezzabili fra italiani e stranieri

□ gli stranieri delinquono di più, ma le vittime sono soprattutto gli italiani benestanti

□ gli stranieri delinquono di più, ma le vittime sono soprattutto gli abitanti delle periferie

 

ECONOMIA E POLITICHE SOCIALI

6          Supponga di avere 10 miliardi a disposizione, e di dover scegliere una e una soltanto fra tre destinazioni. Quale sceglierebbe?

□  sgravi fiscali su tutte le famiglie

□  sgravi fiscali su tutte le imprese

□  sgravi fiscali solo sulle imprese che aumentano l’occupazione

7          Pensa che, in questa fase, sarebbe utile per l’Italia varare un’imposta patrimoniale una tantum sui ceti alti e medio-alti?

□ sì

□ no

 

SCUOLA

8          Si parla talora della possibilità di introdurre borse di studio per consentire agli studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lei come giudica questo tipo di misura?

□ positivamente, perché il merito va promosso e premiato

□ negativamente, perché escluderebbe gli studenti privi di mezzi ma in difficoltà con gli studi

9          Che cosa pensa dei telefonini in classe?

□ sono da vietare, salvo il caso in cui l’insegnante li ritenga indispensabili a fini didattici

□ sono utili, non andrebbero vietati

10        In via generale, lei pensa che sarebbe giusto o sbagliato legare una parte della retribuzione degli insegnanti a una valutazione del merito?

□ giusto

□ sbagliato

11        Talora si parla della possibilità di dare ai presidi il potere di confermare i supplenti che hanno ben operato, indipendentemente dalle graduatorie.

Lei come giudica questa possibilità:

□ positivamente

□ negativamente

 

DIRITTI CIVILI

12        In materia di lotta alle discriminazioni lei riproporrebbe il ddl Zan?

□ sì, lo riproporrei tale e quale

□ preferirei una versione meno radicale

13        Lei è favorevole o contrario a legalizzare la gestazione per altri?

□ favorevole

□ favorevole, ma solo nei casi in cui la gestazione è gratuita

□ contrario in ogni caso

14        E’ favorevole o contrario al cosiddetto self-id (completa libertà di cambiare genere, sulla base di una auto-dichiarazione)?

□ favorevole

□ contrario

15        E’ favorevole o contrario alla liberalizzazione delle droghe leggere?

□ favorevole

□ contrario

 

ECOLOGIA E AMBIENTE

16        Se lei fosse attualmente al governo, appoggerebbe la direttiva europea che impone l’adeguamento entro il 1° gennaio 2030 delle case con classi energetiche F e G?

□ la appoggerei

□ cercherei di rimodularla, dando molto più tempo per l’adeguamento

17        Lei è favorevole o contrario alle trivellazioni in Adriatico per ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero?

□ favorevole

□ contrario

18        Quale è il suo giudizio sugli episodi di imbrattamento dei muri e delle opere d’arte nei musei in nome dell’ambiente?

□ prevalentemente positivo

□ prevalentemente negativo

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