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Se 400 morti vi sembran pochi

10 Febbraio 2022 - di Luca Ricolfi

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Archiviata l’ingloriosa contesa sul Quirinale, nel giro di pochissimi giorni un nuovo clima sembra essersi installato in Italia. Un clima fatto di riaperture, soprattutto riservate ai vaccinati, e di progressiva smobilitazione dell’apparato di gestione della pandemia. In questo clima di quasi-euforia, si ipotizza la fine dello stato di emergenza (era ora), ma anche lo scioglimento del Comitato tecnico-scientifico (Cts). E questo non già per i troppi errori commessi, ma perché staremmo rapidissimamente uscendo dalla pandemia. Fra gli esperti-sempre-in tv c’è chi trova che 1500 pazienti Covid in terapia intensiva non siano un’emergenza (con buona pace delle migliaia di malati cui è stato rimandato un intervento chirurgico). Quanto al Cts, un suo membro si spinge ad affermare: “Le condizioni per guardare lontano ci sono tutte. Aspettiamo ancora qualche settimana per essere certi di poter saltare di gioia”.

Ieri, a suggellare la realtà di questo cambio di fase, l’intervista rilasciata a “Repubblica” dal generale Figliuolo mette gli ultimi puntini sulle i: i ricoveri stanno diminuendo, gli ospedali possono ricominciare a occuparsi dei malati normali, la campagna vaccinale è molto avanti, difficilmente dovremo sottoporre tutta la popolazione a una quarta dose, in ogni caso il sistema è flessibile, all’occorrenza la rete degli hub è in condizione di riattivarsi rapidamente.

In effetti i dati gli dànno ragione. La percentuale di vaccinati è molto alta, sopra la media europea. I casi giornalieri stanno diminuendo, e così i ricoveri, sia in medicina generale sia in terapia intensiva. Inoltre, è molto confortante il fatto che, in Italia come nella maggior parte dei paesi europei, il tasso di letalità del Covid mostri chiarissimi segni di declino.

C’è solo un’ombra: il numero di morti, circa 400 al giorno. E’ vero che i decessi riflettono l’andamento dell’epidemia un paio di settimane prima, e che – con la diminuzione dei casi attualmente in corso – anch’essi sono destinati a ridursi nelle prossime settimane. Ma il problema resta.

A farcelo notare è Guido Rasi (ex direttore dell’EMA e consigliere del generale Figliuolo), una delle poche voci che, pur sottolineando i miglioramenti in corso, ha ritenuto doveroso porre un piccolo freno ai nostri entusiasmi.  Il consigliere del generale fa notare che “400 decessi al giorno sono veramente tanti”, e che il fatto che siamo un paese anziano “non basta a giustificarli”.

Anche lui ha ragione. Se guardiamo ai paesi europei, sono pochissimi quelli che, in questo momento, hanno più morti per abitante di noi. Tutti i grandi paesi, Regno Unito Germania, Francia, Spagna, Polonia, ne hanno di meno, qualche volta molti di meno (in Germania, un paese anziano come l’Italia, i decessi sono meno di 1/3 dei nostri).

Il prof. Rasi suggerisce cautamente che qualcosa non abbia funzionato, e continui a non funzionare, nell’assistenza sanitaria: cure domiciliari, tempi di ricovero e di trasferimento in terapia intensiva, uso degli anticorpi monoclonali e dei nuovi farmaci antivirali.

E’ verosimile che sia così, ma – quale che sia la ragione per cui abbiamo tanti morti – resterebbe un’altra domanda: come mai ce ne importa così poco? come mai un anno fa 100 morti al giorno ci sembravano tantissimi, e oggi 400 morti non ci turbano più di tanto? Come abbiamo fatto ad abituarci?

Facendo questa domanda non mi riferisco tanto ai politici, quanto a noi cittadini. Perché se, negli ultimi 3 mesi, la politica ha potuto ignorare i segnali di allarme che venivano dai bollettini quotidiani dell’epidemia, e ha potuto permettere che i decessi salissero ininterrottamente dai 40 al giorno di ottobre ai 400 di oggi, è innanzitutto perché in noi qualcosa è cambiato.

Dunque, che cosa è cambiato, e perché?

Credo che i cambiamenti più importanti siano due. Il primo è che, grazie alla progressiva sostituzione della variante delta con la variante omicron (molto meno letale), l’esplosione del numero di contagi non ha comportato un intasamento degli ospedali comparabile a quello delle prime tre ondate. La pressione sugli ospedali registrata allora ci ha convolti tutti, perché arrivava tutte le sere sulle nostre tv, in modo continuativo e martellante, mentre negli ultimi mesi il messaggio fisso, altrettanto martellante, è stato un altro: le terapie intensive sono piene di non vaccinati, i vaccinati ci arrivano molto di rado.

Il secondo cambiamento è stato il mero trascorrere del tempo: ieri eravamo disposti a fare imponenti sacrifici per salvare vite umane, oggi non lo siamo più semplicemente perché sono passati due anni, e troviamo intollerabile l’idea che i nostri sacrifici siano a tempo indeterminato, senza una luce in fondo al tunnel. A un certo punto, noi abbiamo deciso che la pandemia stava finendo. E’ questo che ha permesso a Draghi di gestire le cose con molta meno prudenza del suo predecessore, fino al punto di considerare 400 morti al giorno come un tributo accettabile. E’ questo che oggi ci rende indulgenti, se non indifferenti, di fronte ai numeri che scorrono ogni sera davanti ai nostri occhi.

Ma perché siamo diventati così?

Credo sia tempo di prendere atto che, nella nostra cultura (e probabilmente in tutte le culture), i morti assumono significati differenti a seconda della carica simbolica di cui sono circonfusi. Per suscitare la nostra pietà o la nostra indignazione non basta che siano tanti. Devono connettersi a qualche porzione del nostro inconscio, o del nostro immaginario, in cui assumano un significato forte. Se devono turbarci, non possono essere prosaici, devono avere una carica emotiva. E, requisito fondamentale, occorre che siano pensabili come qualcosa contro cui possiamo combattere, riducendone drasticamente la portata.

E’ per questo che 3 morti al giorno sul lavoro ci colpiscono, e 9 morti al giorno di incidente stradale no. E’ per questo che 100 femminicidi l’anno ci fanno impressione, e 5000 donne morte in incidenti domestici no. Ed è di nuovo per il medesimo motivo che, nella primavera del 2020, 600 morti di Covid al giorno ci parevano un’enormità, e 600 morti per malattie cardiache no: quei morti di Covid pensavamo di poterli ridurre drasticamente anche mediante i nostri comportamenti (come in effetti abbiamo fatto), mentre per i morti di cuore sapevamo di poter fare ben poco.

Ora i 400 morti di Covid al giorno abbiamo imparato a considerarli come i morti di infarto, di ictus, di cancro. Come numeri, insomma. Forse è logico, e persino giusto. Ma lascia un retrogusto amaro, che getta un’ombra sui proclami che annunciano le riaperture e sul fiume di retorica che accompagna il “ritorno alla normalità”.

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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