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Nel segno dell’incertezza

2 Luglio 2025 - di Luca Ricolfi

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Che cosa pensa l’opinione pubblica delle guerre in corso? A giudicare da diversi sondaggi degli ultimi tempi sembra che i sentimenti dominanti siano stanchezza, scetticismo, incertezza. La guerra in Ucraina è durata troppo, le speranze di una “pace giusta” sono ridotte al lumicino. La condanna dell’intervento israeliano a Gaza coesiste con una certa comprensione per l’attacco americano ai siti nucleari dell’Iran. Il riarmo europeo e il connesso aumento delle spese militari spaccano sia la destra sia la sinistra.

Che l’opinione pubblica sia confusa e divisa non stupisce più di tanto, data la straordinaria complessità delle questioni sul tappeto. Quel che trovo sorprendente, invece, è la sicurezza con cui si muovono tanti esperti di questioni geopolitiche e geostrategiche. Due cose mi colpiscono in particolare. La prima è quante informazioni cruciali ci mancano, e quanto poco questa ignoranza venga tematizzata. Nel caso dell’intervento in Iran non sappiamo se l’Iran era davvero sul punto di possedere l’arma nucleare, o se siamo di fronte a una nuova bufala, come quella sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein nel 2003; non sappiamo dove siano in questo momento i 400 chili di uranio arricchito e che cosa gli iraniani intendano farne; non sappiamo, soprattutto, quale proposta americana l’Iran avrebbe rifiutato prima della rottura dei negoziati sul programma nucleare. Nel caso della guerra in Ucraina non sappiamo con la necessaria esattezza chi e che cosa fece fallire le trattative intavolate a Istanbul nella primavera del 2022; e ovviamente non conosciamo i piani di Putin per i prossimi anni (sempre che resti al potere), né come reagirebbe alle possibili mosse dei governi occidentali.

La seconda cosa che mi sorprende è che, in una situazione di così palese e drammatica ignoranza dei dati basilari, tanti politici e tanti esperti esibiscano convinzioni strategiche univoche. Mi hanno colpito, in particolare, le analisi contenute in due bellissimi libri di specialisti, uno uscito nei giorni scorsi (Se la Russia attacca l’Occidente, di Carlo Masala, Rizzoli), l’altro pubblicato pochi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina (Il governo mondiale dell’emergenza, di Alessandro Colombo, Cortina). Il primo è un esercizio di fanta-politica, che immagina uno scenario futuro di tipo catastrofico: la Russia attacca l’Estonia il 28 marzo 2028, e i governanti europei, non avendo dato seguito alle promesse di riarmo ed essendo tra loro divisi, non riescono a reagire adeguatamente l’attacco. Il secondo è una raffinata analisi del dopo ’89, e degli errori strategici dell’occidente, incapace di capire che l’aggressività e pericolosità dei suoi nemici dipendono anche dalle politiche, a loro volta aggressive e ossessionate dall’imperativo della sicurezza, messe in atto nei loro confronti. Anche se i due autori non si pronunciano esplicitamente, credo che la lezione che un lettore ricaverebbe dal primo libro è che l’Europa dovrebbe riarmarsi al più presto (“si vis pacem para bellum”), mentre la lezione che ricaverebbe dal secondo è che l’Occidente e la Nato devono smetterla di spadroneggiare in tutto il mondo.

Quello che ai miei occhi in entrambi pare mancare, è la coscienza che il gioco delle relazioni internazionali non è governato dal rischio ma, per riprendere la fondamentale distinzione di Knight e di Keynes, è retto dall’incertezza. Si ha rischio quando gli esiti delle proprie azioni sono sconosciuti ma calcolabili probabilisticamente (come in molti giochi d’azzardo), si ha incertezza quando non solo le conseguenze delle nostre azioni non sono prevedibili, ma non siamo neppure in grado di assegnare probabilità ai vari esiti logicamente possibili. E’ questa, sfortunatamente, la situazione del gioco europeo in atto in questi anni. Dove l’imperativo del riarmo ha una sua logica, il paragone con gli errori delle democrazie di fronte a Hitler ha una sua plausibilità, ma nessuno è in grado di escludere che le cose stiano all’opposto, e che il comportamento futuro della Russia possa dipendere anche, se non soprattutto, da quanto si sentirà minacciata da noi. Di qui, in particolare, l’impossibilità di formulare un giudizio razionale sul riarmo tedesco: provvidenziale ciambella di salvataggio per un’Europa altrimenti inerme, o provocazione che rischia di risvegliare l’orso russo, memore di Napoleone e di Hitler?

Ecco perché sono stupito. I nostri governanti, i nostri politici, i nostri esperti militari, i nostri intellettuali, i nostri editorialisti parlano come se conoscessero le conseguenze delle scelte che l’Unione Europea si appresta a compiere. Come se non sapessero che questo è il tempo dell’incertezza. E che, in tempi di incertezza, nessuno può sapere con ragionevole certezza qual è la via che si deve imboccare.

[articolo uscito sul Messaggero il 28 giugno 2025]

Diffamazione, l’incertezza della legge

22 Maggio 2024 - di Luca Ricolfi

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12 ottobre 2023. Il tribunale penale di Roma condanna Saviano per diffamazione, infliggendogli una multa poco più che simbolica (1000 euro). Aveva dato dei “bastardi” a Salvini e Meloni per le loro posizioni anti-migranti. La mitezza della pena è dovuta al fatto che il giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche, tra cui l’aver agito per “motivi di particolare valore morale”.

15 maggio 2024. La filosofa Donatella Di Cesare, querelata dal ministro Lollobrigida con l’accusa di diffamazione, viene prosciolta. Il ministro aveva usato l’espressione “sostituzione etnica” (presente nel lessico nazista), e lei aveva affermato che “quello del ministro non può essere preso per uno scivolone perché ha parlato da Gauleiter, da governatore neohitleriano”.

Nelle stesse ore del proscioglimento di Di Cesare, si apprende che il tribunale di Napoli ha condannato il giornalista Pasquale Napolitano a 8 mesi di carcere (pena sospesa) più una multa di 6500 euro per diffamazione a mezzo stampa: in un articolo
pubblicato sulla testata Anteprima24 aveva raccontato la vicenda del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola, rimasto in carica “attaccato alla poltrona” nonostante la mancanza di una maggioranza.

Parrebbe dunque sussistere una gerarchia: “attaccato alla poltrona” è un insulto gravissimo, che ti fa meritare il carcere “bastarda” è un po’ meno grave, specialmente se lo dici per motivi di particolare valore morale; invece “governatore
neohitleriano” si può dire tranquillamente, se sei un professore e fai un paragone storico.
Ma c’è una logica, in tutto questo?

Non saprei. Se proprio dovessimo trovarne una, si potrebbe ipotizzare che nella testa dei giudici viga una sorta di sottile scala di gravità, che distingue fra offese alla persona in quanto tale, offese alla persona in quanto ha fatto qualcosa, e offese alla
persona in quanto somigliante a una persona negativa:
(i) sei un bastardo;
(ii) ti sei comportato da bastardo;
(iii) parli come quel bastardo di…

Forse capiremo meglio dopo il 7 ottobre di quest’anno, quando il prof. Luciano Canfora andrà a giudizio per aver affermato in pubblico (in un liceo di Bari) che Giorgia Meloni è “neonazista nell’animo”. Se Canfora dovesse essere condannato, potremmo forse inferirne che quel che il giudice punisce sono gli attacchi diretti alla persona in quanto tale, a prescindere dalla gravità dell’accusa (incollato alla poltrona, neonazista nell’animo). Se Canfora dovesse essere assolto dovremmo forse inferirne
che gli intellettuali, come lui e la professoressa Di Cesare, godono di speciali immunità quando le loro offese (neohitleriano, neonazista nell’animo) sono pronunciate nell’ambito di un ragionamento storico, sociologico, o filosofico.

Vedremo. Quel che resterà comunque in piedi è il problema di conciliare libertà di espressione e rispetto della persona umana, due principi inevitabilmente destinati a confliggere fra loro. Sarebbe già un grande progresso, però, che i giudici non peggiorassero le cose spostando continuamente – e soprattutto soggettivamente – il confine fra quel che si può dire e quel che non si può dire in pubblico. Perché oggi l’unica certezza che ci accompagna è la consapevolezza che, da qualsiasi lato ci troviamo – accusati o accusatori – il nostro destino molto dipende dal giudice nelle cui mani siamo capitati.

[articolo inviato a La Ragione il 19 maggio 2024]

Il Gerrymandering e le bufale pre-elettorali

15 Dicembre 2017 - di Paolo Natale

Politica

Finiti gli scontri sulla definizione e le regole della nuova legge elettorale, l’ormai ben noto “Rosatellum bis”, il mondo politico e giornalistico ha trovato un altro tema di polemica, quello riguardante la conformazione che devono avere i nuovi collegi elettorali. Il ritorno ai collegi uninominali, sia detto per inciso, è forse una delle poche cose buone che questa norma di voto ci ha restituito: un aggancio con il territorio che, sebbene molto più timido rispetto all’antico “Mattarellum” (come lo definì Giovanni Sartori), ha comunque il pregio di affiancare di nuovo il nostro paese alle modalità di voto delle principali democrazie occidentali, con la riconoscibilità delle candidature e una scelta forse più consapevole da parte degli elettori.   Leggi di più

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