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Il tempo delle varianti, o il re-framing dell’emergenza infinita

27 Marzo 2021 - di Andrea Miconi

In primo pianoSocietà

“Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante testo del prof. Miconi, anche se alcune analisi appaiono in contrasto con quelle della Fondazione Hume”

Voce del verbo “variare”

Per discutere del mio tema – come i media operano il framing e re-framing della cronaca – inizierò dalle basi. Variante, sostantivo femminile derivato dal participio presente del verbo “variare”, è un termine di per sé neutro: indica, vuole la Treccani, una “modificazione rispetto a un esemplare o tipo che si considera fondamentale”; e “ciascuna delle diverse forme, dei diversi aspetti con cui una cosa si può presentare rimanendo sostanzialmente identica”[1]. Nella biologia dei virus, la variazione è un fatto altrettanto ordinario: la loro diffusione è scritta da una serie continua di errori di replicazione, che possono cambiarne la morfologia. Perfino l’Istituto Superiore di Sanità – perché tutto è lì, sotto i nostri occhi – ci fa sapere che “i virus, in particolare quelli a RNA come i coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma”[2]. Quanto al virus di oggi, la cautela è necessaria: perché la situazione non deve sfuggire di mano, e su questo siamo tutti d’accordo. Dall’altro lato, il buonsenso scientifico ci ricorda però una cosa: che di norma, tra le varianti di un virus, quella che si diffonde più velocemente è quella meno aggressiva, che produce danni minori all’organismo. E questo per una evidenza della teoria dell’evoluzione, spiegata da quel magnifico divulgatore che è Richard Dawkins: lo scopo del virus, per così dire, è quello di usare gli organismi cellulari per riprodursi, e quindi le forme che uccidono l’animale ospite finiscono per circolare di meno[3] [presumo che sia la ragione della scarsa diffusione di Ebola, che colpisce come il serpente dei tre passi]. Tra una necessaria vigilanza e un sano ottimismo, nel regno di mezzo del buonsenso possiamo concludere che al momento non c’è ragione di preoccuparsi più di tanto [al momento: se le cose cambieranno, vedremo]. E allora, perché parlare così tanto di varianti?

Per chi si occupa di ricerca sui media, come me, questo è un caso di scuola di propaganda su grande scala: improvvisamente, da un giorno all’altro, tutti gli organi di informazione iniziano a parlare di varianti – anche se il virus è sempre stato soggetto a mutazioni, e lo era quindi anche l’anno scorso. In più, la martellante campagna di opinione parla di allarme relativo alle varianti, anche se al momento – ripeto: al momento – non si vedono troppe ragioni per farlo. E d’incanto, con la soluzione più banale che ci sia – parlare solo e sempre di varianti, associandole in modo esplicito o surrettizio alla morte – manipolazione è fatta: il problema sono le varianti, di per sé; e nessun punto di vista alternativo è ammissibile. Per l’ennesima volta, grazie alla consonanza più che sospetta delle diverse fonti, la spirale del silenzio si è chiusa[4]. Tutto questo, per essere chiari, non implica alcuna valutazione sullo stato dell’epidemia, che non sono in grado di giudicare, né sulla pericolosità delle varianti, su cui non so nulla. Quello che sto discutendo, viceversa, è il clima di terrore sostenuto dai media, che a forza di allarmi – ogni variante è quella più letale; le due settimane a venire sono sempre quelle peggiori – finiscono per generare un rigetto inevitabile, e rendere la vita difficile a chi ha qualcosa di serio da divulgare. La sconcertante campagna di stampa sugli effetti del vaccino Astra Zeneca ne è la conferma più ovvia, e, quello che più conta, ha prodotto danni incalcolabili per la campagna di immunizzazione.

L’altro ramo della domanda riguarda il perché proprio ad un certo momento, visto che le mutazioni del virus esistevano anche prima – salvo che chi le evocava veniva bollato come negazionista, proprio perché alludeva logicamente ad una plausibile riduzione della letalità, e non sia mai [già, ve lo ricordavate?]. E dunque, è un caso che proprio ora si sia sprigionato il racconto delle varianti, quando le persone hanno smesso di essere spaventate dal virus, e hanno capito come conviverci, con prudenza ma appunto con l’intenzione di vivere? Che tutta la stampa, all’unisono, inizi a raccontare la stessa versione, come se – ma ovviamente è un esempio paradossale, non prendetelo alla lettera – qualcuno dall’alto istruisse i direttori delle testate su cosa fare? Che tanti personaggi si prestino ad alimentare questo clima, da medici che parlano di emergenze smentite dal loro stesso ospedale, a scienziati che vagheggiano di numeri inesistenti?

Lo dice la scienza?

Ora, le previsioni sugli effetti delle varianti le conosciamo a memoria, perché la stampa ha lanciato la solita gara al rialzo tra esperti più o meno improvvisati: Massimo Galli, Giorgio Gilestro, Nino Cartabellotta, Walter Ricciardi, Ilaria Capua, Giorgio Parisi, Andrea Crisanti, perfino uno studente di economia di nome Lorenzo Ruffino [nessuno dei quali, guarda caso, specializzato in epidemiologia]. Al di là delle sfumature, il messaggio era univoco: a marzo la variante farà danni maggiori del virus madre, ucciderà anche i giovani, e in due settimane – le solite, eterne due settimane a venire – avremo 50.000 contagi e 1500 morti al giorno. Parrebbe, insomma, che gli esperti siano selezionati in funzione della loro adesione alla dottrina del lockdown, più che delle loro competenze.  La prova, fin troppo facile, è che nessuno spazio è concesso a epidemiologi di profilo internazionale, che da tempo denunciano le chiusure come una follia: Sunetra Gupta e Lisa White di Oxford; John Ioannidis e Jay Battacharia di Stanford; Didier Raoult di Aix-Marseille; Martin Kulldorff di Harvard [come potete notare, tutti atenei di poco conto, a cui è normale non dare risalto]. Al punto che la Dichiarazione di Great Barrington – il manifesto contro il lockdown dell’ottobre scorso, firmato da 13700 scienziati – non è stata mai citata, come risulta dalla ricerca che stiamo svolgendo con l’Osservatorio di Pavia, dai telegiornali italiani. Voglio ripeterlo: in cinque mesi, tra tutti i telegiornali mainstream – che non parlano altro che di Covid – nessuno ha mai citato, nemmeno una volta, la posizione in materia di alcuni dei più accreditati epidemiologi del pianeta. E anche nei nostri quotidiani, di Covid-19 può parlare chiunque assecondi l’allarme, che siano igienisti, fisici, romanzieri, matematici, veterinari, gastroenterologi, statistici, e perfino studenti di economia; ma gli epidemiologi di Oxford e di Harvard no, loro non hanno titolo per intervenire. I nostri esperti, invece, più sbagliano e più sono chiamati a pontificare in TV: a condizione, va da sé, che continuino a sbagliare per eccesso e che nel dubbio diano la colpa ai cittadini, e mai ad un sistema sanitario incapace sia di curare i malati che di vaccinare gli anziani. Un’interminabile danza macabra, una litania medievale imbevuta di moralismo e morbosità, ben descritta da Andrea Venanzoni come una “religione pandemista”, professata da sacerdoti autoritari che si sono impossessati “manu militari” dei mezzi di informazione[5] – che su questo, aggiungo io, hanno una responsabilità colossale.

La terza ondata è stata meno forte del previsto, ha commentato infine Andrea Crisanti[6] – sembrava quasi con una punta di delusione, laddove di solito se la ride, mentre si parla di privare i cittadini dei propri diritti. Di certo, dal lato dei media studies osserviamo come il tentativo di framing della variante come nuova epidemia abbia funzionato a sua volta meno del previsto: un po’ per l’evidenza delle cose; un po’ per la stanchezza generale; e un po’ per le solite esagerazioni dei nostri giornalisti, capaci di rendersi ridicoli anche nel momento del tragico. Infatti, dopo le minacce brasiliane ed inglesi, è arrivata quella sudafricana; poi quella newyorkese isolata nelle Marche[7]; quella nigeriana rintracciata in Valle d’Aosta; e infine, al culmine del crescendo sabbatico, le “quattro varianti sconosciute” a Palermo[8], la “super-variante italiana” a Novara[9], e la “doppia variante” proveniente dall’India[10] [dove milletrecento milioni di persone, per inciso, hanno convissuto con il Covid con danni risibili]. E ora, vista a rischio l’operazione varianti, i media stanno cercando di operare l’ennesimo re-framing per giustificare delle restrizioni che nessun parametro noto sembra giustificare: fateci caso, ma siamo tornati letteralmente al clima dell’anno scorso, con le fotografie delle persone intubate, le puerili interviste in corsia ai negazionisti pentiti [palesemente inventate, lo so], e tutto il campionario di indecenze a cui i nostri media ci hanno abituato.

Chi segue il dibattito internazionale sa che, ormai in tutto il mondo, la stagione dei lockdown è finita; e molti iniziano a considerarlo come il più grande errore politico del Dopoguerra [quello che io, nel mio piccolo, ho sempre pensato]. Dove si è tornati alla vita normale, dalla Russia al Texas, la ritrovata socialità non ha spostato di un millimetro la curva epidemica. Negli Stati Uniti, come notato dallo stesso Kulldorff, è partita la gara a negare di aver mai appoggiato le chiusure. I dati ufficiali Eurostat indicano che la famigerata Svezia – il paese franco, che ha scelto la via delle libertà e delle responsabilità individuali – è tra le nazioni europee con minore mortalità in eccesso nel 2020[11] [e no, non lo troverete nei nostri media, se ve lo state chiedendo]. Solo pochi paesi, tra cui l’Italia, rimangono ancora posseduti dal culto sacrificale del lockdown, malgrado decine di studi ne mettano in discussione l’utilità, e malgrado i terrificanti danni sanitari, psichici, relazionali ed economici che ne derivano – in breve, la distruzione della nostra società e della democrazia liberale.

La libertà è una cosa semplice

Credo da tempo che, in parallelo alla vicenda epidemiologica – che non giudico, essendo incompetente – corra un’altra storia, quella di spietati gruppi di interesse e di potere che la stanno usando per altri motivi[12]; e che in questa seconda storia il controllo della popolazione non sia un mezzo, ma lo scopo in sé. Introducete questo cambio di variabile, e improvvisamente avrete la spiegazione di tante incongruenze altrimenti oscure: il ribasso continuo dei parametri, la secretazione dei dati, il protagonismo sadico dei virologi, la corsa a chiudere contro le stesse indicazioni governative, la modifica continua delle regole – e non da ultima cosa, l’imposizione di un odioso ed illiberale coprifuoco che non ha la minima motivazione scientifica, eppure è lì da cinque mesi, e nessuno parla.

Forse, invece, è tempo di iniziare a parlare, e a voce alta. E mi riferisco qui al mondo sociale nel suo insieme, o se volete alle persone ordinarie, per così dire: perché i grandi nomi la loro occasione l’hanno già persa. Penso, ad esempio, a Giuseppe Tornatore, un premio Oscar che si è prestato ad un cortometraggio di propaganda inquietante, per come prova a normalizzare la mostruosità della nuda vita umana profanata dai sudari di plastica[13]. Ad Antonio Scurati, premio Strega, che sul Corriere della Sera ha raccontato l’epidemia come una punizione divina che ci saremmo meritati per qualche oscura ragione – come colto, più in generale, da Bernard Henry-Lévy[14] – salvo poi riscoprire una vena di ribellione contro il divieto di fumo all’aperto[15] [sul coprifuoco da Gestapo no, invece; quello pare vada bene]. A Piero Angela, un mite signore che con poca mitezza ha invocato l’esercito contro la “movida” dei giovani[16], che non corrono nessun rischio, per poi contestare ogni proposta di contenimento degli anziani come lui[17] – che almeno sarebbe stato il modo meno doloroso di uscire da questo disastro. Penso a Stefano Boeri, un architetto di fama mondiale, che ha contribuito a rendere così bello il nostro stare a Milano, ma non ha avuto la forza di chiamarsi fuori da un’operazione spaventosamente idiota e dispendiosa – santa pazienza – come la progettazione dei padiglioni di Arcuri, sotto il precedente governo.

No, non sto parlando degli intellettuali; non sto parlando degli accademici; non sto parlando dei sociologi; non sto parlando delle donne e degli uomini della cultura di sinistra, in tutti i campi e a tutti i livelli. Per loro è già tardi, e la colpa del loro silenzio non sarà mai perdonata.


[1] Da qui: https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/variante/.

[2] Dalla pagina web https://www.iss.it/varianti-del-virus [corsivo aggiunto].

[3] R. Dawkins, Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente [1976], Milano, Mondadori, 1992. Il tema è in certo modo implicito, va detto, nel modello dell’evoluzione di Darwin.

[4] E. Noelle-Neumann, La spirale del silenzio. Una teoria dell’opinione pubblica [1980], Roma, Meltemi, 2001.

[5] A. Venanzoni, La religione pandemista: nel nome della “scienza” travolti diritti e garanzie della democrazia liberale, “Atlantico Quotidiano”, 18 marzo 2021.

[6] Covid, Crisanti: terza ondata meno peggio del previsto, lancio Adnkronos, 25 marzo 2021.

[7] L. Luminati, Variante Covid New York: identificati nelle Marche i primi due casi italiani, “Il Resto del Carlino”, 24 marzo 2021.

[8] Coronavirus, scoperte a Palermo quattro varianti sconosciute in Italia, “TGR Sicilia”, 23 marzo 2021.

[9] Covid, che cos’è la super-variante italiana e perché preoccupa, “Qui Finanza”, 17 marzo 2021.

[10] In India una nuova variante Covid, “Corriere della Sera”, 25 marzo 2021.

[11] I dati Eurostat sono qui.  Come si vede, l’eccesso di mortalità in Svezia è inferiore a quello di paesi come Italia, Francia, Germania e Spagna, che hanno scelto la strada suicida dei lockdown. Per un primo commento, naturalmente non della stampa italiana, G. Alander, Sweden saw lower 2020 death spike than much of Europe – data, “Reuters”, 24 marzo 2021.

[12] Su questo, ho scritto un primo modesto contributo già nell’aprile del 2020: Epidemie e controllo sociale, Roma, manifestolibri, 2020.

[13] Penso ovviamente a Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995. Rileggere oggi le pagine di Agamben sulla nuda vita è, va detto, una epifania dolorosa, tanto illuminante quanto terrificante.

[14] B. Henry-Lévy, Il virus che rende folli, Milano, La nave di Teseo, 2020.

[15] A. Scurati, Un divieto ipocrita, fumerò all’aperto, “Corriere della sera”, 21 gennaio 2021.

[16] Qui il lancio ANSA.

[17] Piero Angela: “se il decreto vieta gli spostamenti agli over 70 come unica categoria, sono contrario”, “Huffington Post”, 2 novembre 2020.

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Andrea Miconi
Andrea Miconi
Roma, 14 novembre 1973. Professore Associato di Sociologia dei Media, IULM
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