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Epidemia, il paradosso novax

12 Ottobre 2021 - di Luca Ricolfi

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La sensazione che, sul fronte dell’epidemia, le cose stiano andando piuttosto bene si sta facendo sempre più strada un po’ a tutti i livelli: i media rassicurano, il Comitato tecnico-scientifico autorizza un allentamento delle restrizioni, i politici fanno a gara per intestarsi il merito del ritorno alla normalità, la gente spera.

È fondato questo clima di cauto ottimismo?

Per molti versi sì. A certificarlo nel modo più chiaro sono i dati della mortalità per abitante, che in Italia è minore che in Spagna, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Israele. In Europa, fra i grandi paesi, solo la Germania è riuscita ad abbattere la mortalità quanto l’Italia, e solo la Polonia ha fatto meglio di noi. E fra i paesi europei di medie dimensioni, colpiscono i drammi della Bulgaria e della Romania, in cui la mortalità per abitante è quasi 20 volte quella dell’Italia (è come se noi, oggi, avessimo 1000 morti al giorno, anziché 50).

Perché in Italia, questa volta, le cose vanno meglio che nella maggior parte degli altri paesi?

Le ragioni, a mio parere, sono essenzialmente due.

La prima – la chiamerò “effetto Figliuolo” – è che l’Italia, anche grazie allo scarso peso della popolazione under 12, è riuscita a vaccinare una quota molto elevata della popolazione. Come sarebbero andate le cose senza la vaccinazione di massa, lo rivelano indirettamente i due paesi più disastrati d’Europa, ossia Bulgaria e Romania, che hanno vaccinato pochissimo (20-30%) e sono alle prese con una mortalità spaventosa.

La seconda ragione – la chiamerò sarcasticamente “effetto Arcuri” – è che l’Italia ha vaccinato tardi, e quindi non fa ancora i conti con il problema che affligge i paesi virtuosi come Israele, Stati Uniti, Regno Unito, che proprio per aver vaccinato massicciamente fin da dicembre sono ora alle prese con la riduzione dell’efficacia dei vaccini, e sono costretti a ricorrere affannosamente alla terza dose.

Fin qui tutto bene. Purtroppo non è tutto, però. Ci sono anche ombre, che sarebbe rischioso nascondere o ignorare.

Molti credono che, grazie al vaccino, ora non abbiamo più 800 morti al giorno, ma ne abbiamo poche decine; oggi non abbiamo 4000 persone in terapia intensiva ma “solo” 400. Questo ragionamento, però, è farlocco. Il fatto che sia ripetuto centinaia di volte al giorno in quasi tutti i giornali e in quasi tutte le tv non cambia la sua erroneità. I confronti nel tempo si devono fare a parità di stagione, perché le condizioni climatiche e le connesse abitudini di vita (al chiuso o all’aperto) hanno un enorme impatto sull’epidemia. Per dire se oggi stiamo meglio o peggio di ieri dobbiamo confrontare gli stessi periodi dell’anno.

Ebbene, facciamolo. Come stanno andando le cose, in questo scorcio di inizio d’autunno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso? La risposta è, purtroppo, che le cose vanno un pochino peggio, perché – rispetto a 12 mesi fa – abbiamo circa il doppio dei morti e dei contagiati. E questo nonostante il vaccino, nonostante il Green Pass.

Come è possibile?

Semplice: la variante delta, che ha un tasso di riproduzione (R0) molto più alto di quello della variante prevalente all’esordio dell’epidemia, ha un impatto sulla diffusione del virus che controbilancia l’impatto del vaccino sulla letalità. Un anno fa non avevamo il vaccino, ma avevamo una variante relativamente mite (simile a quella di Wuhan), oggi abbiamo il vaccino ma abbiamo la variante delta. Queste due forze tendono ad elidersi, facendo sì che la situazione attuale non sia radicalmente migliore di quella di un anno fa. E l’approssimarsi della stagione fredda, con temperature più basse e ritorno alla vita al chiuso, annuncia un ulteriore aumento dei rischi di contagio.

Siamo nei guai, dunque?

Non è detto, perché rispetto a un anno fa c’è una differenza importante: per ora il valore di Rt resta al di sotto di 1 (il valore critico, al di sopra del quale l’epidemia riparte), mentre 12 mesi fa era circa 1.5, un valore catastrofico che per circa 4 mesi (da metà luglio a metà novembre 2020) non è mai rientrato al di sotto del livello di guardia. E’ verosimile che questa differenza abbia a che fare con il Green Pass, che costringe milioni di non vaccinati a un continuo, asfissiante (ma utile) automonitoraggio mediante i tamponi.

Da questo punto di vista, è preoccupante la tempistica della rivolta contro il Green Pass in atto in questi giorni, in particolare a Roma e Milano. Quella rivolta è certamente stata aizzata e strumentalizzata da forze eversive, ma trova alimento in una preoccupazione molto concreta dei lavoratori che non intendono vaccinarsi: dal 15 ottobre, se non mi vaccino perdo lo stipendio, o sono costretto a tamponarmi (a spese mie) per 2-3 volte la settimana. Il problema è che non stiamo parlando di una piccola minoranza di irriducibili ma di qualche milione di persone, la cui assenza dal lavoro può avere effetti economici devastanti, specie nelle piccole imprese. E questo proprio nel momento in cui, per evitare che l’autunno riaccenda l’epidemia, avremmo bisogno di un rigoroso rispetto delle misure di contenimento del contagio.

Che farà il governo?

Non avendo fatto quel che, da mesi, avrebbe dovuto fare, ossia (almeno) mettere in sicurezza gli ambienti chiusi mediante dispositivi di ricambio dell’aria, temo che finirà per navigare a vista. La prima mossa è stata disattendere le indicazioni del Comitato tecnico-scientifico sulle capienze massime di stadi, cinema, teatri, discoteche eccetera, con l’obiettivo di fornire un ulteriore stimolo all’economia. La seconda potrebbe essere il varo di qualche concessione a chi non vuole vaccinarsi, tipo allungare da 48 a 72 ore la validità dei tamponi, o renderli gratuiti, o introdurre deroghe ai protocolli aziendali, che già ora stanno creando seri inconvenienti burocratici alle imprese, con tanti saluti alle promesse di semplificazione e di alleggerimento del carico degli adempimenti.

E la terza mossa?

Dipenderà dall’andamento dell’epidemia. Se l’epidemia non dovesse rialzare la testa, o lo facesse senza intasare gli ospedali, lo scenario più probabile è quello di una conferma della linea aperturista attuale. Se invece il numero di morti dovesse tornare a livelli preoccupanti, dovrà affrontare il dilemma: chiudere di nuovo, o usare l’emergenza sanitaria per imporre l’obbligo vaccinale.

E’ il paradosso delle manifestazioni di questi giorni: più, in nome della libertà, si rafforza l’opposizione ai vaccini e al Green Pass, più è probabile che, con il varo dell’obbligo, la nostra libertà si restringa ancora di più.

 Pubblicato su Il Messaggero dell’11 ottobre 2021

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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