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A proposito di stupri – Il lato oscuro della civiltà

3 Settembre 2023 - di Luca Ricolfi

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Ogni tanto la stampa e le televisioni ci informano di qualche drammatica violenza su donne, ragazze, e persino bambine: stalking, abusi sessuali, stupri, femminicidi. Ultimamente, l’attenzione è caduta su due casi di stupro di gruppo avvenuti uno a Palermo, l’altro a Caivano in provincia di Napoli, in una realtà degradata e ostaggio della criminalità.

Notizie di questo tipo sono doverose, e tanto più utili quanto più accompagnate da ricostruzioni accurate del contesto economico, sociale e culturale in cui i fatti maturano. C’è un risvolto della medaglia, tuttavia. Da questo genere di episodi, di cui si parla qualche volta al mese, possono derivare credenze sostanzialmente errate. Ad esempio, che si tratti di poche decine di casi l’anno. O che la matrice siano le condizioni sociali e culturali, particolarmente problematiche nel Mezzogiorno. O che l’Italia sia una realtà particolarmente arretrata, ben lontana dagli standard di civiltà di tante altre società avanzate.

Ebbene, nessuna di queste letture, spesso stimolate dagli episodi di cronaca, regge a un’analisi dei dati (pur imperfetti e frammentari) di cui oggi disponiamo. Partiamo dal numero di stupri: le denunce sono circa 5 al giorno, con un “numero oscuro” di almeno 50 casi non denunciati ogni giorno. Una stima rozza e per difetto suggerisce che gli stupri siano dell’ordine di 20 mila l’anno.

Ma dove si concentrano gli stupri? I dati disponibili mostrano che, contrariamente a una credenza piuttosto diffusa, la frequenza è maggiore nelle regioni del Centro-nord rispetto a quelle del Sud. Secondo i dati più recenti del Ministero dell’interno, relativi al 2021, il record negativo delle violenze sessuali è detenuto dalla civilissima Emilia- Romagna, mentre la regione meno toccata è l’arretrata Calabria. Né si pensi che questa (presunta) anomalia sia una particolarità italiana. Se allarghiamo l’orizzonte, e passiamo a considerare i paesi dell’Unione europea, o l’insieme ancor più ampio dei paesi Oecd, troviamo la stessa regolarità già osservata confrontando le regioni italiane. Sulla base dei pochi dati disponibili, pare che i tassi di violenza sulle donne più alti si riscontrino nei paesi (considerati) più sviluppati, come Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, con punte inquietanti negli ultra-moderni, ultra-civili paesi del Nord: Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca (per non parlare di quel che accade fra i super-privilegiati e sovra-istruiti studenti dei college americani e britannici, dove alcune inchieste indicano che le studentesse vittime di violenza sessuale sarebbero 1 su 5). Mentre i tassi più bassi si riscontrano in paesi mediterranei come Grecia, Spagna, Portogallo, Italia. In tutte le statistiche il nostro paese si trova sempre nella fascia dei paesi meno esposti alla violenza di genere.

Arrivati a questo punto, so già qual è l’obiezione: è tutta colpa del “numero oscuro”, ossia del tasso di denuncia, presumibilmente molto diverso da paese a paese, e significativamente più alto nei “paesi civili”. Se il centro-nord ha più violenze sessuali del Sud, e la Svezia ne ha molte di più dell’Italia, è solo perché nelle realtà avanzate quasi tutte le violenze vengono denunciate, mentre in quelle arretrate ciò accade soltanto per una piccola frazione del totale.

Questo argomento non è del tutto infondato, ma non basta a spiegare i fatti. Le differenze nei tassi di violenza fra un paese come l’Italia e un paese come la Svezia sono troppo ampie per attribuirle interamente a differenze nei tassi di denuncia, anche perché vari studi condotti nei paesi nordici indicano, anche lì come nel nostro paese, tassi di denuncia molto bassi, dell’ordine di 1 caso su 10 (se non peggio).

Ma c’è un modo sicuro per verificare se il “paradosso nordico” (i territori più avanzati hanno tassi di violenza sulle donne maggiori di quelli più arretrate), è una realtà e non un artefatto statistico: basta confrontare fra loro non le denunce per stupro, ma i femminicidi, per i quali il numero oscuro non può che essere vicino a zero (è molto difficile che l’uccisione di una donna non venga rilevata dalle statistiche). Ebbene, anche in questo caso i paesi del Nord hanno i tassi di femminicidio più alti, l’Italia ha valori comparativamente molto bassi e, dentro l’Italia, è il Centro-nord a primeggiare (sia pure di poco), non l’arretrato Mezzogiorno. Non solo, ma – contrariamente a un pregiudizio molto diffuso – i femminicidi “di possesso” (in cui il maschio non riesce ad accettare la perdita della donna) sono tipici del Nord, non del Sud.

Conclusione: i dati dicono che, tendenzialmente, più avanzata è una realtà dal punto di vista del benessere e della parità di genere, maggiore è il tasso di violenza sulle donne. In quale modo questa circostanza debba essere interpretata, è tutt’altro che ovvio. Ma il fatto resta. E solleva una domanda: non sarà che il nostro modello di civiltà, basato sull’espansione illimitata dei consumi e dei diritti individuali, contenga in sé un difetto di fabbricazione, una sorta di vizio nascosto?

Da Palermo a Napoli: a proposito degli stupri di gruppo

28 Agosto 2023 - di Luca Ricolfi

In primo pianoSocietà

  1. Inferno nel parco verde di Caivano. Vittime sono delle bambine di 10 e 12 anni. Sembrava che il caso di Palermo fosse stato l’ultima storia di stupri. Siamo in un Paese malato?

Sì, ovviamente. Ma in Europa, e più in generale in occidente, sono tanti i paesi in cui i femminicidi, o gli stupri, o entrambi i reati sono più frequenti che in Italia. Anche le civilissime Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Olanda hanno numeri inquietanti. Come la mettiamo?

  1. Già, come la mettiamo?

Forse è giunto il momento di farci la domanda cruciale: non siamo ancora abbastanza civili, o è il nostro tipo di civiltà che rende endemica la violenza sulle donne?

  1. Lei come risponde?

Propendo per l’idea che la nostra civiltà, che si basa sempre più su un mix sbilanciato fra diritti e doveri (tutto a favore dei diritti individuali), sia sempre meno capace di contenere le pulsioni individuali. Abbiamo un bel criticare il patriarcato, ma dimentichiamo che il padre non è solo il maschio-bianco-eterosessuale prepotente che sottomette la povera femmina indifesa, ma è anche il super-io che limita le richieste dell’es. Siamo in una “società senza padre”, come aveva profetizzato Alexander Mitscherlich fin dall’inizio degli anni ’60 con il suo libro omonimo (Verso una società senza padre, uscito nel 1963), e questo significa necessariamente due cose complementari, che non possono andare l’una senza l’altra: più libertà, ma anche meno freni.

  1. Quali sono, a suo parere, i motivi che spingono i giovani verso comportamenti così inspiegabili?

Veramente io non li trovo inspiegabili. Direi anzi che sono spiegabilissimi, e sono solo la punta dell’iceberg. A quel che risulta da alcune indagini statistiche, per ogni stupro denunciato ve ne sono almeno 10 non denunciati. Senza contare tutti i casi di prevaricazione sessuale, ai confini dello stupro. La spiegazione ovviamente non può essere condensata in una formula, ma credo che il fattore più importante, la matrice di tutto, sia la completa mancanza di una “educazione sentimentale”, per usare un termine ottocentesco. Dove per educazione sentimentale intendo un percorso lungo e accidentato di avvicinamento al sesso, un percorso che aveva nel pudore e nell’arte del corteggiamento i suoi caposaldi.

Quello che la mia generazione e quella successiva non paiono aver compreso è che la liberazione da ogni inibizione e da ogni autorità ha ottime ragioni dalla sua parte, ma ha anche un costo. Se i genitori non fanno più i genitori, se la scuola diventa ostaggio delle famiglie, se le istituzioni rinunciano a esercitare l’autorità, certo che si vive in una società più tollerante e meno repressiva, ma non ci si può stupire che una frazione della gioventù sia senza freni, e lo sia molto precocemente. E non importa dove: può essere nei quartieri chic di una grande città, come in una periferia degradata ostaggio della criminalità organizzata

  1. Quanto influiscono i social?

Direi che sono decisivi. I media, piuttosto ingenuamente, parlano della scuola e dell’università come luoghi di competizione sfrenata, dove l’ansia da prestazione divorerebbe una gioventù fragile e infelice, tentata dal suicidio. Non si accorgono che la competizione c’è, ma non è per ottenere buoni voti, bensì per eccellere nel gruppo dei pari, massimizzando il numero di like, facendo circolare video più o meno spinti (il cosiddetto sexting), compiendo gesta clamorose: atti vandalici, risse di strada, scippi, stupri individuali e di gruppo. Ragazzi e ragazze sono sottoposti a una pressione mostruosa per evitare lo stigma di compagni e amici, l’incubo di non essere nessuno.

  1. I ragazzi di oggi sono più violenti di quelli di ieri?

Probabilmente sì, ma io userei un altro termine: direi più spregiudicati.

  1. Le istituzioni cosa possono fare rispetto a quanto si sta verificando?

Qui voi vi aspettate la ricetta del sociologo. Ma, proprio come sociologo, vi rispondo: quasi nulla. Inutile aumentare le pene, se poi lo stupratore non finisce in carcere, o ci resta poco. Patetico dire che deve cambiare la mentalità, che è un problema culturale, che bisogna educare. Educare? Adesso ce ne accorgiamo? C’è bisogno di uno stupro di gruppo per farci accorgere che non lo facciamo più da mezzo secolo?

  1. Non le sembra che il dibattito politico affronti questioni marginali, ignorando le problematiche vere del Paese?

Non credo che le questioni affrontate dalla politica siano marginali, semmai il problema è che le “problematiche vere” (compresa la violenza sulle donne) sono troppe.

[intervista uscita su L’Identità il 27 agosto 2023]

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