Il tempo delle credenze

21 Ottobre 2023 - di Luca Ricolfi

Dossier Hume

Chi ha provocato la strage di civili e di malati all’ospedale di Gaza? È stato un bombardamento dell’esercito israeliano o un lancio fallito di un razzo di Hamas?

Secondo Lucio Caracciolo, uno dei più autorevoli studiosi di questioni internazionali, ci sono tre soggetti che conoscono la verità (Usa, Israele, Hamas), ma questa storia è destinata a restare “avvolta in una nube di tragica leggenda”. In assenza di testimoni indipendenti sul terreno, Hamas potrà continuare a dare la colpa all’esercito israeliano, Israele a darla ad Hamas.

E noi? Noi siamo impotenti. O meglio, siamo divisi in due campi. Quello di coloro che credono di sapere, e quello di coloro che sanno di non sapere.

Al primo campo appartengono gli schierati, convinti di poter scegliere fra le due versioni in base alle proprie convinzioni fondamentali: non può che essere stato Israele, non può che essere stato Hamas. Come Pier Paolo Pasolini che, di fronte alle stragi di Milano, Bologna, Brescia, diceva “io so, ma non ho le prove”. E diceva di sapere perché era un intellettuale, capace di collegare e interpolare frammenti di verità per ricomporli in una sola verità vera. Oggi la medesima hybris di sapere serpeggia ovunque, nei cortei degli studenti filo-palestinesi, nei media assetati di vendetta, nelle folle che in Medio Oriente assaltano le ambasciate occidentali e inneggiano alla distruzione di Israele.

Al secondo campo, quello di coloro che sanno di non sapere, appartiene la maggior parte della gente comune, ma anche una piccola minoranza di studiosi, scrittori, giornalisti, cui mi sento di appartenere anch’io. Per noi è tragico quel che è successo, ma è anche terribile il modo in cui se ne parla. È terribile che, in omaggio al dovere di cronaca, vengano accostate notizie e pseudo-notizie, fonti autorevoli e fonti prive di ogni credibilità. È terribile che il 95% dell’informazione nei media più seguiti (tv e social) non sia informazione ma spettacolo. Dove l’ospite è invitato perché si sa già che parte farà, come se un talk show fosse un combattimento fra cani. Dove è evidentissimo che nessuno vuole scoprire come sono andate le cose, e che nessuno modificherà mai la propria idea ascoltando quella degli altri.

Da dove viene questa mancanza di interesse per la verità, anche quando una verità fattuale esiste, come nel caso della tragedia di Gaza? Che cos’è che ha intossicato il mondo dell’informazione?

Fino a qualche anno fa pensavo che il problema centrale fossero la faziosità, la partigianeria, l’ignoranza, tutti guai che affliggono in modo particolare il nostro paese e il nostro sistema dei media. Oggi la vedo un po’ diversamente. Oggi la faziosità non è il problema, ma è la soluzione. Paradossale, contro-intuitiva, immorale quanto vi pare, ma a suo modo risolutiva. La faziosità risolve, in modo aberrante, quello che sta diventando il problema centrale del nostro tempo: l’impossibilità, per il cittadino comune (ma spesso anche per il cittadino più attrezzato), di valutare l’attendibilità di una notizia. Se la medesima notizia è data per vera da una fonte e per falsa da un’altra, che cosa mi resta se non decidere io, con le mie convinzioni e i miei pregiudizi, da che parte sta la verità?

In questo, la tecnologia non aiuta, e la moltiplicazione delle fonti ancor meno. La tecnologia toglie ogni valore di verità alle immagini, che possono essere manipolate e “fotoshoppate” a piacimento, come ben sanno ragazze e ragazzi che si scambiano foto in rete. E neppure gli audio si salvano: se è diventato facilissimo clonare la voce altrui e farsi credere un’altra persona (così, recentemente, una ragazza americana ha scoperto il tradimento del fidanzato), perché mai dovremmo credere all’esercito israeliano quando manda in onda una conversazione fra due palestinesi che confessano che l’attentato all’ospedale di Gaza è opera di Hamas?

Quanto alla moltiplicazione delle fonti, la sua funzione principale non è di permettere a voci scomode di farsi sentire, ma semmai di fornire ad ogni pregiudizio una fonte su cui poggiare. Un meccanismo ben noto fin dagli anni ’50, grazie agli studi di Leon Festinger (l’inventore della “teoria della dissonanza cognitiva”), ma divenuto ubiquo e pervasivo nell’era dei social.

Ma, si dirà, non tutte le fonti hanno la medesima autorevolezza: ci sono fonti autorevoli e fonti screditate. Temo che questa sia una grave semplificazione. Perché le fonti autorevoli sono spesso parziali, e di fonti imparziali (e riconoscibili) ve ne sono pochissime. Forse la vera domanda è un’altra: come mai, in un mondo che ne avrebbe sempre più bisogno, la domanda di imparzialità è sempre più scarsa?