Black Magic Woman

10 Gennaio 2024 - di Luca Ricolfi

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Antefatto. È martedì 5 dicembre 2023, sono passati 2 mesi dall’attacco terroristico di Hamas a civili israeliani. Tre presidenti di prestigiose università americane (tra cui Harvard) sono chiamate a rispondere ad alcune domande davanti al Congresso. Le domande girano intorno al quesito se, secondo le regole degli illustri atenei, invocare il genocidio degli ebrei costituisca oppure no bullismo o molestia (e sia quindi sanzionabile, secondo i codici accademici).

Le malcapitate presidenti, tutte donne e una pure black, cominciano a tergiversare e annaspare, e finiscono per rifugiarsi in un pilatesco “dipende dal contesto”. Di qui un mare di polemiche, che conduce alle dimissioni della presidente dell’Università della  Pennsylvania (la bianca Elizabeth Magill), poi a quelle della presidente di Harvard (la nera Claudine Gay). Al momento in cui scrivo, benché invitata ripetutamente a farlo, non si è ancora dimessa la presidente del MIT (la bianca Sally Kornbluth).

Può sembrare strano, e per qualcuno pure scandaloso, ma le risposte delle tre poverette, per quanto goffe, imbarazzate, e poco lucide, non erano poi così destituite di fondamento su un piano legale. Come ha subito notato Will Kreeley, direttore della Fondazione per i Diritti di Espressione dell’Individuo, effettivamente sul piano legale tutto dipende da come e in che situazione l’invito al genocidio viene formulato. Semmai, come non ha mancato di notare lo stesso Kreeley, è frustrante vedere i vertici accademici, così pronti alla censura quando viene infranta l’ortodossia woke, disseppelire scrupoli pro-libero pensiero (“free speech scruples”) solo sotto il fuoco di un’audizione congressuale. Il massimo dell’ipocrisia: nelle università americane gli studenti sono sanzionabili per le più minuscole ed evanescenti “micro-aggressioni”, ma diventano oggetto di pensose riflessioni sulla libertà di pensiero quando le vittime bisognose di tutela sono gli ebrei.

Ma la storia non è tutta qui. Anzi il lato più interessante viene dopo. Perché, mentre a Elizabeth Magill, presidente dell’università della Pennsylvania, bastano 4 giorni per decidere di dimettersi, a Claudine Gay, presidente della più prestigiosa università statunitense, occorrono ben 2 mesi. La lettera di dimissioni arriva solo il 2 gennaio, pochi giorni fa. Una lettera piena di belle frasi sulle meraviglie di Harvard e sul proprio impegno, ma parca di spiegazioni sulle ragioni delle sue dimissioni, e del tutto priva di scuse.

Che cosa, dunque, ha convinto la presidente di Harvard a dimettersi?

Semplice: l’accusa di plagio, basata sulla scoperta di numerosi passaggi copiati nella sua produzione scientifica (ne ho esaminati diversi, e devo dire che alcuni sono effettivamente inaccettabili, altri banali e perdonabilissimi). Il lato interessante della storia è però quel che è venuto fuori esaminando il suo curriculum accademico: la produzione scientifica della Gay, pluriosannata nei mesi scorsi in quanto prima donna nera eletta a capo della più prestigiosa università americana, è a dir poco imbarazzante. Specie nell’ultimo decennio, la prof.ssa Gay ha pubblicato pochissimo, e sulla qualità di quel poco che ha pubblicato non sono mancate perplessità e dubbi da parte di vari studiosi. Qualcuno ha azzardato una difesa dicendo: che cosa c’entra la produzione scientifica? se fai il rettore di Harvard quel che conta non sono i titoli accademici, quel che conta è che tu sia bravo a rastrellare fondi (o fundraising, che suona meglio). Probabilmente è anche vero, e infatti qualcuno ha notato che proprio per questo la Gay andava cacciata, visto che ci sono già le prime rinunce di donatori importanti (Ferragni docet, sui traffici della beneficenza tutto il mondo è paese).

Ma c’è un’altra lettura possibile, di cui si parla negli Stati Uniti, ma che è rimasta in sordina da noi. Qualcuno ha fatto notare che la vera ragione per cui una mediocre studiosa come la Gay è stata scelta per occupare il vertice della più importante università americana sono le sue “immutable characteristics”, ovvero le sue permanenti qualità innate di essere donna e di essere nera. In un mondo nel quale non si pensa più che lo scopo dell’università sia perseguire la verità, bensì sia di promuovere la Social Justice, non è poi così strano che quelle caratteristiche immutabili facciano miracoli, come pietre magiche: Black Magic Woman, come magistralmente cantavano i Santana mezzo secolo fa.