Hume PageHume Page

Tre domande su Israele

13 Agosto 2025 - di Luca Ricolfi

In primo pianoPoliticaSocietà

Dopo una lunga stagione di incertezze, ora anche il governo italiano pare essersi deciso a prendere posizione contro il piano di occupazione di Gaza City annunciato da Netanyahu, ma osteggiato dall’esercito israeliano. A differenza di altri paesi, tuttavia, l’Italia non ha sospeso gli accordi di cooperazione con Israele, non ha riconosciuto lo Stato palestinese, né ha annunciato di volerlo fare a breve termine (come invece ha fatto la Francia).

Le ragioni della svolta si comprendono facilmente: i media occidentali e l’opinione pubblica sono schierati senza incertezze con i Palestinesi, visti come vittime innocenti della crudeltà di Netanyahu. In questa situazione, per qualsiasi governo europeo occidentale, non condannare la nuova operazione militare israeliana equivarrebbe a un suicidio politico (una situazione simile, mutatis mutandis, a quella del 1992, quando era impossibile non stare con Mani Pulite contro i politici corrotti). Di qui la corsa a schierarsi con i deboli (palestinesi) contro i forti (israeliani).

Se sul piano comunicativo il gioco è chiaro, e fin troppo scoperto, non così sul piano politico-militare. Chi, come la maggior parte dei governi europei, sostiene il riconoscimento dello stato di Palestina e la soluzione “due popoli, due Stati”, si guarda bene dal rispondere ad alcune domande cruciali.

Prima domanda: qual è il governo che i paesi europei vorrebbero riconoscere? È il governo di Gaza, anti-democratico e in mano ai terroristi? O è la debole e corrotta Autorità Nazionale Palestinese (ANP), che governa una piccola porzione della Cisgiordania? O il riconoscimento è una finzione, che non si rivolge a nessun governo, e serve semplicemente a rabbonire le sensibili opinioni pubbliche europee?

Seconda domanda: qual è il territorio su cui dovrebbe sorgere il nuovo Stato Palestinese? Se è Gaza, è una presa in giro, visto che la Striscia è un cumulo di macerie. Se è la Cisgiordania, c’è un piccolo inconveniente: per cederla interamente ai Palestinesi occorrerebbe sgomberarla da centinaia di migliaia di coloni e soldati israeliani, che controllano interamente la zona C (59% del territorio), hanno il controllo militare della zona B (24% del territorio), e con innumerevoli posti di blocco sorvegliano tutti gli spostamenti fra le oltre 200 aree separate che costituiscono le zone A e B in cui vivono la maggior parte dei Palestinesi.

Terza domanda: esiste un percorso politico-diplomatico-militare che ha ragionevoli possibilità di imporre la soluzione dei due Stati?

Quel che voglio dire è che è troppo comodo lavarsi la coscienza con l’atto puramente simbolico di riconoscere lo Stato palestinese, senza specificare quali sono i territori che gli israeliani dovrebbero sgomberare, qual è l’autorità di governo che siamo disposti a riconoscere, qual è il processo che può condurre alla meta.

Da questo punto di vista, l’Europa non è certo senza peccato. Dov’eravamo quando, specie sotto Netanyahu, i governi israeliani permettevano la frantumazione della Cisgiordania in innumerevoli enclave? Che cosa abbiamo fatto per impedire gli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania, una terra che l’Onu fin dal 1947 aveva assegnato ai Palestinesi? Come abbiamo fatto a chiudere gli occhi di fronte all’uso che, per ben due decenni, Hamas ha fatto dei miliardi di aiuti concessi dall’Europa?

Sono tutti interrogativi cui nessun governo europeo, finora, ha avuto il coraggio di rispondere. Perché se provasse a farlo, dovrebbe scoprire che il male è stato fatto ben prima dell’invasione di Gaza, e in quel male anche noi abbiamo avuto una parte. Oggi ci commuoviamo per le sofferenze del popolo palestinese e invochiamo una soluzione – due popoli, due Stati – che con la nostra indifferenza passata abbiamo contribuito a rendere (quasi) impossibile.

[articolo inviato alla Ragione il 10 agosto 2025]

image_print


Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
© Copyright Fondazione Hume - Tutti i diritti riservati - Privacy Policy
Tre domande su Israele