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Gli indistinguibili – A proposito del “campo largo”

18 Aprile 2024 - di Luca Ricolfi

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“Non accettiamo lezioni da nessuno” è una frase che, ciclicamente, sentiamo ripetere un po’ da tutte le forze politiche, quando una inchiesta della magistratura scoperchia malefatte dei politici, qualche volta presunte, qualche volta vere. È successo pochi giorni fa con il Pd a Bari e Torino; è successo con Fratelli d’Italia in Sicilia; ed è successo pure con il Movimento Cinque Stelle a Roma (anche se di questo si è parlato pochissimo). Quindi è vero che nessuno può dare lezioni, ma solo perché nessun partito è senza peccato.

Questo non vuol dire, tuttavia, che su questione morale e dintorni non vi siano differenze importanti. I partiti di destra non hanno mai rivendicato una superiorità morale. Il Pd e i suoi predecessori l’hanno sempre rivendicata, fin dai tempi di Berlinguer. Il Movimento Cinque Stelle ne ha fatto addirittura una questione identitaria, una sorta di biglietto da visita che lo rendeva una forza politica speciale, diversa da tutte le altre. Poco stupisce, quindi, che Conte – alla prima avvisaglia di difficoltà dell’alleato – abbia colto la palla al balzo, assumendo il ruolo di censore e giudice, in paziente attesa che i reprobi facciano pulizia in casa loro.

Per certi versi la mossa di Conte è comprensibile: le elezioni europee sono alle porte, e l’occasione per scavalcare il Pd e diventare il primo partito dell’opposizione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. E i primi sondaggi dopo gli scandali sembrano dare ragione al leader Cinque Stelle: il vantaggio del Pd si sta riducendo, e potrebbe persino annullarsi (o cambiare di segno) se nuovi scandali dovessero riversarsi sul Partito Democratico, lasciando indenne il suo maggiore alleato.

C’è anche un’altra ragione, tuttavia, meno opportunistica e più politica, che rende non irragionevole la scelta di Conte. Ed è che, in questo momento, la “questione morale” è l’unico terreno su cui i Cinque Stelle hanno qualche possibilità di differenziarsi dal Pd non solo oggi, in occasione delle elezioni europee, ma anche più in là, quando sarà il momento delle elezioni politiche (2027).

E le differenze sulla guerra? si potrebbe obiettare; e quelle sul reddito di cittadinanza?; e quelle sulla magistratura? e quelle sui migranti?

In realtà, oggi nessuna delle classiche differenze fra i due partiti ha qualche consistenza. Sulla guerra, al momento di candidarsi al governo del paese non potranno che assumere un atteggiamento comune, come hanno dovuto fare i partiti di centro-destra, neutralizzando le gravi perplessità di Berlusconi e Salvini.

Sul reddito di cittadinanza, è impensabile che il Pd – dopo aver governato con i Cinque Stelle e difeso a spada tratta il reddito – recuperi le posizioni critiche e anti-assistenziali che aveva un tempo. Sulla magistratura, le intercettazioni, il potere dei giudici, la libertà dei giornalisti, è inevitabile che prevalgano le posizioni giustizialiste dei Cinque stelle, se non altro come antidoto al presunto eccesso di potere della destra. Stesso discorso sui migranti, anche se qui sono stati i Cinque Stelle – scottati dall’esperienza di governo con Salvini – a omologarsi alle posizioni del Pd.

Quanto agli altri grandi temi, ad esempio diritti civili e transizione green, è arduo immaginare anche un solo punto su cui i due partiti siano in grado di differenziarsi in modo significativo.

In breve, Pd e Cinque Stelle ormai si somigliano troppo per poter chiedere il voto in base a differenze programmatiche percepibili. E certo non aiuta il fatto che il terzo soggetto del cosiddetto campo largo – l’Alleanza Verdi-Sinistra (AVS) – sia a sua volta un’entità quasi indistinguibile dai due partiti principali della sinistra.

Ecco perché la scelta di Conte ha una sua logica. Con l’avvento di Elly Schlein e la sconfitta dell’ala riformista del Pd, con il convinto ripudio dell’era Renzi, con l’alleanza organica con Landini e la sua Cgil, le tre forze portanti del centro-sinistra – Pd, Cinque Stelle, AVS – hanno perso la capacità di spiegare in che cosa ciascuna di esse è veramente diversa dalle altre. Con un’unica particolarità, tutta a favore dei Cinque Stelle: che loro, almeno, possono provare a riesumare il marchio di fabbrica, “onestà e legalità”.

Resta solo da vedere se gli elettori vorranno prenderli in parola.

[uscito su La Ragione il 16 aprile 2024]

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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Gli indistinguibili – A proposito del “campo largo”