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Corpi neutri e de-gendering – Il grande scandalo della medicina moderna

10 Marzo 2024 - di Marina Terragni

In primo pianoSocietà

Come ti regoli se ti si presenta un ragazzino con personalità multipla che vuole cambiare sesso? Be’, semplice: ti metti lì e con santa pazienza chiedi il consenso per il trattamento a tutte quante le personalità. L’evenienza è tutt’altro che rara: “Vedo un bel po’ di gente con seri problemi mentali: disturbi dello spettro autistico, stress post-traumatico, psicosi”. Conferma un collega: “Be’, il trauma è molto comune… un sacco di pazienti soffre di disturbi dissociativi”. La chat interna di WPATH, resa pubblica da Michael Shellenberger, presidente e fondatore del think tank Environmental Progress -nonché “eroe dell’ambiente” di “Time”, vincitore del Green Book Award e titolare della cattedra di Politica, Censura e Libertà di parola all’Università di Austin -è letteralmente sconvolgente. WPATH (World Professional Association For Transgender Health) è ritenuta la massima autorità scientifica e medica globale sulla “medicina trans”. Da decenni i suoi standard di cura plasmano le linee guida, le politiche e le pratiche di governi, associazioni mediche, sistemi sanitari pubblici e cliniche private in tutto il mondo, OMS compresa. I file, debitamente screenshottati, dimostrano che WPATH non soddisfa gli standard di una medicina basata sull’evidenza. Nella chat i membri -chirurghi, terapisti e attivisti- ammettono di ritrovarsi a improvvisare i trattamenti: in sostanza una sperimentazione in vivo. E si mostrano consapevoli del fatto che bambini e adolescenti non sono in grado di esprimere un vero consenso alla terapia affermativa (puberty blocker, ormoni, chirurgia) perché per esempio mostrano di non capire quando gli parli di rischi come la sterilità e la compromissione della funzione sessuale. Dice Dan Metzger, endocrinologo canadese: “In teoria è giusto parlare con un quattordicenne del fatto di preservare la sua fertilità, ma so che è come parlare al muro… La maggior parte dei ragazzi non ha nessuno spazio cerebrale per parlarne in modo serio”. “Tanti dicono: bleah: bambini, neonati, che schifo. Risposta media: Ok, nel caso adotterò”. Neanche le famiglie capiscono bene, “gente che magari non ha manco studiato biologia a scuola… certi genitori” dice un terapista “non riescono nemmeno a formulare le domande riguardo a un intervento medico per il quale hanno già sottoscritto il consenso”. In chat si discute di bloccare la pubertà a una bambina di 10 anni e a un bambino di 13 anni affetto da ritardo mentale. Un altro scambio descrive in dettaglio l’esecuzione di interventi di chirurgia genitale su persone affette da schizofrenia. Un membro chiede consiglio su un paziente di 14 anni che si identifica come ragazza e chiede la rimozione di pene e testicoli con utilizzo del tessuto per creare una pseudo-vagina, intervento che richiede pratiche di dilatazione a vita: troppo giovane? Forse sì, ammette Marci Bowers, presidente transgender di WPATH e chirurgo pelvico-ginecologico in California. “Il tessuto è immaturo, la routine di dilatazione complicata, gli esiti chirurgici potrebbero essere problematici”, si dovrebbe prelevare un segmento di intestino per costruire la finta vagina. Bowers ne sa qualcosa: ha eseguito più di 2.000 vaginoplastiche, la sua paziente più nota è Jazz Jennings, giovanissima trans operata in diretta nel corso il reality “I’m Jazz”. Nel caso di Jazz sono stati necessari tre interventi correttivi dati i problemi della prima operazione. Però qualsiasi limite di età “è arbitrario” puntualizza Bowers. Sconsigliabile attendere i 18 anni, meglio operare “qualche tempo prima della fine della scuola superiore, così stanno sotto la sorveglianza dei genitori nella casa in cui sono cresciuti”, ti immagini i casini al college con i dilatatori. Si parla con franchezza anche delle complicazioni della chirurgia di transizione per le ragazze, falloplastiche con pseudo-peni insensibili e ovviamente anorgasmici modellati con tessuto dell’avambraccio o della coscia, e delle gravi conseguenze degli interventi: malattia infiammatoria pelvica, atrofia vaginale, incontinenza, problemi intestinali debilitanti, sanguinamento e dolore lancinante durante il sesso (“sensazione di vetro rotto”). Una parte della chat è dedicata all’emergente chirurgia per non-binary. Thomas Satterwhite, chirurgo plastico a San Francisco, dal 2014 ha operato decine di pazienti under 18. “Ho scoperto” dice “che sempre più pazienti richiedono procedure ‘non standard’ tipo una “chirurgia superiore non binaria”, mastectomia che elimina anche i capezzoli. L’obiettivo, spiega il claim di una clinica californiana, “è un corpo liscio e neutro, esteticamente privo di identificazione sessuale”. Su TikTok la tendenza si chiama “fronte piatto”. WPATH ha incluso il “de-gendering” nei suoi nuovi standard di “cura”: castrazione chimica o chirurgica per pazienti che si identificano come eunuchi, fenomeno con un suo lato fetish. Lo stesso documento ha approvato l’intervento chirurgico sperimentale “bi-genitale” che tenta di costruire un secondo set di organi sessuali. Nella chat si ammette perfino che alcuni giovanissimi pazienti hanno sviluppato tumori: si parla per esempio di una 16enne con cancro al fegato in seguito alla somministrazione di ormoni. Dopo la pubblicazione della chat interna il servizio sanitario nazionale britannico (NHS) si è affrettato a dichiarare che già da 5 anni ha preso le distanze dalle linee guida WPATH. In Italia invece ci andiamo ancora a nozze. Infotrans, portale istituzionale dedicato dell’Istituto Superiore di Sanità, fa riferimento agli “standard of care” WPATH; idem l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG); così la Società Italiana di Endocrinologia e le altre società scientifiche che hanno protestato contro l’ispezione ministeriale al servizio per minori con disforia al Careggi. EPATH, analogo europeo di WPATH, è stato fondato tra gli altri da Alessandra Fisher e tra i suoi membri c’è Jiska Ristori, le due mediche Careggi nell’occhio del ciclone; anche i pediatri italiani (SIP) fanno ampio riferimento alle linee guida WPATH in un position paper in via di pubblicazione sull’“Italian Journal of Pediatrics”. Sempre che lo pubblichino: la bomba è esplosa, non si può più far finta di niente. “I file del WPATH” è il commento di Michael Shellenberger, “dimostrano che la medicina di genere comprende esperimenti non regolamentati e pseudoscientifici su bambini, adolescenti e adulti vulnerabili. Sarà ricordato come uno dei peggiori scandali medici della storia”.

 [articolo uscito sul Foglio, 8 marzo 2024]

Donne e politica: non serve parità, ma differenza

3 Febbraio 2022 - di Marina Terragni

In primo pianoPolitica

(lettera al Direttore di Repubblica)

Caro Direttore, seguo con attenzione il dibattito aperto da Luca Ricolfi sul tema della leadership femminile in politica e delle differenze tra destra e sinistra.

Interessante, per cominciare, il fatto che per una volta non è una donna a esprimere doléances ma un uomo che a quanto pare sente questa carenza di protagoniste come una perdita per sé e per la convivenza civile.

Ogni uomo fa esperienza della forza e della competenza femminile a cominciare dalla propria madre e vi fa molto conto nel proprio privato, luogo in cui si consente dipendenza e fragilità, salvo dimenticarsene al momento del patto che dà vita alla fratria pubblica della democrazia. Democrazia nata -teniamolo presente- fra uomini, lasciando le donne a custodire quello che la vita politica tiene fuori dai propri ambiti. Questo è tanto più vero in un Paese come il nostro, che non smette di venerare la Madre pur rendendo la vita difficilissima alle madri in carne e ossa, sempre più trascurate dalla politica.

E ogni uomo sa in cuor suo che buona parte delle storture di questo mondo ha a che vedere con il fatto che la differenza femminile è stata tenuta fuori dal governo della convivenza umana.

L’inclusione delle donne nella politica e nei partiti a seguito di molte lotte femminili è un fatto storicamente molto recente. E salvo rarissimi casi continua a richiedere che le incluse rinuncino al più del proprio sguardo differente, “neutralizzandosi” e adattandosi a modi, tempi, agende e linguaggio della politica maschile.

Sulla forbice tra destra e sinistra Ricolfi ha ragione, anche se va onestamente riconosciuto che quelle eminenti donne politiche di destra (che non si dicono femministe) non avrebbero potuto nemmeno immaginare di dare corso alle proprie ambizioni se un femminismo storicamente benché dialetticamente legato alla sinistra non avesse aperto la strada anche per loro.

A maggior ragione, come si spiega che la destra consenta protagonismi femminili che a sinistra non si vedono?

La sinistra ha senz’altro assunto per prima la cosiddetta “questione femminile”, ma il rullo compressore della parità con i suoi dispositivi -quote, azioni “inclusive”, cooptazioni- ha spesso schiacciato le singolarità in un ingiusto “una vale una”, svalorizzando ogni possibile disparità e maestria, scatenando la competizione tra donne divise dagli steccati delle rispettive correnti e poco capaci di unirsi tra loro in un’azione efficace per il bene di tutte.

Conta anche che la sinistra, qui come in ogni altro posto dell’Occidente, tende oggi a scaricare le donne come soggetti ormai vecchi e obsoleti in favore di nuovi e postmoderni clientes nell’orizzonte della fluidità sessuale, procedendo a inclusioni più up to date: valga per tutti l’esempio di Jeremy Corbyn, già leader laburista inglese, che chiamò la giovanissima trans Lily Madigan a guidare la sezione femminile del partito. O il fatto che nelle istituzioni gli uffici pari opportunità sono prevalentemente dedicati ai diritti Lgbtq+.

Cambio di orizzonte che non riguarda le destre dove oltretutto, come osserva Ricolfi, le leader politiche si sono fatte le ossa nella competizione diretta con gli uomini, avanzando solo per meriti propri e non in forza di quote o azioni positive.

Vale anche il fatto che nella cultura della destra storica, non paritaria e non laicista, si conserva il principio della differenza a radice materna che può nutrire l’idea di una sacra sovranità femminile, eccezione alla regola del dominio maschile. Ed ecco il caso sorprendente di Giorgia Meloni, che può ricordare anche fisicamente la piccola regina Danaerys del Trono di Spade.

Marina Terragni

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