Sorpasso? – Il circolo vizioso dell’economia italiana
In primo pianoPoliticaSocietàQualcuno, nei giorni scorsi, si è entusiasmato per i dati appena rilasciati dalla Commissione Europea sulle varie economie del continente. Soprattutto i media che si occupano di economia non si sono fatti mancare i titoli più roboanti: “Pil pro capite, l’Italia raggiunge la Francia; “Pil pro capite, l’Italia cresce e raggiunge la Francia”; “l’Italia raggiunge la Francia per ricchezza pro capite”, “balzo del Pil pro capite italiano che raggiunge quello francese”, “il Pil pro capite dell’Italia ha raggiunto la Francia e superato Giappone e Regno Unito”.
La notizia non è del tutto falsa ma, parafrasando Mark Twain, è un tantino esagerata. Intanto va detto che quello di cui si parla non è il Pil dell’Italia (che è molto inferiore a quello della Francia), e neppure il Pil pro capite (che è un po’ inferiore), ma il Pil pro capite a parità di potere di acquisto (ossia tenendo conto del livello dei prezzi, che sono un po’ più bassi in Italia), che è la migliore misura del benessere economico raggiunto da un paese.
Questo indicatore effettivamente si avvicina a quello francese, ma – secondo le principali fonti statistiche – nel 2024 resta tuttora un po’ al di sotto. L’eventuale aggancio o sorpasso è semplicemente una previsione, o una speranza, che riguarda l’anno in corso, che non è ancora neppure arrivato a metà.
Poco male, si dirà. L’importante è la tendenza, se non succederà quest’anno sarà l’anno prossimo che finalmente scavalcheremo i cugini d’oltralpe. In effetti, può darsi benissimo che accada. E tuttavia il punto è che questa contabilità non sembra tenere nel debito conto il meccanismo complessivo che alimenta la nostra rincorsa.
Ed ecco il meccanismo. Da 10 anni, ovvero dal 2014, l’Italia perde popolazione, perché l’immigrazione non basta a bilanciare il calo demografico. La Francia, invece, continua ad aumentare la sua popolazione (anche grazie ai sussidi economici alle nascite). Questo significa che, mentre il Pil francese si spalma su una popolazione sempre più grande, con conseguente rallentamento del Pil pro capite, il Pil italiano si spalma su una popolazione sempre più piccola, con conseguente accelerazione del Pil pro capite. In 10 anni, dal 2014 ad oggi, l’Italia ha perso quasi 1 milione e mezzo di abitanti, la Francia ne ha guadagnati 2 milioni e mezzo. In breve: in Italia la demografia sostiene la crescita del Pil pro capite, in Francia la rallenta.
Ma a noi che ce ne importa? si potrebbe obiettare. Dopo tutto quello che conta non è il volume del Pil, ma il Pil per abitante. La prosperità di un paese si misura sul tenore di vita del cittadino medio, non sulla grandezza del prodotto interno lordo. Paesi come l’Islanda, il Lussemburgo, la Svizzera se la passano benissimo anche con un Pil (complessivo) relativamente piccolo.
Questo è vero, ma non fa i conti con un dettaglio cruciale: il rapporto debito pubblico/Pil, che è basso in Islanda, Lussemburgo e Svizzera, ma è altissimo in Italia. Un paese che punti, come sembra fare l’Italia, non sulla crescita del volume del Pil ma solo sul Pil pro capite, può permettersi una strategia del genere se ha un debito pubblico modesto, ma non se quest’ultimo è alto. Perché, ai fini della tenuta di conti pubblici, quel che conta non è il benessere del cittadino medio, ma la massa economica complessiva del paese, che è l’unico serbatoio da cui attingere per pagare gli interessi sul debito pubblico.
Detto in altre parole: un paese indebitato che perde popolazione si troverà via via più in difficoltà a ripagare il suo debito pubblico perché i debiti contratti quando aveva tanti abitanti dovranno essere saldati da una popolazione di discendenti sempre meno numerosa.
E non è tutto. Il circolo vizioso dell’economia italiana non è puramente demografico ma anche, per così dire, produttivo. I modesti incrementi del Pil degli ultimi anni sono ottenuti mediante una formula alquanto problematica: una produttività calante compensata da cospicui incrementi occupazionali o, se preferite, cospicui incrementi occupazionali vanificati da una produttività calante. In breve: il calo demografico e l’aumento dell’occupazione assicurano una certa tenuta del benessere, di cui il Pil pro capite a parità di potere di acquisto è l’indicatore sintetico; ma la crescita del Pil è frenata dal ristagno della produttività, che rende sempre più difficile pagare il debito pubblico accumulato in decenni di finanza allegra.
[articolo uscito sulla Ragione il 27 maggio 2025]