Perché Salvini e Schlein sono un problema – Smottamento al centro?

6 Novembre 2025 - di Luca Ricolfi

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La teoria secondo cui le elezioni si vincono al centro, convincendo l’elettore moderato, da un bel po’ di anni (almeno una decina) non gode di grande credito fra scienziati politici e sondaggisti. E questo a dispetto dell’autorevolezza di coloro che per primi ebbero a proporla, l’economista Duncan Black (nel 1948) e il politologo Anthony Downs, il padre della cosiddetta “teoria economica della democrazia” (titolo del suo libro, uscito nel 1957). Da un bel po’ di anni si sente ripetere che, in realtà, il fattore decisivo per vincere è galvanizzare il proprio elettorato, e che questo richiede uno spostamento verso le posizioni estreme: i successi elettorali delle forze estremiste, populiste o anti-sistema ne sarebbero la prova.

Ultimamente, almeno in Italia, sembra che il vento stia cambiando di nuovo. A farlo cambiare, però, non paiono essere gli insuccessi della sinistra estrema negli Stati Uniti (Bernie Sanders, Alexandra Ocasio Cortez) e nel Regno Unito (Geremy Corbyn), ma la banale constatazione che la linea estremista di Elly Schlein ha portato pochi voti, non mobilita affatto (vedi il flop del referendum della Cgil), e soprattutto rende impossibile la formazione di una coalizione larga, come quelle che per due volte portarono Prodi a Palazzo Chigi e permisero di sconfiggere Silvio Berlusconi.

Il contributo decisivo alla crisi dell’estremismo di sinistra sta venendo, in questi giorni, dalle reazioni alla riforma costituzionale sulla separazione delle carriere. La linea ufficiale del Pd è nettamente contraria (“la democrazia è in pericolo”, “Meloni vuole i pieni poteri”), ma deve fare i conti con il dissenso di parecchi esponenti tutt’altro che marginali del partito, o più in generale del campo progressista. Giusto per fare qualche nome, si sono espressi a favore della riforma, in ordine alfabetico: Goffredo Bettini, Emma Bonino, Carlo Calenda, Stefano Ceccanti, Paola Concia, Vincenzo De Luca, Antonio Di Pietro, Roberto Giachetti, Claudio Martelli, Enrico Morando, Claudio Petruccioli, Cesare Salvi. In breve: una parte della sinistra voterà sì al referendum, sfidando (e neutralizzando) il racconto estremista-apocalittico di Elly Schlein. Mi pare difficile, specie se dovesse vincere il sì, che il Pd possa andare alle elezioni amputando completamente le correnti riformiste-liberali-garantiste del fronte progressista.

Si potrebbe pensare che quello di non soccombere (elettoralmente) sotto il peso dell’estremismo sia soprattutto un problema della sinistra. Ma qualche indizio fa pensare che, sia pure in forme assai diverse, un problema simile sia destinato ad affliggere anche la destra. Dove il problema non è più il partito di Giorgia Meloni, il link ideologico con il Movimento Sociale Italiano, l’anti-europeismo, tutti test ampiamente superati, bensì il partito di Matteo Salvini. Un alleato sempre più anti-europeo, insofferente, aggressivo, sopra le righe. E ultimamente reso ancora meno governabile dall’innesto del generale Vannacci e delle sue truppe. Solo i commentatori più visceralmente ostili a Giorgia Meloni non si rendono conto che è la presenza della Lega, non di Fratelli d’Italia, che permette di dire che in Italia l’estrema destra è al governo.

Se la sinistra ha il problema di non cancellare la sua faccia riformista, la destra ha il problema speculare di attenuare almeno un po’ la sua faccia estremista. Un compito forse ancora più difficile, visto che Salvini – nonostante la sua incapacità di risollevare la Lega dalla stagnazione (o dal declino?) elettorale – appare inamovibile.

Ma lo è davvero?

Se lo è, non è per mancanza di valide alternative, ma perché né le vecchie glorie (Zaia, Fedriga, Giorgetti) né le nuove leve specie femminili (Ceccardi, Tovaglieri, Sardone) se la sentono di sfidare il capo.

Vedremo come andrà a finire. Se è vero, come sostengono alcuni politologi, che l’elettore sceglie la coalizione più rassicurante (o meno inquietante), le prossime elezioni potrebbe vincerle chi sarà più capace di frenare la deriva estremista che affligge entrambi gli schieramenti.

[articolo uscito sulla Ragione il 4 novembre 2025]