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La lotta ai cambiamenti climatici tra responsabilità individuale e influenze economiche

22 Febbraio 2021 - di Emanuele Bottazzi

In primo pianoSocietà

I cambiamenti climatici sono un fatto ormai assodato, così come la causa principale: le attività umane [1, 2]. Di conseguenza, per trovare delle soluzioni efficaci alla crisi climatica è necessario determinare quali settori contribuiscano in misura maggiore al suo peggioramento [3].

Il dito è stato puntato contro molti soggetti: le multinazionali del petrolio, le industrie [4], le persone più ricche [5], ma soprattutto tutti noi con le nostre scelte di vita [6]. Per esempio, secondo la simulazione proposta dalla Global Footprint Network [7] già vivere in una piccola casa a schiera porta a un impatto ambientale eccessivo. Se poi si includono i rifiuti, i trasporti e altre scelte legate allo stile di vita, come l’alimentazione, i risultati sono sconfortanti: se tutti vivessero come un italiano sarebbero necessari più di quattro pianeti Terra, per il tenore di vita statunitense non ne basterebbero otto [8].

Secondo Emily Atkin, giornalista della rivista online New Republic e curatrice della newsletter Heated sui cambiamenti climatici [9], non saremmo solo responsabili dei nostri stili di vita scorretti, ma anche di alimentare la richiesta di servizi forniti dalle industrie inquinanti [6]. Secondo la sua prospettiva, la colpa dei cambiamenti climatici sembrerebbe ricadere tutta sulle spalle di noi consumatori; di conseguenza saremmo noi gli unici responsabili dei cambiamenti necessari a combattere la crisi climatica.

Perché consumiamo. Come mai il nostro ruolo nella società è quello di consumatori? Quando abbiamo effettuato questa scelta?

Il consumismo è un fenomeno abbastanza recente: prima del XX secolo, nei contesti in cui i beni primari non erano necessariamente disponibili con continuità lo stile di vita più adottato era frugale e parsimonioso. Secondo la professoressa Kerryn Higgs dell’Università della Tasmania, nella maggior parte dei paesi Occidentali quella condizione di incertezza venne superata poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale [10, 11]. Come conseguenza del miglioramento dello stile di vita fu necessaria una scelta sociale da parte degli economisti e degli industriali: mirare a un’economia stazionaria in grado di fornire a tutti il necessario e, con il miglioramento delle tecniche produttive, di ridurre gli orari lavorativi, oppure scegliere un modello alternativo basato sulla continua crescita economica.

Secondo lo storico Benjamin Hunnicutt, la crisi economica del 1921-1922 negli Stati Uniti portò molti economisti e industriali a temere l’instaurarsi di una situazione permanente di sovraproduzione. Nel 1927 il presidente della United Fruit Company, l’odierna Chiquita, scrisse che il maggior problema economico del suo tempo era la mancanza di potere di consumo rispetto alle possibilità produttive. La risposta a quel problema venne suggerita l’anno successivo dall’economista Edward L. Bernays, che nel suo libro “Propaganda” [12] scrisse:

la produzione di massa è economicamente vantaggiosa solo … se può continuare a vendere i suoi prodotti nella stessa quantità o in quantità crescenti. … Oggi l’offerta deve cercare attivamente di creare una domanda corrispondente … [e] non può permettersi di attendere che il pubblico chieda i suoi prodotti; deve mantenere un’influenza costante, attraverso la pubblicità e la propaganda … per assicurarsi la presenza di una domanda continua, l’unica che può rendere redditizie le sue costose industrie.

Il suggerimento di Bernays venne presto adottato dalle industrie che, con le parole dell’economista Edward Cowdrick, misero in atto strategie che ormai conosciamo bene per educare i lavoratori nella nuova “abilità del consumo”. L’articolo “A Brief History of Consumer Culture” di Kerryn Higgs riporta altre citazioni analoghe, tra cui l’obiettivo di creare a tavolino “nuovi desideri che, non appena soddisfatti, preparino costantemente la strada a desideri ancora più nuovi” [10].

Di conseguenza, la scelta di essere consumisti è stata fatta per noi da economisti e industriali circa un secolo fa. E non è nemmeno difficile riconoscere alcune delle tecniche di indottrinamento al “nuovo vangelo economico del consumo”. Una tra tutte, e nemmeno la più eclatante, è la difficoltà artificiale nel riparare gli oggetti di uso comune. Già da tempo sappiamo che aggiustare alcuni dispositivi, invece di sostituirli, ha un impatto ambientale minore [13, 14]. Però le case produttrici dei dispositivi, non solo smartphone ma anche lavatrici, forni e altri elettrodomestici, non sempre agevolano la riparazione dei loro prodotti, nel tentativo di incentivare gli utenti a sostituirli. La battaglia di alcune associazioni di consumatori a favore del cosiddetto “diritto di riparare” ha portato il Parlamento Europeo ad assumere una posizione ufficiale a sostegno di questa iniziativa [15, 16].

Una nuova economia per combattere i cambiamenti climatici. Per combattere i cambiamenti climatici dobbiamo quindi rinunciare alla nostra identità di consumatori, che però è stata decisa a tavolino dagli industriali del XX secolo e ci è stata inculcata mediante un indottrinamento che ha plasmato la nostra società per almeno cent’anni. L’impegno personale nella lotta ai cambiamenti climatici è fondamentale, ma attribuire a noi persone comuni la totale responsabilità di questo stile di vita e allo stesso tempo chiederci di ribellarci al condizionamento delle industrie ci attribuisce un potere esagerato, scagionando al contempo alcuni soggetti il cui contributo contro i cambiamenti climatici è decisivo [4].

Inoltre la pandemia del COVID-19 ci ha rivelato in modo chiaro come la nostra società, basata su un modello di crescita economica incondizionata (anche se ormai avviata verso la stagnazione), sia dipendente dal nostro ruolo di consumatori. Infatti, durante i mesi in cui non è stato possibile consumare con libertà abbiamo visto conseguenze economiche e sociali devastanti. Ormai il nostro ruolo di consumatori non è necessario solo per la crescita di industrie e servizi, ma per il benessere stesso dei nostri concittadini e della nostra nazione.

Di conseguenza, non è realistico suggerire semplicemente che la risposta ai problemi ambientali consista nel rifiuto dell’economia consumistica che ci è stata imposta. Essa infatti è un sintomo di un problema diverso, quello del modello di crescita incondizionata introdotto in Occidente e oggi tipico delle economie emergenti. Se vogliamo davvero affrontare i cambiamenti climatici dobbiamo abbandonare questo modello a favore di altri più sostenibili, come quelli stazionari [17] o circolari [18]. Però un simile ripensamento sistemico dell’economia e del suo ruolo sociale non è di unica responsabilità di noi consumatori, ma coinvolge anche i titolari di interessi economici e politici. Quindi ben vengano le azioni individuali, però contestualizzate in un cambiamento più ampio, se non in una vera e propria rivoluzione, dei concetti all’apparenza fondamentali, ma in realtà artificiali e superabili, di crescita economica e benessere.

Riferimenti bibliografici

[1] Facts about the Climate Emergency, UN environment programme.

[2] Climate Change Is Complex. We’ve  Got Answers to Your Questions, Justin Gillis.

[3] Who is really to blame for climate change?, Jocelyn Timperley, 19-06-2020.

[4] Climate change: focusing on how individuals can help is very convenient for corporations, Morten Fibieger Byskov, Università di Warwick, 10-01-2019.

[5] Wiedmann, T., Lenzen, M., Keyßer, L.T. et al. Scientists’ warning on affluence. Nat Commun 11, 3107 (2020).

[6] Climate Change Is the Symptom. Consumer Culture Is the Disease. Emily Atkin, 12-06-2019.

[7] https://www.footprintcalculator.org/

[8] https://data.footprintnetwork.org/#/?

[9] https://heated.world/

[10] A Brief History of Consumer Culture, Kerryn Higgs, 11-01-2021.

[11] Collision Course, Kerryn Higgs, 2014.

[12] Propaganda, Edward L. Bernays, 1928, disponibile in inglese alla pagina.

[13] Computers and the environment, BBC Bitesize.

[14] https://repair.eu/

[15] Parliament wants to grant EU consumers a right to repair, comunicato stampa del Parlamento Europeo, 25-11-2020.

[16] Towards a more sustainable single market for business and consumers, minute della sessione plenaria del Parlamento Europeo del 25-11-2020.

[17] Achieving a steady state: an interview with ecological economics pioneer Herman Daly, 09-09-2013.

[18] Economia circolare: definizione, importanza e vantaggi, 07-01-2021.

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Emanuele Bottazzi
Emanuele Bottazzi
Pavia, 21 dicembre 1987. Dottorato in Matematica presso l’Università di Trento. Si occupa di editoria scolastica ed è docente a contratto presso l’Università di Pavia.
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