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Il diario della talpa. Secondo episodio

25 Aprile 2020 - di Paola Mastrocola

Società

2. AL BUIO E ZITTI

Il mio mondo si è improvvisamente popolato. Ora moltissimi vivono come me, sottoterra. Una moltitudine infinita. Tutti a scavare con le unghie la propria tana. Tutti talpe! C’è stata come un’invasione. Per carità, non vedo nessuno perché ognuno è preso dentro la sua galleria, ci mancherebbe. Però lo sento che c’è un gran trambusto intorno.

Così, il mondo mi si è ristretto perché devo star rinchiusa, ma mi si è anche enormemente allargato: siamo, ora, un intero pianeta di talpe!

E succede una cosa strana: che siamo soli, ma non siamo soli. Siamo, come posso dire…? tutti solitariamente insieme, in una talpitudine gigante.

Abbiamo persino raggiunto una specie di uguaglianza. Certo permangono alcune piccole differenze: chi ha il terrazzo e chi non ce l’ha, per esempio; ma più o meno adesso possiamo dire che viviamo tutti nello stesso modo. Lo stare rinchiusi ci unisce, ci uniforma.

Chi l’avrebbe detto che bastava una prigione?

Viviamo quindi tutti (quasi tutti…) sottoterra, al buio completo di quel che succede fuori. Non usciamo. Non camminiamo. Facciamo piccoli movimenti intorno (intorno a cosa non importa). Saliamo ogni tanto le scale e le scendiamo, su e giù (chi le ha, delle scale…), per tenerci in forma. Siamo anchilosati, doloranti, rigidi come pali, asfittici. Non vediamo altri animali, strade, case, auto, i dehors dei bar. Non vediamo proprio. Non usiamo più gli occhi, se non per percorrere mille volte i cunicoli di casa, guardare i mobili e gli oggetti di sempre, che ci affanniamo a spostare e rispostare, spolverare, mettere in ordine, aggiustare se hanno crepe, imperfezioni, malfunzionamenti. A volte ci prende una smania e buttiamo via qualcosa, carte, piatti vecchi, ricordini che non ci ricordano più niente. Già, ricordare… Ci appelliamo alla memoria, rivediamo nella mente le persone con cui siamo stati, i viaggi che abbiamo fatto, le estati che abbiamo passato al mare, in montagna, i musei, i monumenti, i figli piccoli che abbiamo avuto e che adesso sono grandi e non vivono più con noi (fanno le talpe in altre città, in altri continenti). Torniamo bambini e ripassiamo anche la nostra, di infanzia. A volte ci ritroviamo soli su una poltroncina, a parlare con i nostri genitori, che oggi avrebbero cent’anni.

Ci fa bene tutto questo ricordare, ma anche un po’ male. Ci fa volgere al passato come se non avessimo un futuro. Facciamo confusione. Sogniamo che il passato ritorni e lo chiamiamo futuro. Ma non ci caschiamo fino in fondo, nemmeno nei nostri sogni.

La cosa più dolorosa è il buio. Questo essere tenuti al buio. Ciechi come talpe. Inondati da previsioni, resoconti, dati, computi, grafici, statistiche, relazioni degli esperti, ma ciò nonostante al buio: è così che ci sentiamo. Non riusciamo a districarci. Nessuna chiarezza. Nessuna visione. Nessuna fiducia.

I numeri che ci vengono mostrati ci sembrano parziali, e approssimati. Esistono altri numeri, che nessuno ci dice: i numeri occulti. Fantasmatici, inquietanti. Cifre impressionanti, che non riusciamo nemmeno a immaginare.

In tutto ciò scaviamo, pazienti, le nostre gallerie. Almeno qua sotto si sta al sicuro, sembra. Così ci dicono…

Ma che ne sappiamo?

Siamo anche, oltre che senza occhi per vedere e senza zampe per camminare, senza voce. Siamo diventati muti come talpe. Non possiamo più protestare, criticare, anche solo debolmente esprimere qualche dubbio, o riserva. Se lo facciamo, qualcuno subito ci impone di star zitti e ci rimprovera: Ma come puoi criticare in questa situazione così drammatica? Zitto e obbedisci! Semmai poi, quando tutto sarà passato, potrai dire cosa non va. Sì, ma sarà tardi, avremo fatto troppi errori. È adesso che bisogna criticare, per cambiare direzione, nel caso ne avessimo preso una sbagliata. Se diciamo che qualcosa ci pare malfatto, è perché speriamo che cambi e diventi benfatto.

E se ci tenessero chiusi in casa perché non sanno ancora curarci? Perché abbiamo posti limitati in ospedale, pochi medici e infermieri, poche mascherine, una quantità di tamponi e test ridicola rispetto al fabbisogno, medicine che non sappiamo ancora se funzionano, nessun modo di essere seguiti a casa se ci ammaliamo?

E se ci tenessero chiusi in casa perché non sanno cosa stia veramente succedendo? Se non avessero un’idea chiara della situazione? Se fossero all’oscuro come talpe anche i nostri governanti?

Siamo, ora, molto sospettosi. E scettici. Non ci facciamo abbindolare da una retorica dolciastra e fumosa. La sensazione che abbiamo è di vedere solo una minima parte del macigno, il resto rimane nascosto da un pesante tendone. Ogni tanto si solleva un lembo, un piccolo triangolino di stoffa, e di lì sbirciamo una quantità infinitesimale di realtà. Ma nessuno solleverà mai del tutto quel tendone. Ci vorrebbe un colpo di vento…

Senza conoscere la realtà e senza avere ancora gli strumenti, ovvio che l’unica strategia possibile è stata di non farci uscire più di casa. Abbiamo limitato i rischi, certo. E siamo anche diventati responsabili di quel che ci succede: se usciamo e ci ammaliamo o facciamo ammalare altri, è colpa nostra. Quindi, tutti reclusi e fermi, immobili, ciechi. E zitti.

Talpe.

Scaviamo, cos’altro possiamo fare?

Ma quando scaviamo con le nostre enormi zampe da talpa scarnificandoci gli unghioni, abbiamo una speranza, ardita e segreta: che un giorno, magari per un errore di scavo, le gallerie s’incontrino, che ci ritroviamo tra noi talpe sperdute e impaurite. E che una di queste gallerie sbuchi all’aperto, prima o poi.

Leggi il primo episodio LA VITA INTERIORE

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Paola Mastrocola
Paola Mastrocola
Torino, 30 settembre 1956 Laurea in Lettere. Scrittrice.
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Il diario della talpa. Secondo episodio