Il fantasma del consenso
In primo pianoPoliticaSocietàGerard Depardieu, Leonardo Apache La Russa, Ciro Grillo. Anche se per reati di diversa gravità (aggressione sessuale, stupro, stupro di gruppo), tutti e tre sono incappati in un processo a seguito delle denunce delle vittime. Il caso di Depardieu si è risolto con una condanna a 18 mesi di carcere (con sospensione della pena), quello del figlio di La Russa ha dato luogo a una richiesta di archiviazione della Procura di Milano (impugnata dalla difesa della vittima), quello di Ciro Grillo, a 6 anni dai fatti, è ancora fermo alle prime battute (l’accusa ha richiesto 9 anni di carcere).
C’è una differenza importante, tuttavia. Nel caso del settantacinquenne Depardieu alcol e sostanze non c’entrano. L’accusa è di molestie, non di stupro, e meno che mai di stupro di donna incapace di esprimere il consenso. Nel caso dei “figli di papà” Grillo e La Russa, invece, la sostanza dell’accusa è precisamente quella: aver approfittato di ragazze in palese stato di alterazione, e perciò – per definizione – non in grado di esprimere un consenso. Di qui una importante domanda: se una ragazza denuncia uno stupro dopo aver avuto rapporti sessuali in stato di alterazione psico-fisica (non importa se a causa di alcol, stupefacenti, o entrambi) il maschio o i maschi accusati sono automaticamente colpevoli?
La dottrina femminista secondo cui senza consenso esplicito l’atto sessuale è stupro risponde: certo che sì.
La macchina della legge, invece, sembra muoversi lungo un sentiero più accidentato. Nel caso di La Russa junior la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione in base alla seguente considerazione: “non vi è in atti la prova che gli indagati, pur consapevoli dell’assunzione di alcuni drink alcolici da parte della ragazza, abbiano percepito, in modalità esplicita o implicita, la mancanza di una valida volontà” della giovane “nel compiere gli atti sessuali”. A sostegno della sua richiesta di archiviazione la Procura sostiene, sulla base di alcuni video, che i comportamenti della ragazza “non denotano in alcun modo quella posizione di asimmetria psicologica o fisica che deve sussistere perché sia configurabile una delle ipotesi di violenza sessuale”. Tesi contestata dalla difesa della denunciante, secondo cui i medesimi video “dimostrano pacificamente che la parte offesa era in uno stato di palese alterazione laddove la stessa, nella seconda parte del video prodotto e oggetto di valutazione, risponde con titubanza e in modo assolutamente slegato e incomprensibile rispetto alla domanda che le viene posta da Leonardo La Russa”.
L’aspetto interessante è che, pur dissentendo sulla interpretazione dei video, accusa e difesa sembrano concordare su un punto: lo stato di alterazione non basta a escludere il consenso, occorre anche che sia rintracciabile una “posizione di asimmetria psicologica o fisica” a scapito della vittima.
Nel caso di Grillo Junior (e dei 3 ragazzi coimputati con lui), a quello che riferiscono le cronache, difesa e accusa paiono muoversi in modo difforme: i video che riprendono i rapporti sessuali sono invocati dalla difesa di uno degli imputati per contestare la presunta “incapacità di reagire” della vittima, mentre l’accusa (la procura di Tempio Pausania) sembra puntare sul mero fatto che, avendo bevuto a più riprese ed essendo stanca per la nottata, la ragazza non poteva essere in grado di esprimere un valido consenso. La procura, in altre parole, sembra rendersi conto che i video non testimoniano a favore della ragazza, e che dunque – per accusarla – occorre fare propria quella che abbiamo chiamato la dottrina femminista per cui “il sesso senza consenso è stupro”.
In concreto, questo significa che i 6 ragazzi accusati (2 nel caso La Russa, 4 nel caso Grillo) potrebbero essere sia tutti condannati (se prevale la dottrina femminista) sia tutti assolti (se prevale la dottrina della Procura di Milano). Nel primo caso, la lezione sarebbe: caro maschio, non provare ad avere rapporti sessuali con una femmina in stato alterato, perché se lei ti denuncia il carcere è assicurato. Nel secondo caso, la lezione sarebbe: cara femmina, non permettere che i tuoi rapporti sessuali con uno o più maschi vengano filmati, perché il sexting potrebbe diventare una prova contro di te.
In entrambi i casi, l’unica soluzione – almeno in teoria – sarebbe quella a suo tempo (ai tempi del MeToo) paventata da Catherine Deneuve: “di questo passo avremo un’app sullo smartphone che due adulti che vorranno andare a letto insieme useranno per spuntare esattamente quali atti sessuali accettano di fare e quali no”: peccato che i giuristi spieghino che, anche questa, non potrebbe funzionare.
Insomma, soluzioni vere non esistono, in qualsiasi modo si muova la magistratura. O meglio, le uniche soluzioni solo quelle tradizionali, retrograde, romantiche: ripristinare il corteggiamento, scegliere accuratamente il partner, evitare il sexting come la peste. Se non ci piacciono, siamo tutti – maschi e femmine – costretti ad accettare il rischio di finire nei guai.
[articolo uscito sulla Ragione l’8 luglio 2025]