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Reality Check

E se sulla no fly zone avesse ragione Zelensky?

15 Marzo 2022 - di Paolo Musso

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Se c’è un aspetto della folle guerra in Ucraina (la più insensata che abbia mai visto da quando sono al mondo) su cui tutti, ma proprio tutti, sono d’accordo, è che di qualsiasi cosa possiamo discutere, tranne che di un attacco diretto della NATO contro i russi. Per questo nessuno ha mai preso seriamente in esame la richiesta del presidente ucraino Zelensky di istituire una no fly zone sull’Ucraina, perché, si dice, questo significherebbe dover abbattere gli aerei russi che la violassero e quindi la guerra.

Secondo me invece la cosa non è affatto così ovvia e scontata come sembra e merita almeno di essere seriamente discussa.

Cominciamo col notare il modo gravemente impreciso e fuorviante in cui il principio è stato enunciato dal presidente americano Joe Biden e poi ripetuto a pappagallo da tutti gli altri leader europei: “Non si può attaccare la Russia perché vorrebbe dire iniziare la Terza Guerra Mondiale”.

Ora, per parlare di guerra mondiale bisognerebbe che altri paesi si schierassero al fianco della Russia. Ma non si capisce chi e perché dovrebbe mai farlo, a cominciare dalla Cina, che semmai avrebbe interesse a lasciarci scannare tra di noi (ma neanche tanto, altrimenti poi a chi venderebbe le sue merci?). Inoltre e soprattutto, quello che nessuno dice (compresi i generali da talk show, molti dei quali stanno facendo la stessa pessima figura che hanno fatto i virologi da talk show) è che questa sarebbe una scelta suicida, perché in una guerra convenzionale con la NATO la Russia non ha nessuna possibilità di vincere.

So che gli esperti usano indicatori molto complessi e sofisticati, dai quali risulta che l’esercito russo è molto temibile, quasi allo stesso livello di quello americano, ma ciò è clamorosamente contraddetto da quanto stiamo vedendo sul campo. E temo che il motivo sia assai simile a quello che ha portato molti esperti a fare valutazioni clamorosamente sballate sul Covid: fissarsi troppo sui dettagli perdendo di vista il quadro complessivo, per comprendere il quale risulta spesso molto più efficace basarsi non su tutti i fattori in gioco (cosa oltretutto impossibile), bensì su quei pochi che sono realmente significativi. E per quanto riguarda la guerra moderna tali fattori sono essenzialmente due: i soldi e l’aviazione.

Ora, quanto al primo, noi siamo così abituati a discettare sul declino dell’Occidente e, in particolare, degli USA, solo perché hanno avuto per quattro anni un Presidente un po’ stravagante (ma comunque, almeno in politica estera, molto più accorto di Obama e, per quanto si è visto finora, anche di Biden), che non ci rendiamo più conto di quanto immensa sia ancora la superiorità economica e quindi militare degli Stati Uniti. Nel mondo moderno, infatti, non è possibile essere un nano economico e un gigante militare, perché il vero potere bellico non viene dal numero, ma dalla tecnologia. Ora, la tecnologia avanzata costa un occhio della testa, richiede una continua manutenzione e diventa rapidamente obsoleta: di conseguenza, per mantenere un’elevata capacità militare non basta avere speso molto in passato, ma bisogna continuare a spendere molto.

Per questo, un modo molto rapido e abbastanza preciso per valutare la forza reale di un esercito è guardare il suo bilancio. Ebbene, la Russia, che ha un PIL inferiore a quello dell’Italia, spende attualmente per il suo esercito 44 miliardi di dollari all’anno, contro gli 11,6 della Spagna, i 29,2 dell’Italia, i 40,5 della Francia, i 47,5 della Gran Bretagna e i 49,1 della Germania, mentre gli Stati Uniti spendono ben 716 miliardi all’anno, cioè oltre 16 volte più dei russi, e la Nato nel suo insieme, anche senza considerare la Turchia (la cui lealtà al momento è tutt’altro che sicura), oltre 20 volte di più. Basterebbe questo per capire che non c’è partita.

Con questi numeri, infatti, è impossibile avere un esercito che unisca quantità e qualità: e siccome i russi hanno sempre scelto di privilegiare il primo aspetto (seguendo la loro tradizione militare, che è sempre stata piuttosto primitiva, incentrata sul carro armato e sulla forza bruta delle grandi masse), è evidente già a priori che le unità fornite di mezzi davvero moderni e di un adeguato addestramento sono per forza di cose relativamente poche. E la conferma la stiamo avendo proprio in Ucraina, dove a combattere sono quasi esclusivamente ragazzi di leva, impreparati, spaventati, demotivati e con mezzi che non sono esattamente il massimo dal punto di vista tecnologico.

Quanto al secondo criterio, esso è importante perché la dottrina militare americana da almeno trent’anni in qua si basa sul dominio dei cieli, che, come abbiamo visto nella Guerra del Golfo, viene perseguito con continui attacchi aerei e lancio di missili teleguidati ad altissima precisione, senza che un solo soldato metta piede sul terreno fino alla totale eliminazione dell’aviazione e della contraerea nemica. Raggiunto l’obiettivo, viene lanciato l’attacco, di terra, basato essenzialmente su divisioni corazzate ipertecnologiche che avanzano a grande velocità con l’appoggio dell’aviazione, che a quel punto può volare vicinissima al terreno, bersagliando il nemico con precisione devastante. La fanteria viene usata quasi esclusivamente per consolidare il possesso del territorio e ripulirlo dalle ultime unità nemiche sbandate. Si capisce quindi che il numero delle truppe in questo tipo di guerra non è molto importante, mentre ad essere decisivi sono la loro professionalità e il loro addestramento.

E i risultati li abbiamo visti. L’esercito di Saddam Hussein forse non era proprio il quarto esercito del mondo, come diceva la propaganda americana, ma era comunque un esercito molto forte, che anche secondo le stime più caute contava su non meno di 360.000 uomini e utilizzava armamenti in gran parte di fabbricazione sovietica, non modernissimi, ma comunque ancora perfettamente funzionanti. Ciononostante, venne completamente annientato in soli 4 giorni di campagna di terra (dalle 4 di notte del 24 febbraio alle 8 di mattina del 28 febbraio 1991), preceduta da 5 settimane di devastante campagna aerea. In tutta la guerra gli iracheni riuscirono a uccidere appena 113 soldati americani (meno di quanti ne morirono per incidenti e fuoco amico), mentre le loro perdite non sono mai state esattamente quantificate, ma anche le stime più prudenti le fissano a non meno di 22.000 morti, il che vuol dire un divario di almeno 200 a 1: una superiorità che non si era mai vista in tutta la storia dell’umanità.

Ora, l’esercito russo è grande circa il triplo di quello di Saddam e certamente più moderno (ma lo è anche quello americano, rispetto ad allora), tuttavia la superiorità degli americani e dei loro alleati europei nel campo dell’aviazione è schiacciante e senza rimedio: quasi 4-1 per i soli USA, più di 5-1 per la NATO nel suo insieme, a cui si aggiunge la tecnologia globalmente molto superiore. L’unico settore in cui i russi vantano una vera superiorità, almeno quantitativa, è quello dei carri armati (quasi 22.000 contro i 6.200 degli americani e i circa 9.000 della NATO nel suo insieme), ma questo significa ben poco, visto che gli ucraini gliene hanno già fatti fuori moltissimi, mentre gli Abrams statunitensi sono quasi indistruttibili. Inoltre, una volta che la NATO avesse raggiunto il dominio dei cieli (cosa che, come abbiamo visto, i russi non avrebbero modo di impedire), la sorte delle forze di terra nemiche sarebbe comunque segnata, per quanto numerose possano essere.

Questo significa che in una guerra con la NATO di tipo convenzionale (cioè escludendo le armi nucleari, di cui dirò fra poco) l’esercito russo riuscirebbe certo a infliggerci perdite molto più pesanti di quelle causate a suo tempo da quello di Saddam, ma alla fine andrebbe incontro alla stessa sorte: verrebbe completamente annientato (il che significa, per esser chiari fino in fondo, che non riuscirebbe a riportare a casa nemmeno un solo carro armato ancora in grado di muoversi sui suoi cingoli). Non si capisce quindi perché mai qualche altro paese dovrebbe andare in suo soccorso, dato che nessuno, nemmeno la Cina (che ha più uomini della Russia, ma meno carri armati e soprattutto meno aerei), sarebbe in grado di sovvertire i rapporti di forza, cosicché l’unico risultato che otterrebbe sarebbe di andare incontro alla stessa sorte.

Il vero rischio non è perciò la guerra mondiale, che non ci sarà in ogni caso, ma piuttosto la guerra nucleare, che invece è un rischio reale, dato che Putin è sicuramente abbastanza pazzo da usare le armi atomiche (perché Putin è pazzo, con buona pace di chi ancora ne dubita), soprattutto se si vedesse avviato verso una sconfitta disastrosa, il che, come ho appena spiegato, è esattamente ciò che accadrebbe. Tuttavia, anche qui stiamo commettendo lo stesso errore fatto più volte con il virus: quello di parlare sempre in termini assoluti, senza mai quantificare e soprattutto senza mai porre la questione in termini di rapporto costi-benefici. Infatti, la domanda che dovremmo porci non è se intervenire militarmente in Ucraina comporterebbe il rischio di un conflitto nucleare (è ovvio che la risposta è sì), ma piuttosto se intervenire renderebbe tale rischio maggiore o minore rispetto al non farlo. E qui la risposta non è più così ovvia.

Il rischio, infatti, sarebbe certamente minore soltanto in un caso: che cioè Putin si fermi all’Ucraina (e, al limite, alla Moldavia, che in caso di vittoria russa vedo messa molto male). Finora i leader occidentali, a cominciare da Biden, hanno “scommesso” sul fatto che lo farà. Ma si tratta di una scommessa molto azzardata, che potrebbe anche rivelarsi perdente. Per questo la domanda di cui sopra dovrebbe essere presa molto sul serio e non accuratamente evitata, o, più esattamente, “rimossa”, come invece è finora accaduto, perché guardarla in faccia per quel che è ci fa paura. Proverò quindi a farlo io, con l’avvertenza che le conclusioni non saranno tranquillizzanti: se ci tenete a dormire bene stasera, quindi, è meglio che smettiate di leggere.

Ciò premesso, la prima cosa che i lettori che mi sono rimasti devono tener presente è che se la Russia attaccasse i paesi baltici o un qualsiasi altro paese ex sovietico membro della NATO, noi ci troveremmo obbligati dall’articolo 5 del Trattato istitutivo della stessa NATO a intervenire militarmente in sua difesa. È per questo che finora Putin, al di là dei proclami, non ha mai alzato un dito contro questi paesi, benché secondo la sua logica sarebbe proprio da loro che dovrebbe venire la maggior minaccia per la Russia, dato che essi fanno già parte della NATO, mentre sull’adesione dell’Ucraina fin qui c’erano state solo vaghe ipotesi (e comunque è una balla cosmica che ciò “porterebbe la NATO troppo vicina alla Russia”, come sostengono quelli che vorrebbero “capire le ragioni di Putin”, dato che la distanza di Mosca dal punto più vicino del territorio dell’Ucraina e di circa 500 km, che un missile nucleare coprirebbe in 83 secondi, mentre quella dal punto più vicino del territorio della Nato, che si trova in Lettonia, è di circa 600 km, che un missile nucleare coprirebbe in 100 secondi: quindi Putin starebbe facendo la guerra per una differenza di appena 17 secondi).

È possibile, naturalmente, che Putin continui a comportarsi allo stesso modo e si fermi davanti ai confini dell’Alleanza Atlantica, come finora ha sempre fatto e come sperano i leader occidentali. Se ciò dovesse accadere, allora bisognerebbe riconoscere che la loro strategia avrà evitato il rischio di una guerra nucleare, anche se al prezzo (molto pesante) di sacrificare l’Ucraina. Inoltre, in tal caso dovremmo riconoscere, con vergogna per la nostra pavidità, che il vero errore non è stato avere allargato troppo la NATO, bensì averla allargata troppo poco, perché avremmo la prova che se vi avessimo fatto entrare l’Ucraina tempo fa Putin non l’avrebbe attaccata.

Il vero problema, però, è che non è affatto certo che le cose andrebbero così. Un trattato, infatti, non è un meccanismo fisico che scatta in automatico, indipendentemente dalla volontà umana: perché quanto esso prevede si trasformi in azioni occorre che chi l’ha sottoscritto decida di onorarlo. Di conseguenza, la probabilità che Putin non attacchi un paese della NATO è direttamente proporzionale alla sua convinzione che in tal caso gli altri paesi interverrebbero davvero in sua difesa: cioè, in altre parole, che sarebbero disposti a fare guerra alla Russia. È quindi evidente (o almeno dovrebbe esserlo, ma a quanto pare non è così) che l’ultima cosa che dovremmo fare è quella che invece, sulla scia di Biden, stiamo purtroppo facendo fin dall’inizio: cioè continuare a ripetere che noi non faremo mai guerra alla Russia, qualunque cosa faccia in Ucraina.

Anzitutto, infatti, anche se questa fosse davvero la nostra decisione, lasciare a Putin almeno il dubbio che se superasse un certo limite potremmo anche decidere di attaccarlo potrebbe indurlo a una maggior cautela, mentre dargli la garanzia a priori che questo non accadrà mai, qualunque cosa faccia in Ucraina, può solo incoraggiarlo a fare, appunto, qualunque cosa in Ucraina, il che è esattamente ciò che sta accadendo.

Ma c’è di più. Infatti, ciò potrebbe indurre Putin a pensare che non lo attaccheremmo neanche se lui dovesse invadere un paese della NATO. Se infatti la ratio di tale posizione è che non siamo disposti a rischiare una guerra nucleare per nessun motivo, perché mai dovrebbe bastare l’articolo di un trattato a farci cambiare idea? Pertanto, questa improvvida dichiarazione (che dovrebbe indurci a riflettere sulle reali capacità di Biden di guidare l’Occidente) ha in realtà aumentato il rischio che Putin non si fermi e che dopo l’Ucraina possa decidere di attaccare i paesi baltici. E a quel punto saremmo necessariamente costretti a prendere in seria considerazione l’ipotesi “inimmaginabile” di una guerra diretta contro la Russia, perché non farlo sarebbe come dire a Putin che può prendersi tutta l’Europa, realizzando così, in modo tanto paradossalmente quanto tragicamente rovesciato, il celebre auspicio di Giovanni Paolo II per un’Europa unita dall’Atlantico agli Urali.

Naturalmente è impossibile che un tale scenario da incubo si realizzi davvero, dato che, come abbiamo visto, l’esercito russo è per fortuna molto più debole di quel che si crede e difficilmente riuscirebbe ad andare molto oltre la conquista dei paesi baltici e magari della parte orientale della Polonia (da secoli contesa tra i due paesi) e/o di qualche altro pezzetto dei paesi più orientali dell’ex Patto di Varsavia. Tuttavia, ciò sarebbe più che sufficiente a segnare la fine non solo della NATO, ma della stessa Unione Europea (che ha anch’essa un trattato che obbliga i suoi paesi alla reciproca difesa) e il suo asservimento di fatto alla Russia putiniana. Dunque, esiste un rischio molto serio che sacrificare l’Ucraina non serva comunque ad evitare la guerra con la Russia e che, anzi, finisca addirittura per renderla più probabile.

Ma c’è qualcosa che potremmo fare per evitarlo, oltre a ciò che già stiamo facendo?

La mia risposta è sì: ci sono almeno due cose che potremmo tentare, una certa e una di cui si dovrebbe almeno discutere.

Quella certa è che dovremmo cambiare decisamente linguaggio, smettendola di rassicurare Putin e cominciando invece a inculcare in lui (e soprattutto nei suoi generali) il dubbio e – perché no? – la paura che un intervento militare della NATO in Ucraina non sia del tutto impossibile. Naturalmente non si dovrebbero fare dichiarazioni troppo esplicite, ma dire qualcosa come: “Noi faremo di tutto per evitare una guerra con la Russia, ma di fronte alla sua crescente brutalità non possiamo più escludere nessuna opzione”. E, soprattutto, dovremmo smetterla di ripetere che abbiamo paura della Terza Guerra Mondiale e/o della guerra nucleare (anche se, ovviamente, ce l’abbiamo), perché questa è la cosa che in assoluto rafforza di più Putin a livello psicologico. Tutta la sua strategia, infatti, si basa sulla convinzione che il “vile Occidente”, corrotto dal consumismo e dal capitalismo, non avrà mai il coraggio di rischiare la propria vita o anche solo le proprie comodità, come invece sono disposti a fare gli “eroici” russi (il che in realtà non è vero, ma per lui ovviamente non importa).

La cosa meno certa, ma di cui dovremmo almeno discutere seriamente, è la possibilità di non limitarci a minacciare un intervento militare in Ucraina, ma di metterlo davvero in atto. Certo, non sto dicendo che la NATO dovrebbe entrare in forze in Ucraina, perché questo renderebbe inevitabile una guerra totale contro la Russia e inoltre, per quanto assurdo sia, visto come funziona oggi il sistema mediatico ci farebbe passare dalla parte del torto agli occhi del mondo. Ma un intervento più limitato, come per esempio istituire una no fly zone, come chiede da tempo Zelensky, sarebbe invece possibile e, per quanto certamente rischioso, probabilmente lo sarebbe meno che non farlo. Vediamo perché.

Anzitutto, va notato che l’aggressività di Putin verso l’Occidente è aumentata progressivamente nel tempo ed è quindi verosimile che una vittoria in Ucraina, soprattutto se schiacciante, non farebbe che accrescere ulteriormente questa sua propensione. Di quanto la accrescerebbe non lo sappiamo, ma in ogni caso ciò significa che è fondamentale anche per la nostra sicurezza, e non solo per quella degli ucraini (che comunque qualche cosa conta), che Putin non vinca la sua sporca guerra, o almeno non la stravinca. E al punto in cui siamo non si vede come si possa impedirlo senza un qualche tipo di intervento militare da parte nostra.

Inoltre, la no fly zone potrebbe essere istituita senza bisogno di entrare fisicamente in Ucraina, giacché la NATO ha la capacità tecnologica di abbattere gli aerei russi con missili a guida elettronica posizionati all’esterno del territorio ucraino (nella seconda guerra contro Saddam i bombardamenti preliminari sono stati effettuati in gran parte con missili di questo tipo, lanciati da navi posizionate a centinaia di chilometri di distanza, e, a dispetto delle facili ironie sui missili “intelligenti”, hanno quasi sempre fatto centro). Inoltre, essa potrebbe essere istituita con motivazioni umanitarie e in modo condizionato, cioè minacciando di introdurla solo se Putin non concede una vera tregua per mettere in salvo i civili, scaricando così su di lui la responsabilità di ciò che potrà accadere se rifiuta.

Naturalmente Putin rifiuterebbe di sicuro e quindi noi dovremmo assumerci il gravissimo rischio che comporterebbe abbattere degli aerei russi. Ma, anche se questo sarebbe certamente un atto di guerra, non sarebbe ancora la guerra vera e propria. La domanda cruciale che dobbiamo porci è quindi la seguente: siamo sicuri che la Russia reagirebbe a un’azione di questo tipo scatenando una guerra vera e propria contro la NATO, cioè che invaderebbe o comunque colpirebbe direttamente il territorio dei paesi europei?

La cosa non mi sembra affatto scontata. Anzitutto, un’azione di questi tipo non sarebbe poi molto diversa da quello che già stiamo facendo fornendo missili antiaerei agli ucraini, che infatti Putin ha definito “un atto di guerra”, senza però far seguire alle parole nessuna azione coerente con esse. Inoltre, anche se Putin fosse disposto ad attaccarci, è assai meno probabile che lo sarebbero anche i suoi generali, dato che essi, a differenza di lui, non sono ancora impazziti e sono perfettamente coscienti che in una guerra frontale con la NATO il loro esercito sarebbe destinato all’annientamento. Ancor meno probabile è che sarebbero disposti a scatenare una guerra nucleare, che comporterebbe l’annientamento totale non solo del loro esercito, ma anche del loro paese, compresi loro stessi e le loro famiglie: di fronte a una simile prospettiva, è possibile e anzi probabile che qualcuno trovi più pratico piantare una pallottola in testa al caro líder impazzito anziché seguirlo nei suoi deliri apocalittici.

Naturalmente non abbiamo la certezza che andrebbe a finire così, ma non abbiamo neanche la certezza che Putin non ci attaccherà mai se non lo faremo noi per primi. Stabilire quale delle due strade sia più rischiosa è estremamente difficile e sono felice di non essere io a dover prendere questa decisione. Voglio però sottolineare un ultimo fatto.

Quando Zelensky chiede la no fly zone e dice che gli ucraini stanno combattendo anche per noi di certo sta (comprensibilmente) tirando l’acqua al suo mulino, ma è altrettanto certo che conosce i russi meglio di qualunque leader occidentale: bisognerebbe quindi considerare attentamente la possibilità che abbia ragione e che dimostrare a Putin che non abbiamo paura di fargli la guerra sia davvero l’unico modo di evitare che prima o poi lui la faccia a noi.

No, l’unicità dell’Olocausto è innegabile

17 Febbraio 2022 - di Dino Cofrancesco

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Il Giornale del Piemonte e della Liguria

8 febbraio 2022

Un autorevole politologo mi scrive che i tanti discorsi e commemorazioni dell’olocausto, gli ricordano ”Leonardo Sciascia e la sua polemica contro la cultura dell’antimafia. Ho cioè l’impressione che gli ebrei |…|abbiano deciso che nessuna persecuzione contro altri sia paragonabile all’antisemitismo. |..| Come gli ‘antimafiosi’ riducevano ogni ‘categoria dello spirito’ al dichiararsi ‘antimafiosi’|…| così gli ebrei hanno deciso che l’antisionismo sia il Male Assoluto e che chiunque si azzardi–non dico a negarlo – ma solo a dire ‘ci sono altri che vengono discriminati’, ecco che gli ebrei insorgono e accusano”, di antisemitismo “Infatti, puntualmente Whoopi Goldberg è stata travolta da accuse di antisemitismo, e tanti prima di lei per posizioni relativiste analoghe.”  Condivido l’insofferenza del collega. Tempo fa un esponente dell’ebraismo italiano chiese che da un documento ufficiale fosse eliminato il riferimento a Martin Heidegger, in quanto il filosofo, tra i maggiori del secolo, era stato nazista. Di questo passo, non sentiremo più Richard Wagner che non fece a tempo a conoscere il Fuhrer (l’amato ‘zio Wolf’ dei suoi figli) ma che sarebbe divenuto un’icona del Terzo Reich (si ricordi la battuta di Woody Allen:”quando ascolto la ‘Cavalcata delle Walchirie’ provo un bisogno irresistibile di invadere la Polonia!”).

 E tuttavia l’unicità dell’olocausto mi sembra fuori questione. Per la prima volta nella storia, infatti, un gruppo sociale veniva sterminato non per la sua religione, non per il suo ruolo sociale, non per la sua cultura ma per una qualità indelebile—la razza– che ne faceva un mortale agente patogeno. La pulizia etnica è altra cosa: certi popoli vengono espulsi da un territorio per renderlo culturalmente omogeneo, le violenze vengono erogate in quantità industriale ma una volta cacciati gli intrusi, la partita è chiusa. Ciò che dell’antisemitismo nazista sconvolge, invece, è il suo ‘universalismo’: i tedeschi si sentivano incaricati dal Genere Umano di sterminare la classe abietta ovunque si trovasse, senza tener conto dei passaporti statali che avrebbero impedito di purificare il pianeta. Per essi le frontiere nazionali non esistevano più: chi più antisovranisti di loro?

 

Unione Europea e Agenzia del farmaco, giusta la scelta di Amsterdam

28 Novembre 2017 - di Roberto Perotti

Reality Check

L’assegnazione dell’EMA ad Amsterdam ha scatenato in Italia la solita reazione, fatta di vittimismo e fantasiose teorie dei complotti. Una reazione che ha accumunato destra e sinistra, politici e media, tutti uniti nel denunciare le malefatte e la miopia dell’Europa. In realtà, l’Europa (o la dea bendata, in questo caso) ha fatto la scelta giusta; e lo scatto d’ira degli italiani è in gran parte la conseguenza di un caso di fake news.   Leggi di più

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