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Un papa bifronte

2 Maggio 2025 - di Luca Ricolfi

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C’è qualcosa che non torna nella ricostruzione del dodicennio di papa Francesco. Una lettura filologicamente attenta non può che restituirci l’immagine di un papa bifronte.

Durante il suo papato, in innumerevoli circostanze non ha esitato a condannare il capitalismo (visto come sopraffazione dei ricchi sui più poveri) e a difendere il diritto dei migranti ad essere accolti nei paesi di arrivo. Meno frequenti, ma altrettanto nette, sono state le prese di posizione contro l’aborto, contro il controllo delle nascite, contro le rivendicazioni LGBT+ nella chiesa e fuori della chiesa. In materia di diritti civili papa Bergoglio è stato un Pontefice decisamente conservatore, se non reazionario.

Anche sul piano della gestione della Chiesa, il bilancio è tutt’altro che univoco. Come ha scritto giustamente Luca Zorloni su Wired, papa Bergoglio “non ha riformato la Chiesa dalle fondamenta come prometteva e non ha saputo combattere le battaglie contro gli abusi e gli sprechi, se non a parole”. Progressista nelle intenzioni, Francesco si è rivelato lento, se non immobilista, in materia di funzionamento della macchina ecclesiastica. Il sogno di una “Chiesa povera”, depurata dagli scandali finanziari e ripulita dai preti pedofili è rimasto lettera morta.

Naturalmente non vi è nulla di intrinsecamente contraddittorio nell’essere progressista sul piano economico-sociale e reazionario in materia di matrimoni gay e “diritti riproduttivi”. Si può benissimo essere l’uno e l’altro. In Italia abbiamo avuto un precedente illustre, quello di Pier Poalo Pasolini, che – proprio come Bergoglio – era comunista-pauperista da un lato e anti-abortista dall’altro.

La questione interessante è un’altra: come mai, nonostante questa intrinseca ambivalenza, papa Bergoglio viene quasi universalmente dipinto come pontefice progressista? E questo, notiamo bene, non da oggi, nel clima di commozione per la sua morte, ma fin dall’inizio del suo pontificato? Come mai, a dispetto delle sue posizioni tradizionaliste in tema di famiglia, matrimonio, sessualità, diritti delle minoranze sessuali, l’immagine di Francesco è sempre stata – e rimane più che mai – quella di un pontefice progressista, se non rivoluzionario?

La risposta a queste domande, a mio parere, è che il suo pontificato si è retto su un patto non dichiarato – ma solidissimo forse proprio perché non dichiarato – fra la sua persona e il sistema dei media. Papa Francesco ha capito fin da subito che la sua popolarità aveva tutto da guadagnare dal suo impegno a favore dei poveri e dei migranti, e tutto da perdere dai suoi severi richiami a un’etica sessuale meno spregiudicata e individualista. I media, a loro volta, hanno capito che la costruzione dell’immagine progressista, avanzata e innovatrice del nuovo papa richiedeva di amputarne i posizionamenti più retrogradi o – ancor meglio – di trasformarli in gesti di riconoscimento mediante operazioni più o meno sofisticate di decontestualizzazione e manipolazione. Penso, ad esempio, al sistematico fraintendimento della lettera (e cancellazione del contesto) della frase “chi sono io per giudicare?”, o dei gesti di tolleranza nei confronti delle coppie gay; al velo pietoso sulle invettive contro l’aborto e i medici che lo praticano (che Francesco considerava nientemeno che “sicari”); ai resoconti giornalistici benevoli sulla lotta contro i preti pedofili, ben meno incisiva di come è spesso stata tratteggiata.

Ma, sia ben chiaro, non si è trattato in alcun modo di un’opera di deformazione del “vero” messaggio di Francesco. In questi anni papa Bergoglio e i media dominanti sono stati perlopiù in perfetta sintonia. Il fraintendimento parziale dei propri messaggi è stato quasi sempre assecondato dal Pontefice, che evidentemente ne comprendeva il potenziale di legittimazione della propria figura di paladino degli ultimi: altrimenti avremmo assistito a continue smentite, precisazioni, e soprattutto a ben più frequenti (e chiari) interventi riguardo alla morale sessuale e familiare. La realtà è che papa Bergoglio considerava il suo messaggio verso gli ultimi (poveri, migranti, emarginati, “scarti” della società) infinitamente più importante di qualsiasi esortazione in materia di comportamenti sessuali, ambito nel quale raramente è andato oltre il “minimo sindacale” per un capo della Chiesa Cattolica.

La controprova? Tutti, in occasione dell’incontro con il vicepresidente statunitense J.D. Vance, hanno giustamente notato il contrasto fra fede cattolica e crudeltà delle politiche verso i migranti. Ma non si ha notizia di analoghe riflessioni in occasione dell’incontro fra papa Bergoglio e Emma Bonino, come se le posizioni (e le azioni) di quest’ultima in materia di aborto non esistessero e non fossero mai esistite. Un segno difficilmente fraintendibile di che cosa Francesco considerasse importante e che cosa invece no.

[articolo uscito sulla Ragione il 29 aprile 2025]

Il Papa anti-occidentale

28 Aprile 2025 - di Luca Ricolfi

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Chi è stato Papa Francesco? La domanda si è imposta in questi giorni nelle riflessioni di tutti, ma ben pochi hanno resistito alla tentazione di scambiare la parte per il tutto. Era inevitabile: per descrivere il Pontefice scomparso come fonte di ispirazione, è giocoforza amputare porzioni significative del suo pontificato. Certo tutti abbiamo notato, e in molti apprezzato, la sua informalità, quel suo parlare e interagire in modo semplice, deponendo o celando i simboli del potere e della Grazia: quel suo “buonasera” inaugurale, quelle espressioni familiari o di senso comune nei discorsi, quei gesti di rinuncia al lusso in materia di spostamenti (utilitaria) e di residenza (Santa Marta). Ma al di là di questo, resta il fatto che nessuno – proprio nessuno – fra gli attori grandi e piccini della politica può plausibilmente rivendicarne l’eredità. E se qualcuno cionondimeno ci prova, è a prezzo di clamorose omissioni.

La destra, tutta la destra, è costretta a omettere le ripetute prese di posizione di Francesco a favore dei migranti, di tutti i migranti, regolari e irregolari, sospinti non solo dalle persecuzioni e dalle guerre ma dal legittimo desiderio di sfuggire alla povertà. La sinistra, tutta la sinistra, è costretta a omettere le chiare prese di posizione contro l’aborto e i medici che lo praticano, bollati come “sicari”; a dimenticare le critiche alla cosiddetta teoria gender, definita “il pericolo più brutto”; a sorvolare sulla demonizzazione dei contraccettivi, paragonati alle armi che uccidono.

Quanto alla cultura laica e liberale, che vede nel capitalismo uno strumento di uscita dalla miseria e di emancipazione dalle costrizioni del passato, è costretta a dimenticare le severe parole del Papa: “Il problema del nostro mondo (…) sono l’egoismo, il consumismo e l’individualismo, che rendono le persone sazie, sole e infelici”.

Questo vuol dire che la visione del mondo di Bergoglio era eclettica, confusa o contradditoria?

Non direi. Certo, agli occhi di qualsiasi scienziato sociale non accecato dall’ideologia le idee di Bergoglio in materia di economia appaiono quantomeno ingenue (l’economia non è un gioco a somma zero), quelle in materia demografica appaiono potenzialmente catastrofiche (in tanti paesi è precisamente l’assenza di controllo demografico che provoca miseria e morti premature). Ma se dal prosaico mondo delle scienze sociali ci volgiamo al fantasioso mondo delle ideologie, quelle idee non sono poi così strane o incoerenti. Perché un’idea unitaria, un pensiero di base, o se preferite un’ossessione di fondo, nel pensiero del Papa scomparso esiste eccome. E ha pure un nome: si chiama anti-occidentalismo. Nelle esternazioni di Bergoglio sono confluiti un po’ tutti i motivi della critica alla civiltà occidentale: condanna del colonialismo (il “singhiozzo dell’uomo bianco”, per dirla con Pascal Bruckner), critica dell’economia capitalistica (“l’economia che uccide”), riserve sulle politiche dell’Alleanza Atlantica, deplorazione del consumismo, difesa della famiglia tradizionale, attacco all’aborto e al controllo delle nascite, presa di distanza dalla cultura woke. L’unico elemento non criticato, e in parte ascrivibile alla cultura occidentale (almeno fino a ieri), è stata l’apertura delle frontiere ai migranti, un tipo di politica che Papa Bergoglio, come molti capitalisti in cerca di manodopera a basso costo, giudicava insufficiente.

Possiamo concludere che la cifra del pontificato di papa Francesco è stato il ripudio dei valori della società occidentale?

Sì e no. Sì, perché quello dell’anti-occidentalismo pare l’unico denominatore comune delle sue esternazioni. No, perché in realtà, dopo i rivolgimenti degli ultimi anni, non sappiamo più che cosa siano i valori dell’occidente. Le guerre in Ucraina e in Palestina hanno fatto riemergere in tutta la sua forza il fiume carsico dell’anti-occidentalismo dentro l’occidente stesso. L’ascesa e il declino dell’ideologia woke, il capovolgimento delle politiche di accoglienza in politiche di espulsione, le accuse all’Europa di avere tradito i valori occidentali, la guerra dei dazi, le divergenze su come porre fine alle guerre in Ucraina e a Gaza, hanno riproposto in termini drammatici l’interrogativo: chi siamo, noi occidentali?

Forse, più che affannarci a rivendicare improbabili sintonie con il pensiero del Papa scomparso, personaggio unico e difficilmente ripetibile, dovremmo provare a interrogarci su noi stessi.

[articolo uscito sul Messaggero il 26 aprile 2025]

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