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Lobby trans e crisi del politicamente corretto

18 Aprile 2024 - di Luca Ricolfi

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A giudicare da come ne parlano i suoi critici, parrebbe che quella del politicamente corretto sia un’ascesa irresistibile. Sorto negli Stati Uniti durante gli anni ’70 del Novecento, da allora non avrebbe fatto altro che espandersi, colonizzando l’intero mondo occidentale.

Anch’io, che non lo amo affatto, ho spesso avuto questa sensazione di ineluttabilità e inarrestabilità. Però, da un po’ di tempo, mi sto convincendo che le cose siano più sfumate. Molto più sfumate. Forse non ci siamo ancora resi conto pienamente del fatto che proprio la sua aggressività e la sua pretesa di avere il monopolio del Bene e del Giusto stanno, poco per volta, producendo anticorpi che ne contrastano la diffusione e ne minano il prestigio. Non mi riferisco tanto ad alcune clamorose iniziative di qualche anno fa, come le prese di posizione critiche sul Me Too (lettera-appello di Cathèrine Deneuve e altre donne illustri), la denuncia dei pericoli della cancel culture da parte di Chomsky e altri intellettuali e scrittori, la severa autocritica verso i propri eccessi woke da parte del New York Times, l’allarme dell’Economist sui rischi che correrebbe la libertà di espressione. Quello che ho in mente sono, piuttosto, alcune vere e proprie crisi di rigetto in atto da qualche tempo in Europa.

Al centro di tali crisi si trovano quasi sempre, direttamente o indirettamente, la lobby trans e i suoi attivisti. Rispettati e coccolati per anni dall’establishment, dall’industria culturale, dagli apparati governativi, da qualche tempo questi gruppi di pressione incontrano resistenze sempre più grandi.

Nel Regno Unito, ad esempio, la principale lobby di questo tipo (Stonewall) ha perso l’appoggio delle principali istituzioni governative per l’intransigenza e il settarismo con cui ha provato a imporre i suoi codici etici e linguistici sui luoghi di lavoro, con gravi conseguenze (stigmatizzazioni e licenziamenti) su chiunque non ne condividesse l’ideologia. Sempre nel Regno Unito, non hanno certo contribuito alla popolarità della causa trans le accuse e le minacce a Joanne Rowling (l’inventrice di Harry Potter), colpevole di voler riservare la parola donna alle donne biologicamente tali. Così come non hanno giovato le intimidazioni verso la professoressa Kathleen Stock e altre donne più o meno in vista, anche loro colpevoli di non accettare l’ideologia trans. Più in generale, non è piaciuto il ricorso all’acronimo dispregiativo TERF (Trans Exclusionary Radical Feminist) nei confronti delle femministe che si rifiutano di sostituire la parola donna con termini come “menstruator” o “persona con l’utero”.

Un pessimo servizio al prestigio della causa trans ha fatto la pretesa dei maschi diventati femmine di gareggiare con le atlete donne, o di invadere gli spazio femminili nelle carceri (con relativi rischi di stupro per le detenute).

Un servizio ancora peggiore sta facendo, in Spagna, la “Ley Trans” (legge trans)  sull’autoidentificazione di genere, che permette a chiunque di cambiare genere con estrema facilità, e ai maschi transitati a femmine consente di accedere a centinaia di diritti riservati alle donne. Una mezza rivolta sta suscitando in Scozia la recentissima legge che, per proteggere le persone trans, finisce per introdurre arbitrari e inaccettabili limiti alla libertà di espressione.

Ma il colpo di grazia all’ideologia trans è venuto dalla scoperta di gravi omissioni e leggerezze nelle strutture ospedaliere che si occupano di disforia di genere e cui spetta autorizzare l’avvio dei percorsi di cambiamento di genere basati sui bloccanti della pubertà e la somministrazione di ormoni cross-sex. Nella bufera sono finite la clinica Tavistock di Londra, l’ospedale Careggi di Firenze, il colosso Wpath (associazione mondiale per la promozione della salute delle persone transessuali). Il cosiddetto “protocollo olandese”, alla base dei percorsi di transizione di genere, è ormai considerato inadeguato, se non pericoloso, visti i drammi vissuti da tanti detransitioner e pentiti della transizione.

Come se non bastasse, nei giorni scorsi – evento più unico che raro – il cambiamento di sesso è entrato simultaneamente nel mirino della religione e in quello della scienza. Il Papa lo ha condannato senza mezzi termini, e dichiarato ammissibile “solo in caso di anomalie”. Alcune audizioni parlamentari hanno documentato, sulla base di revisioni sistematiche della letteratura scientifica, la fragilità dei presupposti su cui, per anni, si sono fondate le pratiche di “affermazione del genere”. Infine, giusto l’altro ieri nel Regno Unito sono stati resi pubblici i risultati del rapporto Cass (una indagine commissionata dal servizio sanitario nazionale britannico), anch’essi estremamente negativi sull’uso dei bloccanti e degli ormoni.

Insomma, l’esito finale della tenzone sul politicamente corretto è incerto. Ma le battaglie più recenti sono quasi tutte a favore dei critici.

(uscito sul Messaggero il 12 aprile 2024)

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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