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Sulle parole di Francesca Albanese – Cattive maestre e democrazia

4 Dicembre 2025 - di Luca Ricolfi

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Le parole di Francesca Albanese, che ha condannato l’assalto alla redazione della Stampa di Torino da parte di un centinaio di militanti pro-Pal, ma al tempo stesso ha invitato a considerare l’episodio “un monito” ai giornalisti, rei di non fare seriamente e onestamente il loro lavoro, hanno suscitato una giusta quanto ovvia indignazione. Se sono state pronunciate davvero (dico “se” perché in rete non sono riuscito, nemmeno con l’aiuto di ChatGpt, a trovare un video o una registrazione che le contenga) la vera notizia a me sembra l’imbarazzo con cui sono state accolte da una parte significativa dello schieramento progressista. La maggior parte degli esponenti della sinistra (con le importanti eccezioni di Calenda e Renzi) ha preferito limitarsi alla scontata condanna dell’assalto squadrista (accompagnato da minacce di morte), senza prendere una posizione di condanna chiara e severa verso quell’espressione “monito”. Una espressione che sa tanto di avvertimento per il futuro nei confronti dei giornalisti, quasi che – come talora si sente dire alle donne stuprate – se la fossero andata a cercare con la colpevole partigianeria dei loro resoconti sulla guerra a Gaza.

Questo imbarazzo non è nuovo. Si ripete ogniqualvolta violenza e sopraffazione vengono esercitate in nome di una causa cui la sinistra ufficiale è sensibile. È come dire: i manifestanti hanno sbagliato, ma l’hanno fatto in nome di giusti principi, che noi progressisti condividiamo. La condanna più o meno criptica della violenza avviene quasi sempre, però c’è sempre un “ma”: ma il governo ha sbagliato, ma la polizia non doveva intervenire, ma i facinorosi sono un’infima minoranza, eccetera. In poche parole: la violenza è (quasi) sempre sbagliata, ma è (spesso) comprensibile. Ancora più inquietante è l’altra considerazione invocata da Francesca Albanese: dalla violenza occorre astenersi, perché è controproducente, e lo è perché indebolisce la causa. Non so se tutti si rendano conto della pericolosità di una simile giustificazione: è come dire che la violenza non è un male in sé (come pensava Gandhi) in quanto priva l’altro dei suoi diritti, ma perché potrebbe ritorcersi contro i violenti stessi. Inevitabile pensare che, ove avesse un sostegno di massa e cessasse di essere controproducente, la violenza potrebbe diventare uno strumento di lotta legittimo.

I paragoni storici sono sempre discutibili, e solo con il tempo si scopre se sono appropriati o fuorvianti. Però è difficile non cogliere almeno una affinità fra la situazione attuale e quella che, negli anni ’70, portò alla nascita del terrorismo: oggi come ieri una minoranza violenta si muove in nome dei medesimi principi cui si richiama la sinistra ufficiale. Ieri le Brigate Rosse uccidevano in nome del comunismo, ossia della medesima ideologia che ispirava il PCI, il maggiore partito della sinistra di ieri. Oggi i ragazzi che devastano la redazione della Stampa, agiscono (violentemente) in nome di una causa, quella del popolo palestinese, che è difesa (pacificamente) dal Pd, il maggiore partito della sinistra attuale.

Il paragone storico, tuttavia, si ferma qui. La differenza fondamentale fra ieri e oggi è la statura morale, politica e culturale delle rispettive classi dirigenti. Enrico Berlinguer, Luciano Lama, e tutto il gruppo dirigente del PCI non ebbero esitazioni a schierarsi contro le Brigate Rosse e le altre formazioni terroristiche, a difesa dell’ordine democratico, e questo nonostante ne vedessero perfettamente i gravissimi limiti. Oggi il medesimo coraggio – ma soprattutto la medesima chiarezza – non si intravede nel gruppo dirigente del Pd, timoroso di perdere il sostegno dell’opinione pubblica più radicalizzata e sempre tentato da improbabili mobilitazioni antifasciste, contro le “torsioni” e le “derive” autoritarie della nostra democrazia.

Per non parlare dell’abisso culturale che separa i “cattivi maestri” di ieri dal trio Albanese-Thunberg-Salis che impazza ai giorni nostri. Ma questa forse è una fortuna: la faziosità e la povertà di pensiero critico delle “cattive maestre” è un punto a favore della democrazia.

[articolo uscito sulla Ragione il 2 dicembre 2025]

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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