Rubare a Singapore – Nuotatrici leste
In primo pianoPoliticaSocietàChi va nell’isola di Singapore, ricca città-stato del sudest asiatico (il suo reddito per abitante è più del doppio di quello italiano), lo sa perfettamente, perché glielo spiegano le agenzie di viaggio e i siti che si occupano di vacanze: a Singapore vigono innumerevoli divieti. Ad esempio: masticare chewingum, fumare in luoghi diversi da quelli appositi (pochissimi), buttare cicche o altro per terra, mangiare o bere sui mezzi di trasporto, girare nudi per casa (se visibili all’esterno), consumare droghe. Ma il vero tratto distintivo di Singapore è che quei divieti li fa rispettare, come – a maggior ragione – fa rispettare i divieti che a noi paiono più ragionevoli: ad esempio rubare.
Tutto questo è noto ma, a quanto pare, era sfuggito ad alcune nuotatrici azzurre, beccate a rubare in un duty free dell’aeroporto. Pare che una di loro, ripresa dalle telecamere di sorveglianza, abbia infilato un profumo (o due boccette di olii essenziali, secondo un’altra versione) nella borsa della collega, così inguaiandola.
La vicenda, risolta con l’intervento della nostra ambasciata a Singapore, ha suscitato un certo imbarazzo al Ministero degli Esteri, che si è affrettato a dichiarare che il ministro Tajani non ha avuto alcun ruolo. Con tutti gli italiani che abbiamo il problema di riportare a casa, spesso con ottime ragioni, ci mancava solo la figuraccia di un ministro che si batte per rimpatriare una ladruncola.
A quanto pare siamo di fronte a un Fassino-bis, diverso dal famoso profumo rubato in aeroporto dall’ex sindaco di Torino perché la ladra non ha tenuto il profumo per sé, ma l’ha appioppato all’amica. Ma l’attrazione fatale per i profumi non è l’unico elemento che accomuna i due casi. In realtà ce n’è anche un altro. Ricordate la goffaggine delle giustificazioni di Fassino?
“Ero a Fiumicino e volevo fare un regalo a mia moglie. Avevo le mani occupate e ho messo il profumo in tasca, ma intendevo pagarlo”.
Ebbene, le spiegazioni della nuotatrice azzurra sono un capolavoro di reticenza. Anziché dire: “scusate, non ho rubato nulla, è stata una mia compagna a infilarmi il profumo nella borsa”, la ragazza ha tirato fuori un repertorio di circonlocuzioni elusive, astratte, e in perfetto stile burocratico-politichese come “Desidero condividere alcune considerazioni in merito a quanto recentemente emerso sulla mia persona”;
“non ho mai avuto intenzione di compiere gesti inadeguati, e chi mi conosce sa quanto tengo ai valori dello sport, alla correttezza e all’onestà personale”; “da questa esperienza comunque traggo grandi insegnamenti sulla prudenza, sulla responsabilità individuale e sul valore delle persone che mi circondano”.
Evidentemente, parlar chiaro non fa parte delle virtù della nostra nuotatrice, per la quale un furto è “un gesto inadeguato”.
Credo che in questo le nostre atlete non siano granché isolate. Nelle nostre società ultra-civili e ultra-democratiche i divieti di Singapore appaiono assurdi, o nella migliore delle ipotesi esagerati. E gli stessi furti, pur essendo deprecati, e pur tormentando i sonni di tanti italiani, sono considerati quasi fisiologici, un elemento ineliminabile del paesaggio sociale, specie nelle grandi città.
Ma è davvero così?
Il caso di Singapore è interessante perché mina questa percezione di ineluttabilità. Secondo gli ultimi dati disponibili, fatto 100 il numero di furti per abitante in Italia, a Singapore si scende a 9.5, con una riduzione del 90%. E le cose sono ancora più nette nel caso dei furti con scasso: fatto 100 il livello dell’Italia, a Singapore si scende a 0.87, con un abbattimento del 99%. A quanto pare i divieti servono, e ancor più serve la volontà ferrea di farli rispettare.
Dunque, si potrebbe fare anche da noi?
Probabilmente no, perché loro sono buddisti e noi cattolici. Perché da loro c’è la pena di morte e noi abbiamo assimilato la lezione di Beccaria. Perché la nostra stampa è libera e la loro ha restrizioni importanti. Insomma, la loro democrazia è quantomeno imperfetta (noi siamo al 34-esimo posto nella classifica dell’Economist, loro al 70-esimo).
Però, una cosa la possiamo fare: riflettere sui costi della democrazia. O meglio, della nostra democrazia. Noi, rispetto a Singapore, abbiamo non solo molti più furti, ma anche il doppio di femminicidi. Segno che i divieti, e la volontà di farli rispettare, a qualcosa servono. E non solo a pizzicare due bricconcelle a un duty free.
[articolo uscito sulla Ragione il 2 settembre 2025]