La sinistra e il partito del senso comune
In primo pianoPoliticaSocietàNei giorni scorsi Renato Mannheimer ha reso noti i dati di un recente sondaggio Eumetra sull’atteggiamento degli italiani nei confronti dei “bambini nel bosco”, ovvero della scelta dei servizi sociali (e del tribunale dei minori dell’Aquila) di togliere tre bambini ai genitori che li avevano allevati in modo un po’ troppo spartano. Non intendo minimamente entrare sulle buone ragioni di entrambe le parti (servizi sociali e genitori ecologisti), ma vorrei soffermarmi su un altro punto: la frattura emersa dall’indagine.
Gli elettori che hanno espresso un’opinione (quasi l’85% degli intervistati) sono spaccati in due gruppi (pro e contro i genitori), ma i difensori della famiglia che ha allevato i bambini nel bosco prevalgono piuttosto nettamente sui critici.
Che cosa divide difensori e critici?
A prima vista parrebbe una frattura politica, con gli elettori progressisti schierati in maggioranza con i servizi sociali e quelli conservatori con la famiglia anglo-australiana. Ma non è semplicemente così. Fra i paladini della famiglia vi sono anche gli elettori Cinque Stelle e – forse questo è il risultato più interessante – la netta maggioranza degli indecisi. Quanto alla condizione sociale, i ceti alti sono tendenzialmente pro-servizi sociali, quelli bassi pro-famiglia. La frattura, in altre parole, ha un profilo più culturale che politico. L’Italia che detesta l’invadenza dei servizi sociali e stravede per la favola romantica dei bambini nel bosco è l’Italia del senso comune, che rifugge dagli schemi astratti e mal sopporta le ingerenze pedagogiche dell’establishment.
L’indagine di Mannheimer, a mio parere, certifica che questa Italia è maggioranza nel paese, e guarda più a destra che a sinistra, anche quando sembra votare a sinistra. Emblematico il caso dei Cinque Stelle, un movimento nato fuori dello schema destra-sinistra, poi smottato a destra (con l’alleanza Salvini-Di Maio), infine approdato a sinistra (con il governo Conte II), ma tuttora attratto da posizioni che la sinistra doc – quella del Pd e dei riformisti – considera di destra, se non reazionarie.
Quali posizioni? Innanzitutto quelle sull’immigrazione, un tema che più di altri si presta ad attivare la logica del senso comune, fuori e contro gli schematismi della politica. Non tutti lo ricordano, ma durante la crisi dei migranti del 2018, quando l’Espresso fece la famosa copertina “Uomini e no” che di fatto dava del non-umano a Salvini, i sondaggi mostravano che il 70% degli elettori stava con la politica dei porti chiusi del ministro dell’Interno, in barba alle proprie credenze politiche.
E poi le posizioni sull’educazione dei figli, con il primato della famiglia rispetto allo Stato: la sinistra doc crede nel ruolo pedagogico dello Stato (la scuola come “palestra di democrazia”), la gente comune – anche quando non lo conosce – istintivamente sottoscrive l’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, che afferma che “i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”. Per non parlare dell’atteggiamento verso i magistrati: i progressisti tendono a vederli come figure salvifiche e insindacabili, l’Italia del senso comune ne riconosce a occhio nudo abusi, errori e storture, specie riguardo ai migranti e ai reati di allarme sociale.
Tutto questo suggerisce che oggi come ieri, accanto alle maggioranze partitico-elettorali che possono farsi e disfarsi a seconda delle circostanze, esiste e perdura una sorta di partito del senso comune, che è maggioranza nel paese e può condizionare in modo decisivo la competizione elettorale. Finché il conflitto verte su temi freddi (le tasse, le riforme, il federalismo, l’istruzione, la sanità) la sinistra, che ha quasi tutto l’establishment culturale dalla sua parte, può giocare la partita. Ma se e quando il conflitto si sposta su questioni calde, che toccano profondamente i sentimenti delle persone e sono in grado di attivare gli schemi del senso comune, per la sinistra la partita si fa difficile, perché il partito del senso comune è maggioranza nel paese, e guarda più a destra che a sinistra.
Perché più a destra?
Fondamentalmente perché la sinistra ha maturato nel tempo un profondo disprezzo verso il senso comune e i suoi portatori, che considera espressione della “pancia del paese” o “popolo bue”, senza rendersi conto che il comune sentire della gente veicola anche una visione del mondo, che poggia su principi più elementari ma non meno legittimi di quelli progressisti.
Forse è anche per questo che, negli oltre tre decenni della seconda Repubblica, solo una volta – nel 2006, alla fine di una legislatura berlusconiana assai deludente – la sinistra è riuscita ad attrarre il 50% dei consensi. In tutti gli altri casi un’analisi accurata della distribuzione del voto, capace di tener conto della natura bifronte dei Cinque Stelle, rivela che il baricentro dell’elettorato è sempre rimasto sbilanciato a destra.
Se fossi Elly Schlein, di questo mi preoccuperei, più che dell’eterno gioco fra correnti e sottocorrenti del Pd.
[articolo uscito sul Messaggero il 7 dicembre 2025]


