Bloccare tutto per la Flottiglia? – Sciopero generale, un’arma spuntata
In primo pianoPoliticaSocietàHa creato qualche malumore il sarcasmo con cui Giorgia Meloni ha stigmatizzato lo sciopero generale di ieri a sostegno della flottiglia. Notando che “week end lungo e rivoluzione non stanno insieme” ha messo il dito sulla piaga: è anni che gli scioperi vengono indetti a ridosso del fine settimana, una pratica che stride con gli appelli alla “rivolta sociale”.
È stato un infortunio? Una voce del sen fuggita, che se potesse tornare indietro non ripeterebbe?
Ho l’impressione di no. Prendendo una posizione netta contro lo sciopero proclamato dalla Cgil di Landini e dalla Usb (Unione sindacale di base) credo che la premier abbia ritenuto di interpretare un sentimento piuttosto diffuso nell’elettorato, ma che resta per lo più allo stato latente. Può sembrare strano, se non contradditorio, ma a mio parere il severo giudizio che l’opinione pubblica ha maturato su Israele (3 italiani su 4 condannano l’intervento a Gaza) non convive con un corrispondente sostegno a tutto ciò che partiti, sindacati e movimenti stanno facendo contro Israele stesso. Un conto, infatti, è l’empatia per il popolo palestinese – un sentimento quotidianamente rinforzato dai media, in Italia molto più che altrove – un conto è l’approvazione per il ricorso sistematico allo strumento dello sciopero, in modalità più o meno selvagge ma sempre foriere di disagi (e qualche volta di violenze e danni materiali ingenti) a scapito di chi vuole o deve viaggiare, lavorare, studiare, curarsi.
Forse è venuto il momento di prenderne atto: il ricorso eccessivo e improprio all’arma dello sciopero la sta rendendo sempre più obsoleta come strumento di lotta, un po’ come è successo per l’istituto del referendum, consunto e ormai quasi sepolto dall’uso eccessivo che i suoi promotori ne hanno fatto. Sfortunatamente da anni in Italia mancano numeri ufficiali e credibili sul numero di adesioni ai vari scioperi, che vengono monitorati accuratamente solo nella Pubblica Amministrazione, ma le poche e imprecise cifre che circolano sono sufficienti a dare un’idea degli ordini di grandezza in gioco. A fronte di 40 milioni di italiani critici con Israele, anche le maggiori piazze restano sempre al di sotto – qualche volta molto al di sotto – delle decine di migliaia di manifestanti. Giusto per dare un’idea degli ordini di grandezza: nello sciopero del 22 settembre, indetto da sindacati di base (Usb) e altre sigle, le adesioni nella Pubblica amministrazione (l’unico settore che fornisce dati certi) non hanno raggiunto il 6%, e il numero totale di assenze per sciopero sono state un quarto di quelle “per altri motivi”. E dire che quello di lunedì 22 settembre era andato decisamente meglio del quasi-flop di venerdì 19, quando a proclamare lo sciopero era stata la CGIL.
Difficile fare calcoli precisi, ma – a meno di ipotizzare un comportamento completamente difforme del settore privato – si può stimare che il 22 settembre, su 40 milioni di italiani che disapprovano Israele, tra lavoratori in sciopero e cittadini in piazza la mobilitazione abbia coinvolto 2 milioni di persone, circa il 5% del totale dei critici di Netanyahu (sulla manifestazione di ieri bisognerà aspettare qualche giorno per fare i conti): nulla di paragonabile alle grandi mobilitazioni del passato,
Che lo sciopero sia uno strumento in declino non è cosa di cui stupirsi troppo. Il fenomeno è in atto in tutti i paesi europei da almeno un quarto di secolo, e ha cause strutturali ben note, prima fra tutte la contrazione del settore industriale e la terziarizzazione. In Italia, tuttavia, è lecito chiedersi se – a minare il successo degli scioperi – non agiscano anche altri fattori, non solo economici. Un primo fattore è la concentrazione delle astensioni dal lavoro nel settore dei trasporti pubblici, il più capace di propagare disagi: la solidarietà con gli scioperanti è messa a dura prova da forme di lotta che non colpiscono “il padrone” ma i comuni cittadini.
Ma il fattore più importante, probabilmente, è un altro: l’estrema e talora del tutto irragionevole politicizzazione degli scioperi. Sempre più sovente lo sciopero viene proclamato contro il governo, o comunque non su temi specifici, che hanno a che fare con la condizione dei lavoratori (salari, occupazione, sicurezza sul lavoro). E questo vale in special modo per il maggiore sindacato italiano, la Cgil, il cui leader si muove da tempo come un vero e proprio soggetto politico, con un’agenda in materia di immigrazione (referendum di maggio sulla cittadinanza) e persino di politica internazionale (scioperi pro Gaza).
La vocazione a trasformarsi in soggetto politico è, almeno in questo momento, così forte da trascinare la Cgil in azioni contra legem, come lo sciopero di ieri nei servizi pubblici. Quello sciopero è stato proclamato violando l’obbligo legale di preavviso di almeno 10 giorni, previsto dalla legge 146 del 1990. E la giustificazione addotta è illuminante: invocando la “difesa dell’ordine costituzionale” (uno dei pochi casi in cui la legge permette di scioperare senza preavviso) il sindacato non fa che confessare la propria trasformazione in soggetto politico, che non solo pretende di scioperare su questioni genuinamente politiche, ma pretende persino di fornire la corretta interpretazione della Costituzione, come se un indirizzo di politica estera sgradito al sindacato potesse essere considerato eversivo dell’ordine costituzionale.
Perché questa deriva, che fortunatamente non trascina tutte le sigle sindacali?
I maligni da tempo suggeriscono: perché Landini, in vista delle prossime elezioni politiche, aspira a prendere il posto di Schlein e Conte come leader del centro-sinistra. Da sociologo, mi sento di avanzare un’ipotesi più terra terra: la metamorfosi in soggetto politico è frutto degli insuccessi come attore economico. Un sindacato che ormai è fatto soprattutto di pensionati, e che è sostanzialmente assente nei teatri più difficili (lavoro nero e piccole aziende), è naturalmente portato a reinventarsi, cercando vie di sopravvivenza: la politicizzazione è una di queste.
PS. Le ultime notizie segnalano scontri, devastazioni e violenze. È paradossale per uno sciopero proclamato a sostegno della Flottiglia, la quale – comunque la si pensi – un grandissimo merito l’ha avuto: aver condotto un’azione assolutamente pacifica, in perfetto spirito gandhiano.
[articolo uscito sul Messaggero il 4 ottobre 2025]