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A che servono i liberali?

23 Settembre 2019 - di Luca Ricolfi

Politica

Da un po’ di tempo si torna a parlare del ruolo dei liberali. Alla tradizione liberale si richiama Berlusconi, impegnato in due missioni (quasi) impossibili: fermare l’emorragia di consensi di Forza Italia, mettere un freno alla deriva populista dei suoi alleati Salvini e Meloni. Ma alla tradizione liberale si richiamano anche i due partiti virtuali, ipotetici o futuribili di Renzi e di Calenda, entrambi ostili al giustizialismo e alla cultura assistenziale del Movimento Cinque Stelle, ma anche alla deriva del Pd, sempre più lontano dalla cultura riformista e modernizzatrice che Renzi aveva tentato di imporgli.

C’è spazio, oggi in Italia, per le forze che hanno qualche cromosoma liberale nel loro DNA? Secondo i sondaggi, il consenso potenziale delle formazioni liberali, talora impropriamente qualificate come centriste o moderate, è attualmente compreso fra il 10 e il 20% dei consensi. E in futuro?

In futuro qualcosa potrebbe cambiare, perché il consenso dipende anche dalla leadership. Non si può non notare che, nelle graduatorie di popolarità dei politici italiani prodotte a getto continuo dai sondaggi, i leader delle due principali formazioni di matrice liberale (Forza Italia di Berlusconi, e Italia viva di Renzi), occupano le due ultime posizioni. Detto altrimenti, e un po’ crudamente, al momento Forza Italia e Italia viva sono “zavorrate” dallo scarso credito che riscuotono i rispettivi leader. Domani si vedrà: Berlusconi potrebbe cedere ad altri il comando di Forza Italia, Renzi potrebbe scrollarsi di dosso parte dell’antipatia e dell’ostilità che attualmente lo circondano. In questo caso lo spazio dei liberali potrebbe allargarsi ancora un po’, anche se difficilmente fino al punto di far nascere un “partito liberale di massa”. Quel progetto, infatti, ha già dimostrato – con Berlusconi prima, con Renzi poi – di essere difficilmente realizzabile in Italia, dove la cultura liberale è sempre rimasta estremamente debole.

La domanda più importante, però, è un’altra: a che cosa può servire, in un’epoca come la nostra e in un paese come l’Italia, la presenza di alcuni partiti di ispirazione liberale?

Credo che la risposta sia molto diversa a seconda che volgiamo lo sguardo a sinistra, dove dominano Pd e Cinque Stelle, o a destra, dove dominano la Lega e Fratelli d’Italia.

A sinistra un presidio liberale può essere utile soprattutto sul terreno della politica economica, per neutralizzare l’involuzione anti-crescita e anti-imprese del Pd, indotta dall’alleanza con i Cinque Stelle. Un compito paradossale, visto che a consegnare il Pd ai Cinque Stelle è stato proprio Renzi. E nondimeno un compito necessario, se si vuole evitare che l’Italia prosegua nel percorso di “argentinizzazione lenta” in cui si è incamminata da una ventina di anni.

A destra una formazione liberale funzionante, esentata dalla stanca ripetizione del copione berlusconiano, avrebbe una funzione ancora più importante, quella di rendere di nuovo possibile (come nella seconda Repubblica) l’alternanza al governo fra centro-sinistra e centro-destra. Se una cosa ci hanno insegnato le recenti vicende che hanno portato dal Conte 1 a l Conte 2 è che l’approccio muscolare (e illiberale) di Salvini non può funzionare, e che l’ostinazione con cui viene ribadito e riproposto in ogni circostanza e in ogni contesto (compreso quello cruciale dell’Europa), è un formidabile ostacolo alla conquista e alla conservazione del governo.

Certo si può obiettare che il gioco politico è truccato, perché l’establishment europeo non è neutrale, e usa sistematicamente due pesi e due misure con i governi italiani: inflessibile con quelli populisti, indulgente con quelli progressisti. Ma proprio la consapevolezza di questa circostanza dovrebbe indurre i leader populisti a considerare preziosa l’alleanza con le forze di matrice liberale, senza il cui scudo corrono un rischio mortale: la costituzione di una “conventio ad excludendum” come quelle che in Italia per decenni tennero lontani dal governo i fascisti e i comunisti, e in Francia tuttora sbarrano il passo al partito di Marine Le Pen.

Del resto, è precisamente questo che è successo in Italia nelle ultime settimane. Di fronte a un Salvini del tutto disinteressato al dialogo con le autorità europee, e radicalmente demagogico nelle sue esternazioni, per gli “altri” è stato un gioco da ragazzi inventare, e far credere reale, una inesistente (o quantomeno gonfiatissima) “emergenza democratica”, e rispedire l’aspirante dittatore al Papeete.

Io penso che, almeno nel prossimo futuro, il panorama politico italiano continuerà ad essere dominato dalle forze più grandi e più demagogiche, ovvero Lega, Cinque Stelle e Pd, e che il consenso alle forze di ispirazione liberale resterà limitato, specie a destra. Nello stesso tempo, però, penso che il ruolo delle formazioni politiche liberali potrebbe essere cruciale. Non tanto perché, nel caso di un (non improbabile) ritorno al proporzionale, esse potrebbero risultare decisive per la formazione di una maggioranza di governo, quanto perché senza di esse quel che il futuro potrebbe riservarci è una grottesca riedizione della stagione del “Pentapartito”, a ruoli invertiti. Da una parte una coalizione di 4 o 5 formazioni di sinistra, esclusivamente interessate alla conservazione del potere, dall’altra un partito (la Lega) o una diade (Lega e Fratelli d’Italia) perennemente confinata all’opposizione, come lo fu il Partito comunista italiano per la maggior parte della sua storia.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 21 settembre 2019
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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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