Aspettando il Conclave – La tragedia degli “stupri sacri”
In primo pianoPoliticaSocietàÈ quasi inevitabile che, parlando del Pontificato appena concluso e di quello che verrà, l’attenzione si concentri sul messaggio di fondo del capo della Chiesa cattolica. Nel caso di Bergoglio il messaggio di fondo, per riconoscimento di un po’ tutti, è stata la difesa degli ultimi, degli oppressi, dei deboli, delle vittime, specie in teatri drammatici come quelli delle migrazioni, delle guerre, delle carceri. È comprensibile che, in attesa del Conclave, ci si chieda di quale messaggio si farà interprete il nuovo papa.
E tuttavia un pontificato è come la letteratura. C’è la poesia, e c’è la prosa. Il messaggio di fondo è la poesia, ma esiste anche la prosa. La prosa è il modo in cui un Papa amministra ed eventualmente riorganizza la complessa macchina del Vaticano, e più in generale della Chiesa (la ‘governance’, direbbe un economista). Al riguardo un papa può cambiare poco, o cambiare molto. E può farlo in varie direzioni, ad esempio puntando più sulla catechesi o più sulla carità, riorganizzando oppure no le disinvolte finanze vaticane, ampliando o restringendo i privilegi di vescovi e cardinali, concedendo o non concedendo maggiori responsabilità alle suore e alle donne che fanno funzionare la macchina della Chiesa, aprendo oppure no alle donne il sacerdozio e il diaconato. Su questi terreni prosaici l’azione di Bergoglio è stata tutt’altro che rivoluzionaria, e sarà molto arduo, anche una volta eletto, indovinare in che direzione vorrà muoversi il nuovo papa.
Poco male, penserà qualcuno. Dopo tutto sono questioni che non appassionano la massa dei credenti, più sensibili ai grandi messaggi papali che alla bassa cucina del governo della Chiesa. Ce n’è una, però, che – per quanto ben poco poetica – non può non interessarci tutti, credenti e non credenti: la tragedia degli abusi sessuali dei sacerdoti (e di altro personale ecclesiastico, compresi vescovi e cardinali) nei confronti di suore e di minorenni. Una vergogna venuta alla luce poco per volta, soprattutto a partire dalla fine degli anni Novanta, su cui però nessun pontefice ha finora avuto la volontà o la capacità di incidere profondamente.
Si potrebbe ipotizzare che lo scarso interesse della Chiesa riguardo agli abusi sessuali dei suoi rappresentanti sia anche dovuto alla marginalità del fenomeno. Ma è un’ipotesi incompatibile con i dati. Per quanto frammentari e soggetti a molteplici fonti di incertezza, i dati suggeriscono che né il fenomeno dei “preti pedofili” né, soprattutto, quello delle suore vittime di violenza sessuale da parte di preti, vescovi e cardinali abbiano dimensioni modeste, o siano circoscritti in specifici paesi o contesti. Se come termine di riferimento prendiamo le violenze sessuali e gli stupri di cui sono vittima le donne italiane nel corso della vita (circa il 20% subisce violenza sessuale, il 3% stupro), si può plausibilmente sostenere che questi numeri (già drammatici) non siano di entità inferiore nell’ambiente teoricamente protetto in cui operano le suore (anzi, secondo la teologa Doris Reisinger sarebbero ancora superiori). Chi vuole farsi un’idea vivida dei meccanismi, davvero diabolici, di questa tragedia moderna, in cui il potere spirituale dei superiori (uomini) viene usato per sottomettere le creature più indifese (donne), li può trovare accuratamente e appassionatamente descritti nel libro Stupri sacri (Rizzoli, 2025) di Laura Sgrò, avvocato presso la Corte d’Appello dello Stato della Città del Vaticano e legale della famiglia Orlandi.
Se il fenomeno è così grave e pervasivo, perché così poco è stato fatto negli ultimi pontificati, a dispetto del proliferare degli scandali e nonostante alcune coraggiose quanto rare campagne di stampa?
Difficile dare una riposta perentoria. Una ragione ovvia è che la Chiesa cattolica è, per sua costituzione, la istituzione più maschio-centrica del mondo, o perlomeno del mondo occidentale. Innumerevoli fatti, gesti e decisioni testimoniano la scarsissima volontà dell’élite che la governa di concedere più spazio e responsabilità alle donne (religiose e non), nonostante gli oneri del funzionamento dell’istituzione gravino assai più sulle donne che sugli uomini di Chiesa (un tema, questo, più volte meritoriamente sollevato da Lucetta Scaraffia). Un’altra ancor più ovvia ragione è che, mentre la battaglia contro i femminicidi conferisce prestigio, quella contro le violenze sessuali verso ragazzini e suore non può che gettare discredito sulla Chiesa (oltre a provocarle danni economici, ad esempio nella raccolta di fondi attraverso l’8 per 1000).
Una ragione meno ovvia è che chiunque oggi voglia mettere mano al problema degli abusi sessuali si scontra con il fatto che, per decenni e decenni, la prassi è stata di “distribuire il danno” anziché estirpare il male, un po’ come avviene nelle scuole quando gli insegnanti incapaci, essendo illicenziabili, vengono fatti ruotare fra le classi. Sono innumerevoli le testimonianze di casi in cui, di fronte alle denunce ricevute, i vescovi e i superiori – anziché rimuovere gli autori degli abusi – hanno preferito spostarli in altri contesti, senza avvertire i nuovi superiori della loro pericolosità (una prassi agevolata dalla scelta del Vaticano di delegare alle istituzioni locali la gestione di questi casi).
Fortunatamente oggi non mancano le organizzazioni, associazioni, enti, anche interni o collegati alla Chiesa cattolica, che di questi problemi si occupano. C’è da sperare che la loro voce non resti inascoltata.
[articolo uscio sul Messaggero il 4 maggio 2025]