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Una modesta proposta

5 Dicembre 2019 - di Luca Ricolfi

Società

Credo che, prima o poi, si arriverà a qualcosa che limiterà la circolazione gratuita e illimitata delle informazioni su internet. Potrebbe essere un “francobollo elettronico” sulla posta trasmessa via internet, o la nascita di un circuito parallelo a pagamento, e perciò stesso sostanzialmente impermeabile allo spam e alla violenza simbolica che infesta la rete. In una società opulenta qual è diventata l’Italia sono certo che molti sarebbero ben felici di pagare un abbonamento, verosimilmente meno costoso di quelli del calcio, per proteggersi dal flusso di informazione indesiderata che ci tormenta 24 ore su 24. E’ abbastanza incredibile che non sia ancora successo nulla, nonostante due fatti incontrovertibili: la circolazione illimitata di materiale sulla rete saccheggia la nostra riserva personale di tempo; la proliferazione dei messaggi di posta elettronica, attraverso l’iper-consumo di energia sui server, danneggia l’ambiente, che pure tutti diciamo di avere a cuore (un fatto noto da almeno un decennio, ma che, sorprendentemente, solo da poco sta ricevendo la dovuta attenzione).

Quando internet non sarà più una prateria unica, su cui tutti possono scorrazzare a piacimento senza regole e senza rispetto per gli altri, certi problemi che ora infiammano gli animi, come l’hate speech (i discorsi d’odio), finiranno per appassire. Se mandare una mail o postare un messaggio avrà un costo, succederà quel che succede in tutti i campi in cui le risorse non sono illimitate: la scarsità delle risorse indurrà un loro uso più razionale, o semplicemente meno smodato.

Ma nel frattempo? Nel frattempo come facciamo a difenderci dagli scocciatori e dagli odiatori?

Sugli scocciatori non ho idee. Temo che, come nella vita è quasi impossibile liberarsi di uno scocciatore, lo stesso valga per internet e più in generale per lo spazio pubblico (ad esempio gli stadi): lo spam, l’iper-comunicazione e il tifo sono quasi impossibili da schivare. Ma sugli odiatori, sui malati di aggressività e di cattiveria, una modesta proposta per difenderci ce l’avrei. Per illustrarla, però, devo partire da una triplice osservazione: primo, il grosso dell’odio si concentra su personaggi pubblici che, per una ragione o per l’altra, sono divenuti simboli di qualcosa; secondo, quando un personaggio pubblico è sotto attacco, i media danno un enorme risalto ai messaggi che lo riguardano; terzo, la diffusione sui media dei messaggi d’odio spinge altri odiatori a imitarli, entrando a loro volta in campo, .

Ed eccomi alla proposta. Se vogliamo frenare la circolazione dell’odio, innanzitutto in rete ma non solo, la prima regola dei media dovrebbe essere: negare lo spazio. O, se preferite: non farsi strumentalizzare. Perché è un po’ ipocrita indignarsi per la volgarità della comunicazione pubblica quando ci si presta quotidianamente a farle da megafono. E’ un circolo vizioso: i malati d’odio aspirano alla notorietà, ossia precisamente a ciò che gli autorevoli censori dei loro discorsi quotidianamente concedono loro. Per un odiatore non è importante colpire il personaggio che odia, ma fare un salto di status grazie a un articolo su una quotidiano nazionale o a un servizio di un telegiornale. I media, spiace dirlo, sono i complici più utili degli odiatori. Come i tossicodipendenti, che manipolano gli psicologi raccontando loro quel che questi ultimi si aspettano, così gli odiatori manipolano i media dando loro in pasto materiale che i media stessi – immancabilmente – non resistono alla tentazione di pubblicare e fare oggetto di “dibattito”.

Perché? Dovere di informare l’opinione pubblica?

No. Allo stato attuale non ci sono strumenti per stabilire in modo obiettivo dove stia andando il “fiume immondo” del web (così Massimo Cacciari nell’ultimo film di Elisabetta Sgarbi, Vaccini, nove lezioni di scienza). Tutto dipende dalle piattaforme che si monitorano, dalle parole-chiave che si utilizzano, dai periodi di tempo che si analizzano. Non c’è alcun valore aggiunto, non c’è alcuna vera notizia, solo la stessa immota verità: sul web operano impunemente “legioni di imbecilli” (così li chiamava Umberto Eco).  E allora perché pubblichiamo e dibattiamo di tutto?

La realtà, temo, è che l’unica vera bussola del mondo dei media è suscitare emozioni, possibilmente quelle che favoriscono la propria parte politica. E’ questo che rende irrefrenabile l’impulso a pubblicare di tutto, anche se il pubblicarlo alimenta il male che si finge di voler combattere. Ed è per questo la mia modesta proposta – tacere – non potrà essere ascoltata.

Con questo non voglio dire che il silenzio, il rifiuto di dare visibilità alla miseria umana, sia l’unica via per combattere odio, disprezzo, volgarità. C’è almeno un caso in cui l’informazione, la discussione, anche l’indignazione, sono legittime, se non doverose. Questo caso è quello in cui un personaggio pubblico, che ha fama, visibilità, potere, responsabilità, viola le regole minime del vivere civile, che sono fatte di rispetto, sensibilità, capacità di ascolto. In questi casi è bene parlare, perché l’odio o il disprezzo manifestato da chi ha più potere o più voce degli altri non sono neutralizzabili semplicemente ignorandoli, ma richiedono una risposta ferma.

Il punto delicato è solo questo: dobbiamo dare una risposta, ma dobbiamo darla a 360 gradi. Non si può trovare inaccettabili le cadute di stile dei nostri avversari, e sorvolare su quelle dei nostri amici, qualsiasi cosa ciascuno di noi intenda per avversari e per amici.

Per quanto mi riguarda sono stato profondamente colpito da gesti come quello di Matteo Salvini, quando ha tenuto un comizio esponendo una bambola gonfiabile che rappresentava Laura Boldrini, o quando ha commentato la sentenza di condanna degli uccisori di Stefano Cucchi con la frase “la droga fa male”.  Ma altrettanto mi ha turbato la campagna di odio di alcuni media e di alcuni intellettuali verso Salvini, dipinto ora come non-uomo, ora addirittura come “bestia”. E ancor più mi ha sconcertato che un sedicente “artista” non abbia trovato di meglio che esporre un’opera d’arte (?) che raffigura Salvini stesso mentre spara a due immigrati-zombie, quasi che questa fosse la proposta politica della Lega in materia di immigrazione.

Finché non capiremo questo, e cioè che chi ha responsabilità pubbliche non può cavalcare la disumanizzazione dell’altro, ogni speranza di neutralizzare l’odio che circola in rete non potrà che andare delusa. Perché è la nostra faziosità che ci fa vedere il “fiume immondo” di internet non come qualcosa che possiamo sconfiggere ignorandolo, ma come una riserva infinita di strali con cui colpire i nostri avversari.

Pubblicato su Il Messaggero del 2 dicembre 2019
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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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