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Pirati per necessità

1 Aprile 2019 - di Luca Ricolfi

PoliticaSocietà

Nei giorni scorsi un mercantile turco, che aveva tratto in salvo oltre centro naufraghi al largo della Libia, è stato dirottato (verso Malta) da alcuni di coloro che aveva messo in salvo. Ora, grazie all’intervento delle forze armate maltesi, i dirottatori sono agli arresti, mentre gli altri naufraghi sono ospitati nei centri di accoglienza maltesi. Non appena si è capito che la vicenda non avrebbe interessato direttamente l’Italia ma avrebbe toccato solo Malta, l’eco della notizia si è però rapidamente spento sulla maggior parte della grande stampa. Non saprei se la ragione sia il provincialismo, che fa sembrare rilevanti solo le notizie che riguardano l’Italia, o sia più semplicemente il timore di mettere in cattiva luce i migranti (da poveri naufraghi a dirottatori), ma resta il fatto che di quella vicenda si parla poco. Ed è un vero peccato, perché proprio il fatto che, finalmente, noi non c’entriamo e il cattivo Salvini non ha alcun ruolo (se non quello di appioppare l’epiteto di “pirati” ai naufraghi), ci metterebbe nella condizioni ideali per fare una riflessione non troppo condizionata dall’emotività e dai pregiudizi ideologici.
Eppure questo tipo di riflessione è quanto mai urgente. L’avvicinarsi della bella stagione non può non moltiplicare i tentativi di entrare in Europa via mare, ed è gravissimo che l’Europa stessa non abbia una linea, o meglio abbia come unica linea quella di ritirare quel poco di controllo delle frontiere che aveva messo in piedi con l’operazione Sophia (ora sostanzialmente dismessa), lasciando all’Italia e a Malta il cerino acceso dei naufragi e degli sbarchi.
L’episodio del dirottamento mostra che ci troviamo, ormai, di fronte ad un problema insolubile nel quadro delle regole vigenti. La legislazione internazionale che impone il soccorso in mare e l’accompagnamento nel porto sicuro più vicino richiede non solo un accordo chiaro su che cosa si debba intendere per “porto sicuro” ma anche una disponibilità dei porti sicuri ad accogliere i naufraghi. E’ difficile sostenere, al tempo stesso, che dobbiamo aiutare la Libia a bloccare le partenze, ma non possiamo riportare in Libia i naufraghi salvati lungo le sue coste perché la Libia non è un approdo sicuro. Per non parlare dei porti della Tunisia, considerati sicuri o meno a seconda delle circostanze e dei punti di vista, e comunque tutt’altro che pronti a farsi carico dei naufraghi.
Ma supponiamo pure che, a un certo punto, si arrivi a stabilire quali porti sono sicuri e quali no, e persino che Francia, Spagna, Grecia e Cipro (gli altri paesi euro-mediterranei, oltre a Italia e Malta), aprano improvvisamente e generosamente i loro porti. Sarebbe una soluzione? Potremmo dire che l’Europa, non lasciando più “sole” Italia e Malta, ha finalmente capito il problema?
Temo che la risposta sia no. Una linea del genere, infatti, non farebbe che moltiplicare le partenze dall’Africa, arricchendo il business dei trafficanti. Naufragi programmati e dirottamenti si moltiplicherebbero: una volta affermato il principio che chiunque riesca a farsi salvare in mare, persino se dirotta o fa dirottare una nave, ha il diritto di essere condotto in Europa per fare una domanda di asilo (che nel 90-95% dei casi sarà respinta), il risultato non potrà che essere un aggravamento del problema degli ingressi illegali: accanto a una piccola minoranza di rifugiati, non potrà non crescere la massa degli irregolari, che già tante tensioni sta suscitando in quasi tutti i paesi europei.
Naturalmente si può obiettare che, in realtà, dovremmo accogliere tutti, che i mercantili devono essere pronti, all’occasione, a comportarsi come navi delle Ong, e persino assuefarsi al “dirottamento per necessità”. La ragione sarebbe che chi parte dalla Libia fugge da veri e propri campi di concentramento, come quelli dei nazisti.
Ebbene, forse è giunto il momento di dire chiaramente almeno due cose. La prima è che il principio dell’asilo politico è stato concepito, a suo tempo, per gestire casi individuali o di piccoli gruppi. Nessuno Stato può accettare il principio per cui basta provenire da un paese che non rispetta i diritti umani per acquisire il diritto di entrare in un paese democratico. Chi sostiene questo principio deve essere pronto a portarlo alle estreme conseguenze, prima fra tutte la circostanza che sono alcuni miliardi le persone che potrebbero pretendere di usufruire di questo diritto. Un discorso analogo vale per l’obbligo di salvataggio in mare, un nobile principio che fu concepito senza immaginare che un giorno sarebbe stato sfruttato dai trafficanti di uomini per pianificare viaggi pericolosi, che senza la prospettiva del soccorso in mare non sarebbero stati intrapresi.
La seconda cosa che vorrei dire è che dovremmo avere un po’ più di rispetto per gli ebrei e per tutte le vittime della ferocia nazista. La narrazione per cui sui su barconi e gommoni ci sarebbero essenzialmente persone fuggite dai campi di prigionia del governo libico, dipinti come lager nazisti, è incompatibile con quel poco che si sa dei flussi migratori che alimentano le traversate del mediterraneo. La maggior parte dei resoconti su torture, stupri, vendita come schiavi, sequestri a scopo di estorsione non riguardano i campi governativi (sicuramente non degni di un paese civile), ma provengono dalle testimonianze di persone che sono state catturate e imprigionate in campi di prigionia completamente illegali, gestiti dai signori della guerra che spadroneggiano sul suolo libico, specie nel sud e al confine con il Niger. E’ qui, a quel che risulta da molte testimonianze, che si consuma il vero dramma dei migranti: chi ha abbastanza soldi per pagare viaggio e traversata tenta di arrivare sulla costa (spesso dall’Africa subsahariana), ma una volta arrivato nel sud della Libia viene sequestrato e portato in campi illegali, dove i trafficanti di uomini gli estorcono altro denaro, per lo più ricattando le famiglie. E questo traffico, con il carico immane di violenze che porta con sé, è alimentato precisamente dalla possibilità di attraversare il mediterraneo, grazie al combinato disposto di scafisti, Ong, navi mercantili costrette a salvare i naufraghi, ed ora anche a portarli dove vogliono loro.
Forse, più che dividerci fra buoni e cattivi sulle politiche migratorie, sarebbe il caso di prendere atto che nessuno, né l’Europa assente, né il crudele governo giallo-verde, né la sinistra dura pura e generosa, sono ancora stati capaci di trovare una soluzione non dico ragionevole (perché probabilmente una tale soluzione non esiste), ma anche solo decente a questo dramma dei nostri tempi.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 30 marzo 2019

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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