Il fantasma del pluralismo
Anni fa a un imam, residente nel nostro paese, venne fatta la domanda: “Perché volete la moschea a Roma, sede del Vicario di Cristo, e non consentite che si edifichi una Chiesa a La Mecca o a Medina?”. La risposta fu perentoria:” Noi islamici adoriamo il vero Dio, non possiamo quindi ammettere che si veneri un idolo!”. Si può sorridere dell’ingenuità dell’imam solo a patto di dimen-ticare che anche de nobis fabula narratur. La nostra cultura politica, infatti, è stata segnata da un universalismo (cattolico e illuministico) che ripugna a quel sano scetticismo, antico e moderno, che da Pirrone porta a Montaigne a David Hume, a Isaiah Berlin.. Per questo stile di pensiero, la verità è unica e sta da una sola parte: la Chiesa è il porto della salvezza del genere umano o, al contrario, è la costruzione di uno dei tre impostori (Mosè, Cristo, Maometto) di cui parlava il barone d’Holbach: tertium non datur. Oggi, in Italia, è lecito, e per alcuni doveroso, manifestare contro il ‘genocidio’ israe-liano sventolando la stessa bandiera della copertina del libro di Filippo Kalomenidis, La rivoluzione palestinese del 7 ottobre, ma a sventolare quella israeliana – in una manifestazione che ricordi il più atroce massacro di ebrei, dopo quello nazista – si corre il rischio di essere malmenati o aggrediti (prudentemente, le questure invitano gli ebrei italiani ad astenersi dal fare pubblicità alle loro iniziative). E’ il caso di dire che nel nostro paese la pianta del pluralismo è rinsecchita: siamo tutti pluralisti a parole ma siamo tutti convinti, del pari, che le nostre idee siano dettate dalla coscienza morale mentre quelle dei nostri nemici siano farina del demonio. Frutto di questa ‘barbarie della mente’ è l’ostracismo dato, sui grandi giornali e canali televisivi (pubblico e non), al principio delle due campane, che impone di sentire sempre le ragioni dell’altro. Siamo “un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”, diceva quel tale. Avrebbe dovuto aggiungere “..e di inquisitori!”. Con l’aggravante che a decidere chi debba essere inquisito e messo a tacere non sono le istituzioni dello Stato di diritto, ma i ‘movimenti’ che nascono dal basso e si fanno portavoce degli ideali di giustizia dei popoli.
Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche, Università di Genova
dino@dinocofrancesco.it
[articolo uscito il 14 ottobre su IL GIORNALE DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA]