A proposito di gender gap – Le ragazze e la matematica

Non è la prima volta che, da quando esistono i test internazionali PISA sul livello degli apprendimenti degli studenti, viene denunciato il gender gap in matematica, ossia il fatto che il punteggio delle ragazze sia sistematicamente inferiore a quello dei ragazzi. Una denuncia che ha preso ulteriore vigore quest’anno, quando si è appreso che in nessun altro paese avanzato il gender gap è alto come in Italia. Legioni di commentatori e soprattutto commentatrici si sono esercitate a denunciare gli stereotipi di genere, i luoghi comuni, i pregiudizi che, convincendo le ragazze di non essere portate per la matematica, alimenterebbero vissuti di insicurezza, ne aumenterebbero l’ansia di fronte ai test, le convincerebbero ad evitare le carriere scientifiche (lauree STEM), e le indirizzerebbero verso percorsi di studio svalutati e alla fine poco gratificanti, come l’insegnamento.

Io trovo tutto questo abbastanza umiliante per le studentesse, e per le donne in generale. Alla radice di queste analisi vi è, infatti, una idea della donna come soggetto passivo, condizionabile, e in definitiva privo di autonomia. Una visione non nuova nelle scienze sociali, dove un’intera disciplina (la sociologia) è cresciuta nel segno della “concezione ultrasocializzata dell’uomo”, una teoria che sottolinea il potere dei condizionamenti dell’ambiente sociale, lasciando ben pochi gradi di libertà all’agire umano. Ma una visione nuovissima nell’accanimento con cui, forse anche sotto la spinta emotiva del dibattito sui femminicidi, si ostina a descrivere le giovani donne come vittime dell’educazione (patriarcale) ricevuta, incapaci di perseguire i propri interessi e di effettuare scelte veramente libere.

Se fossi una donna, non dico che mi sentirei offeso (sono già troppe, e troppo stupide, le ragioni per cui quotidianamente ci offendiamo), ma certo mi sentirei mal descritto, e trattato con poco rispetto. E questo per diverse ragioni.

Primo, è abbastanza umiliante che, ogniqualvolta una donna compie una scelta tradizionale, come sposarsi, avere figli, fare l’insegnante, lavorare part-time o non lavorare, scatti il pregiudizio per cui tale scelta sarebbe frutto di condizionamenti, a partire dai ruoli appresi nei primi anni di vita attraverso i giochi ricevuti, gli abiti indossati, i modelli trasmessi dalla famiglia. È vero, la sociologia – maschile e conservatrice – della tradizione funzionalista la mette proprio così, ma ci sono robuste evidenze che le cose possano stare diversamente, e che certe scelte delle donne spesso riflettano le loro genuine preferenze, in parte legate a ovvi fattori biologici (segnalo in particolare i lavori della sociologa Catherine Hakim sulle preferenze femminili). Un conto è battersi per rimuovere i vincoli (ad esempio la carenza di asili nido) che limitano la libertà delle donne, un conto è rappresentare la donna come una vittima-succube-marionetta, le cui credenze, preferenze e scelte di vita avverrebbero nel segno di pesanti condizionamenti culturali. Perché non si prende mai in considerazione l’ipotesi più semplice, e cioè che a tante donne certe attività, certe professioni, certe carriere (ad esempio quella politica), interessino meno che agli uomini?

Secondo, è strano che lo stigma dell’handicap, dell’inadeguatezza, e della necessità di ri-orientamento, sia riservato alle donne, e che i maschi ne siano sostanzialmente esenti. Perché drammatizziamo il gap in matematica, sfavorevole alle ragazze, e non diciamo nulla sul gap in lettura, in cui sono i ragazzi a essere molto indietro rispetto alle ragazze?

Ma direi di più: come mai nessuno tematizza il drammatico ritardo culturale globale dei maschi, che abbandonano gli studi prima delle ragazze, faticano a laurearsi, e hanno quasi sempre risultati di apprendimento inferiori? È forse perché i maschi non sono considerati una categoria protetta?

C’è anche una terza ragione, però, per cui – se fossi una donna – sarei molto arrabbiata. Ed è che nessuno ha preso in considerazione l’ipotesi che il nostro (di noi donne) handicap in matematica sia dovuto al fatto che né i test Pisa né i test Invalsi misurano davvero la capacità matematica, che è innanzitutto capacità di astrazione e deduzione.

Basta esaminare il contenuto (e il formato a quiz!) delle batterie di domande, per rendersi conto che misurano prevalentemente altre abilità, di tipo più pratico, tecnico, calcolistico. Se misurassero davvero l’abilità matematica, forse l’handicap sparirebbe.

Forse?

No, non “forse”, ma quasi certamente. Grazie al Ministero dell’Istruzione e del Merito ho potuto analizzare i dati degli esami di 3a media, e il risultato è sconcertante per i teorici del gender gap: il gap esiste, ma è a favore delle ragazze, che vanno meglio dei ragazzi in tutte le materie, compresa la matematica. E la superiorità in matematica si ripete regione per regione, a tutti i livelli della scala sociale, fra studenti italiani e stranieri, nelle scuole pubbliche e nelle scuole paritarie, negli scrutini e nell’esame finale di licenza media.

Possibile che gli insegnanti, che conoscono i loro allievi e li seguono lungo tutto l’anno, siano giudici meno capaci di un test computerizzato somministrato una volta soltanto?




Il gender gap in matematica – Un grande abbaglio?

Fra le notizie che hanno imperversato sui media la settimana scorsa vi sono i risultati dei test internazionali PISA sui livelli di competenza degli studenti all’inizio della scuola secondaria superiore.

Prendo qualche titolo a caso: “gli studenti italiani vanno peggio in matematica”, “il Covid penalizza gli studenti”, “la scuola italiana non sa insegnare matematica alle ragazze: Italia peggiore al mondo”, “quei nostri quindicenni in una scuola mediocre”, “studenti meno preparati dopo la pandemia”.

È da diversi decenni che denuncio lo stato pietoso e la inesorabile decadenza della scuola e dell’università italiane, quindi non sono certo stupito, disturbato o irritato dal catastrofismo di simili titoli. Il problema con queste indagini periodiche, però, non è di

capire come andiamo in generale (lo sappiamo da tempo), ma che cosa sta cambiando, se ci sono smottamenti o inversioni tendenza. Insomma, che cosa di nuovo rispetto al passato c’è nell’ultima indagine, condotta nel 2022, ossia nel primo anno di (quasi) dopo-Covid.

Ebbene, i dati PISA – se analizzati con attenzione – dicono tutt’altro.  Tanto per cominciare, in 2 materie su 3 (lettura e scienze) gli studenti italiani vanno meglio che nell’ultima indagine, del 2018. Le loro prestazioni erano in declino dal 2012, ma fra il 2018 e il 2022 (in un periodo fortemente condizionato dal Covid), sono migliorate. Nello stesso tempo, la media Ocse è peggiorata in entrambe le materie. Insomma, l’Italia si è mossa in controtendenza, e in una delle due materie (lettura) fa meglio della media dei paesi Ocse.

Le dolenti note sembrano provenire dalla matematica, dove effettivamente gli studenti italiani hanno accusato una perdita di 15 punti, ma si tratta di una variazione analoga a quella della media dei paesi Ocse: con 471 punti l’Italia risulta sostanzialmente allineata alla media Ocse (472).

Quindi fin qui i dati di fondo sono tre: il livello degli apprendimenti è in calo da un decennio (dal 2012) sia a livello mondiale, sia a livello europeo; il periodo del Covid ha confermato questa tendenza; la scuola italiana si è in parte sottratta al trend generale negativo.

Ma il dato che più è stato enfatizzato nei giorni scorsi è ancora un altro: il divario in matematica fra ragazze e ragazzi, già molto ampio nell’indagine del 2018, si è ulteriormente allargato, raggiungendo i 21 punti. Nell’indagine del 2022 nessun paese Ocse ha un divario così ampio, e in 3 paesi Ocse su 37 (Finlandia, Norvegia, Slovenia) il divario è rovesciato: le ragazze vanno meglio dei ragazzi.

Di qui, da parte dei commentatori, una serie di filippiche contro le (presunte) cause del divario, che dipenderebbe da ogni sorta di stereotipi e luoghi comuni, i quali – convincendo le ragazze di non essere “portate” per la matematica – ne indebolirebbero l’autostima e le incentiverebbero a investire su altre materie, in particolare quelle umanistiche.

Naturalmente, in mancanza di studi approfonditi sulle determinanti effettive del gender gap, ognuno può tenersi le opinioni che preferisce. Io mi limito ad osservare che il gap rilevato dalle indagini Ocse certamente c’è, ma non può essere un gap in matematica. E questo per almeno due buone ragioni. Primo, i test Pisa, come i “cugini” test Invalsi, sono notoriamente “gender biased”, ovvero distorti a favore dei maschi (più inclini alle domande a crocette somministrate via computer). Secondo, basta un esame attento del contenuto delle domande, per rendersi conto che l’abilità che rilevano non è certo la capacità di deduzione e astrazione tipica della matematica, ma semmai un miscuglio di abilità pratiche di calcolo, lettura di grafici, soluzione di problemi concreti.

E se fosse che le ragazze vanno male ai test invalsi proprio perché sono brave in matematica, e non nella materia-ircocervo – né statistica, né matematica – dei test PISA?

È solo un’ipotesi, ma ha un sostegno empirico potente in un dato statistico inoppugnabile: alla fine della 3° media, ovvero a un’età (14 anni) prossima quella dei test PISA (15 anni), i voti in matematica delle ragazze sono superiori a quelli dei ragazzi. Forse, è tempo di prendere congedo dalla religione dei test.




M: la lettera più importante dell’acronimo STEM. Sta per Matematica

Quasi fosse una parola magica in grado di mutare, come la pietra filosofale, ogni vile metallo in oro, l’acronimo STEM, ormai massicciamente usato anche nel nostro italico idioma, viene evocato in pressoché tutti i documenti emessi da importanti istituzioni internazionali (quali le Nazioni Unite con l’Agenda Vision 2030 per lo sviluppo sostenibile) a cui, almeno sulla carta, stiano a cuore le tematiche della cooperazione con i paesi, cosiddetti, in via di sviluppo.

Per chi non lo ricordasse,  STEM sta per Science, Tecnhology, Engineering e Mathematics, un quadrinomio che ha tutto il piglio della via maestra che presiede all’elaborazione di progetti di sviluppo solidi e sostenibili.  E’ anche latore, però, di  un messaggio che, a volerlo leggere attentamente, non può non suscitare curiosità e attenzione. Che la prima lettera dell’acronimo stia per Scienza va bene, è ragionevole, ci mancherebbe altro. Un po’ vago, magari o, eventualmente, troppo onnicomprensivo.  La T di Tecnologia, anch’essa imprescindibile,  sembra tuttavia voler fare il paio con la E di ingegneria, suggerendo un non so che di ridondante, non foss’altro per una approssimativa tendenza ad assimilare l’una all’altra, dato che la tecnologia attinge alll’ingegneria e questa da quella in una mutua simbiosi la cui efficacia, nel bene o nel male, è sotto gli occhi di tutti. Sorprende quindi che, a fronte di una certa qual vaghezza di significato delle prime tre iniziali, l’ultima di STEM, la M,  indichi con accurata precisione la  Matematica. Si badi. Non fisica, non  biologia o non, persino, medicina che, forse, anzi sicuramente,  già sono state pensate, e riassunte, nel più onnicomprensivo Scienza. Bensì matematica.  Che pure scienza è, ma che è richiamata quasi come se estratta dalla sua propria nicchia, fuori dalla repubblica popolata dalle proprietarie delle prime tre iniziali, come per distinguerne un ruolo che vuol sapere molto più di strategia piuttosto che di quella tattica spicciola con cui ci si illude di  poter fomentare l’innovazione con interventi calibrati sul breve periodo.

Tutto ciò non è casuale, naturalmente,  e non solo perché,  come si dice, “la Matematica è dappertutto”,  un pur innegabile dato di fatto. Dai codici a barre a quelli QR  (felici applicazioni della sofisticata teoria dell’omologia persistente), ai PIN delle nostre carte bancarie, dalla teoria dei Big Data agli studi sulla formazione del consenso, la matematica ha invaso ogni piega della vita delle donne e uomini moderni. Per non parlare, ancora,  dei motori di ricerca che rendono così agevole, al modico prezzo di cessione di risibili, si fa per dire, porzioni della nostra “privacy”, l’accesso ai vari contenuti della rete che, già da una ventina d’anni, è divenuta un  “sistema complesso” nel suo più rigoroso senso matematico.

C’è dell’altro, però, su cui potrebbe ragionarsi, a proposito della M di STEM.  Qualcosa certamente non sfuggito agli studiosi o politici impegnati a confezionare ricette di ripresa economica e progresso sociale.

Primo, la matematica è, tra tutte le scienze, quella più affine alle discipline, cosiddette, umanistiche, come provano decine e decine di esempi di grandi scrittori evidentemente soggiogati dal suo fascino. E non occorre risalire a Dante, col suo Euclide Geomètra tra gli Spiriti Magni del Nobile Castello del Limbo. Basti pensare alle immortali pagine sulla geometria non euclidea dei “Fratelli Karamazov” di Dostoeevski. O all’uomo senza qualità di  Robert Musil. il cui protagonista matematico altro non è che un  “Giovane Torless”, l’adolescente sbalordito dai numeri complessi, che, giunto a maturità, lascia che l’entusiasmo ceda il passo ad una osservazione disillusa del mondo. Si può ancora pensare al Borges della Biblioteca di Babele, o al Joyce nelle ultime pagine del capolavoro Dedalus che, artificialmente, conclude una lista che potrebbe naturalmente allungarsi.

Secondo,  a fronte dell’altissima qualità in termini di contributi alla formazione di know-how e di stimolo all’innovazione tecnologica, la Matematica è la disciplina che può essere praticata più a buon mercato. Alla stragrande maggioranza dei matematici professionisti, e inizianti!, non occorre nulla più che un foglio di carta e una penna o una lavagna e un gesso. A supporto di tale tesi, si legga per esempio “La ruota e il ruotino: perche la didattica a distanza non è la soluzione”, di Andrea Ricolfi, il cui grido di allarme e di avviso si leva per scongiurare l’abiura della tradizionale pratica in favore del “digitale è bello”, cavalcato maldestramente durante la pandemia.

La Matematica, per farla breve, non richiede  gli investimenti necessari per allestire una stazione spaziale o fabbricare un acceleratore di particelle.  Al tempo stesso è irrinunciabile. Non si otterrebbero risultati migliori, in un’economia giovane, preferendole un prodotto più caro e più sofisticato, tanto  essa  già finemente lo è, senza rinunciare ad essere “popolare”, cioè a buon mercato, come era ieri, come è oggi e come sarà domani.

Di qui l’importanza che, in via teorica, si attribuisce allo sviluppo della cultura matematica  per la crescita delle economie giovani come, per esempio, quelle dell’Africa subequatoriale che, tra l’altro, non hanno ancora scongiurato il rischio di vedersi catapultare in una crisi alimentare creata artificialmente, innescata da un conflitto, quello Russo-Ucraino, che pur si consuma in aree geograficamente molto distanti.

Il ruolo strategico della matematica per lo sviluppo delle aree depresse del pianeta è un dato ormai così acquisito da attirare investimenti di importanti società scientifiche come l’Unione Matematica Internazionale (IMU) e la London Mathematical Society che, in collaborazione con il prestigioso African Millennium Mathematics Science Initiative (AMMSI), con sede a Nairobi, già da qualche anno  ha lanciato il programma MARM (Mentoring African Research in Mathematics),  affidato sin dall’inizio all’autorevole e mirabile guida del professor Frank Neumann dell’Università di Leicester (UK). Lo schema funziona press’a poco così. Il consorzio LMS-IMU-AMMSI pubblica un bando con cadenza annuale, raccogliendo la disponibilità di matematici professionisti attivi in tutto il mondo ad assumere la mentorship (come si direbbe in italiano? Google dice “tutoraggio”, ma non rende l’idea) di un dipartimento di matematica di uno stato africano tra queli indicati dal bando stesso. Il matematico designato, e assegnato ad una specifica realtà, ha dunque il compito  di agire in modo da innescare un circolo virtuoso, contribuendo a formare un clima di vivacità scientifica che, come si è detto, si può ottenere al prezzo di sole interminabili (e divertenti!) discussioni con gesso e lavagna, che possa perpetrarsi anche, e soprattutto, dopo il termine del mandato del mentor. Nell’ultimo round la London Mathematical Society ha selezionato la Namibia (responsabile locale: Martin Mugochi), il Senegal, l’Etiopia e la Costa D’Avorio (https://www.lms.ac.uk/grants/ mentoring-african-research-mathematics) quali beneficiari del programma. Il Progetto MARM ha inoltre sostenuto, con un contributo finanziario, l’organizzazione, da parte della  National Commission for Research, Science and Technology (NCRST), della  Prima Olimpiade di Matematica della Namibia, un primo piccolo passo per avviare giovani talenti a partecipare alle competizioni regionali e internazionali.

  Val la pena di ricordare che molte Fields Medals (come se fossero i premi Nobel per la matematica) sono state vinte da campioni alle olimpiadi internazionali di matematica.  Un esempio nostrano: Alessio Figalli nel 2018, che vinse le Olimpiadi di Matematica al termine della sua formazione classica in un rinomato liceo di Roma.

Per rafforzare e consolidare i buoni risultati ottenuti con l’implementazione delle Olimpiadi di matematica è bene ricordare, argomento sul quale si ritornerà più avanti, che il 24 Ottobre prossimo si aprirà ufficialmente la prima edizione della Scuola Internazionale Primaverile di Matematica della Namibia, NAISSMA2022, sotto l’egida della London Mathematical Society, del Politecnico e dell’Università di Torino,  dello stesso NCRST e con l’Alto Patrocinio dell’Ambasciata d’Italia a Pretoria (competente anche per  il territorio namibiano), la quale garantirà la sua presenza con la partecipazione del Professor Pierguido Sarti, astrofisico, e Addetto Scientifico presso la Rappresentanza Diplomatica. Del resto l’appoggio diplomatico non è nuovo, poiché già si era materializzato nel corso del primo meeting MARM-NARM (From Mentoring to Networking African Researchers in Mathematics), che al saluto augurale del Primo Segretario di legazione Giulia Casagrande ha aggiunto il  mirabile intervento “International Cooperation. The Italian Way” del professor Pierguido Sarti, una specie di suggeritore occulto che ha sollecitato l’organizzazione e realizzazione diuna scuola internazionale di matematica in Namibia, con forte forte coinvolgimento europeo. NAISSMA2022, appunto.

La rappresentanza diplomatica, confermando la propria sensibilità e lungimiranza  e incarnando nei fatti lo spirito di cooperazione, ha erogato un sostanzioso contributo per l’acquisto dei premi (tablets, libri) da assegnare ai giovani vincitori delle Olimpiadi. Inoltre, quasi come per apporre un  sigillo  all’iniziativa, la cerimonia di premiazione ha visto la convinta ed entusiastica partecipazione della Vice Ambasciatrice Silvia Marrara che, a conclusione del suo intervento (il cui integrale può essere ascoltato attraverso la registrazione della diretta facebook dell’evento), ha affermato che: “In a world that is more and more looking at the new frontiers of the artificial intelligence, let me however to remind you that everything starts with human intelligence and that math sciences are the food for our next generation thoughts. Finally to conclude I would love  to mention Leonardo da Vinci, who said: “The one that fall in love with practice without science are like captains of a ship without a compass. They will never be sure of where they are going”.

Parole certamente opportune, otreché appropriate, per concludere questo articolo.  Non solo in quanto, provenendo da un non matematico, sono esenti da possibili (ma innocui) conflitti di interesse, ma anche perché, allo stesso tempo, fungono da suggerimento autorevole, ancorché  indiretto e magari non intenzionale,  per  future politiche scientifiche che possano consentire al nostro Sistema Paese di non rimanere troppo indietro in tempi resi incerti da una possibile prolungata austerità.

Letterio Gatto

Progetto MARM NAMIBIA

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