Una parola al giorno

Tra i molti libri che ho ricevuto in dono e mi sono io stessa regalata per Natale, vorrei indicarne uno. Non è un romanzo, non è un saggio, non è scritto da giornalisti, attori, calciatori, quindi non so quanto sia stato scelto come strenna (naturalmente mi auguro lo sia stato, e lo sia ora nel Nuovo Anno, moltissimo): è il Dizionarietto di greco, scritto da due docenti di greco, Paolo Cesaretti e Edi Minguzzi (ELS La Scuola). Il sottotitolo è splendido: Le parole dei nostri pensieri.

Già, il greco è una lingua pensante. Forse lo sono tutte, ma il greco lo è di più e, per noi, lo è prima delle altre. “Come nessun’altra lingua il greco è stata ‘la macchina per pensare’ privilegiata dell’Occidente, in ogni sfera del sapere e dell’esperienza”, dicono gli autori nella Premessa.

Le parole sono sempre così, in fondo: sono pensieri condensati, rappresi. Ogni parola un pensiero, che abbiamo avuto, e che non sappiamo più di avere. Le parole italiane che derivano dal greco ci fanno pensare al nostro inizio, e alla storia che poi è seguita. Hanno dentro la Storia.

Credo che sarebbe bello regalarci una parola al giorno, per tutto l’anno.

Ne scelgo una a caso, “epoca”. Da epoché, che vuol dire sospensione. Noi oggi usiamo “epoca” per dire un periodo di tempo, compreso tra due date, in genere. Ma ha anche altri significati, in altri ambiti. Leggo dal Dizionarietto che per gli Scettici era “un atteggiamento della mente per cui non si sceglie né si rifiuta”, premessa indispensabile per l’atarassia, l’imperturbabilità. Non si sceglie e non si rifiuta…. Bellissimo. E difficile. A quale prezzo? Mettersi fuori, aspettare, rimanere in un tempo sospeso: oggi, per noi, forse, una grande tentazione…

Ho incontrato per la prima volta la parola “epoché” in una poesia di Montale, molto nota. Ho imparato lì cosa vuol dire, quando da giovane leggevo per la prima volta le sue poesie. È all’inizio di Satura, in Botta e risposta I. C’è un’interlocutrice immaginaria, che scrive al poeta chiamandolo col suo alter ego Arsenio: “Arsenio – lei mi scrive – io qui ‘asolante’/ tra i miei tetri cipressi penso che/ sia ora di sospendere la tanto/ da te per me voluta sospensione/ d’ogni inganno mondano; che sia tempo/ di spiegare le vele e di sospendere l’epoché”. La donna rimprovera al poeta il suo immobilismo, il suo “torpore di sonnambulo”; lo sprona a tornare ad affrontare il mondo, sospendendo… la sospensione, anche se il momento storico sembra non essere roseo, propizio: la negatività del momento non può valere da giustificazione: “Non dire che la stagione è nera ed anche le tortore/ con le tremule ali sono volate al sud”.

Credo che questa parola ritrovata grazie al Dizionarietto di greco aiuti tutti noi, nell’Anno Nuovo, ad affrontare il mondo. Può darsi che la stagione sia nera. Ma saremo chiamati a scelte, a giudizi. Votare, per esempio… Non so come faremo. Ma vorremmo… spiegare le vele.

Leggi qui la prima storia delle feste

Articolo pubblicato il 31 dicembre 2017 su Il Sole24Ore