Sacko: lettera aperta al Dubbio (rivolta anche a Giuliano Ferrara)

Caro Direttore, ho letto con commossa, profonda, adesione il tuo editoriale “Hanno fucilato un negro in Calabria? Beh, che vuoi: sono cose che succedono”. Qualche perplessità solo sull’insistita ironia sulla frase di Matteo Salvini «è finita la pacchia». Il leader leghista non mi è congeniale, non ho mai votato per lui né prevedo di farlo in futuro, ma credo che la pacchia si riferisse agli scafisti e alle organizzazioni che hanno fatto dell’immigrazione un business. Comunque non è questo il punto e non voglio certo fare il difensore d’ufficio (non ne ha bisogno) del ministro dell’Interno, azzannato ormai da tutti i giornali – dell’establishment e non.

Vorrei invece richiamare la tua attenzione su un fatto tanto preoccupante quanto indecente ovvero sul buonismo gratuito e irresponsabile diffuso nel nostro paese – e sicuramente più a sinistra che a destra, più tra i cattolici che tra i vecchi e sopravvissuti laici non laicisti. Siamo il paese dell’accoglienza generosa e disinteressata, della mensa del convento aperta a tutti ma poiché il liberalismo è una pianta che da noi non ha mai allignato ci guardiamo bene dal porci la domanda, fondamentale per un amico della “società aperta”: «chi paga?» (Ricordi il saggio di Milton Friedman, Nessun pasto è gratis?). Da una parte, le dottrine sociali della Chiesa-per definizione diffidenti verso ogni comunità chiusa come, indubbiamente è, e non può non essere, lo Stato nazionale-dall’altra, il diritto cosmopolitico dei maîtres-à-penser alla Luigi Ferrajoli, hanno diffuso un’etica pubblica che demonizza ogni diritto a tutelare il proprio spazio geografico e culturale, a “chiudere le porte” agli altri. Naturalmente fanno eccezione le porte della nostra abitazione: siamo tutti fratelli ma nella casa comune dello Stato, dove a “pagare” non siamo noi ma la “collettività”; a casa nostra entriamo solo noi.

Ai poveri diseredati del continente nero, diciamo, “crescete e moltiplicatevi” e se volete venire da noi, le “ragioni umanitarie” non ci consentiranno di ricacciarvi indietro. Posto ce n’è sempre per tutti: le porcilaie sono ampie e spaziose e tra i rifiuti dell’ “uomo bianco” si trova sempre di che sfamarsi. (Quante volte, sotto casa, non ho visto extracomunitari rovistare nella spazzatura…). Leggerezza, superficialità irresponsabilità sembrano essere divenute le nuove qualità degli Italiani, sempre pronti a indignarsi contro i paesi che regolano i flussi migratori (che fascisti gli Stati Uniti quando limitavano quello proveniente dall’Europa orientale e dall’Italia!) dimenticando che, nel racconto biblico, il buon samaritano soccorreva il derelitto, curandogli le ferite, rifocillandolo, affidandolo a una casa amica.

A noi, per metterci il cuore in pace, basta soltanto non impedire lo sbarco. L’inferno che poi accoglierà le migliaia di profughi che fuggono guerre e fame di loro non ci riguarda.

In un bellissimo articolo sul Foglio, “Il martire Spoumayla Sacko e noi che, dal nostro tinello, ci prendiamo la colpa e lasciamo a quelli come lui la punizione” Giuliano Ferrara ha parlato giustamente di martirio – un termine spesso abusato ma questa volta più che pertinente. Condivido il lutto per l’episodio e vado oltre: perché in un paese in cui i monumenti ai politici rientrano nella logica del pirandelliano Vestire gli ignudi, non si eleva un monumento a Soumaya Sacko come a Jerry Massolo – il sindacalista nero ucciso nel 1989 a Villa Literno e che solo tu hai ricordato? Ferrara, però, chiude il suo articolo con la sua martellante polemica contro le «posizioni populiste di destra e di sinistra» che attribuiscono la tragedia calabrese «all’establishment, al sistema, alle elite». E qui non seguo più né il suo sarcasmo, né il tuo silenzio.

E chi dovremmo incolpare della morte di Sacko se non gli apparati pubblici e i governi di oggi, di ieri e dell’altro ieri? Quando mai hanno inviato ispettori del lavoro, forze dell’ordine, funzionari Asl nei recinti calabresi, siciliani, campani dei nuovi schiavi? Cosa hanno fatto per portare davanti ai tribunali i caporali e i loro datori di lavoro? Retate di polizia e processi e condanne esemplari hanno riempito le cronache nere dei quotidiani? Quando su certi giornali si descrivono le condizioni disumane (un eufemismo!) in cui vivono migliaia di africani, c’è sempre il sottinteso: «guardate a cosa portano la logica del profitto, il mercatismo, l’auri sacra fames?» Ci manca poco se i mali del presente non vengono riportati alla Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith e a quel capitalismo selvaggio al quale l’Occidente avrebbe venduto la sua anima.

Ai buonisti antimercatisti bisognerebbe consigliare la lettura di una straordinaria pagina delle Lezioni di politica sociale [1949] di Luigi Einaudi: «coloro i quali vanno alla fiera, sanno che questa non potrebbe aver luogo se, oltre ai banchi dei venditori i quali vantano a gran voce la bontà della loro merce, ed oltre la folla dei compratori che ammira la bella voce, ma prima vuole prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci fosse qualcos’altro: il cappello a due punte della coppia dei carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, col segretario ed il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l’avvocato a cui si ricorre quando si crede di essere a torto imbrogliati in un contratto, il parroco, il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna dimenticare nemmeno sulla fiera. E ci sono le piazze e le strade, le une dure e le altre fangose che conducono dai casolari della campagna al centro, ci sono le scuole dove i ragazzi vanno a studiare. E tante altre cose ci sono, che, se non ci fossero, anche quella fiera non si potrebbe tenere o sarebbe tutta diversa da quel che effettivamente è».

Nel meridione d’Italia non ci sono né carabinieri, né guardie municipali, né pretori ovvero ci sono ma le loro mani sono legate da camorra, mafia, ndrangheta. E questa «assenza della legge e dell’ordine» a chi si deve se non «all’establishment, al sistema, alle elite» che, assieme ai sindacati – operai e padronali – hanno sgovernato e massacrato il bel paese? Ormai termini come “populismo” e “sovranismo”, come già fascismo, stanno diventando gli spaventapasseri su cui riversare tutto il marcio che ci circonda. È lo stile ideologico italiano che non riusciremo mai a scrollarci di dosso: invece di chiederci se quanti avversiamo e certo non a torto— dai fascisti di ieri ai populisti di oggi– non abbiano, per caso, qualche buona ragione da far valere, preferiamo criminalizzarli, nel peggiore dei casi, ridicolizzarli, nel migliore, ma sempre relegandoli nella matta bestalitade da cui doverci guardare per non esserne contaminati.

ORMAI TERMINI COME “POPULISMO” E “SOVRANISMO”, COME GIÀ FASCISMO, STANNO DIVENTANDO GLI SPAVENTAPASSERI SU CUI RIVERSARE TUTTO IL MARCIO CHE CI CIRCONDA

Articolo pubblicato su Il Dubbio il 06 giugno 2018



L’Italia del dopo voto, intervista a Luca Ricolfi

Doveva nascere la terza repubblica e sembriamo tornati alla prima?

Non direi, nella prima non c’erano tre poli, ma un polo e mezzo (Pentapartito e PCI, con divieto di andare al governo).

Si intravede la possibilità di un governo di transizione con tutti dentro tranne il M5s, che ne pensa?

Che sarebbe un regalo ai Cinque Stelle.

Quali le urgenze da risolvere per questo nuovo esecutivo?

Produttività e occupazione, ovvero tornare a una crescita annua del 2-3%.

Che legge elettorale ci vorrebbe?

Tutto sommato, la meno peggio forse sarebbe una legge a turno unico, in cui la coalizione che prende più voti ottiene almeno il 51% dei seggi. Però qualsiasi legge elettorale, per funzionare bene, dovrebbe abolire il Senato, o quanto meno consentire un riparto dei seggi senatoriali su base nazionale, anziché regionale.

In alte parole: una legge elettorale decente non si può fare se prima non si ritocca la Costituzione. Su questo Renzi ha ragioni da vendere.

Ma quando si vota secondo lei?

Non lo so, ma penso che molto dipenda dal duo Salvini-Di Maio.

Perché l’accordo M5s-centrodestra non ha funzionato?

Perché Di Maio, come buona parte del popolo di sinistra, ritiene che Berlusconi sia radioattivo.

Si è palesato anche un esecutivo M5s-Pd e lei ha detto che si rischiava la secessione?

Non la secessione, che è ovviamente impossibile, ma un ritorno di spinte secessioniste, specie sul piano fiscale. E dato che i ceti produttivi stanno non solo al Nord ma anche nelle cosiddette regioni rosse, dove danno ancora il loro voto al Pd, mi aspetto che la risposta a un governo di “sinistra qualunquista” (quale io considererei un esecutivo Pd-Cinque Stelle) potrebbe vedere in piazza non solo il centro-destra ma anche quella parte del Pd che non vuole veder nascere un governo neo-assistenziale.

Cosa pensa del ritorno di Renzi?

Su Renzi sono ambivalente. Per certi versi continuo a non apprezzare la presunzione, il semplicismo, la mancanza di autocritica, nonché numerose scelte passate, come l’accoglienza indiscriminata, il bonus da 80 euro e le altre mance. Per altri versi, mi pare che, con pochissime eccezioni, il gruppo dirigente del Pd sia di levatura così modesta che persino un leader che, come Renzi, ha evidenti limiti di carattere e di comprensione della realtà, finisce per apparire come un gigante. Al momento, l’unico che mi pare aver qualche chance di risollevare le sorti del partito mi pare Matteo Richetti, su cui però so troppo poco per poter esprimere un’opinione meditata.

Quanto all’eventuale ritorno di Renzi credo sia prematuro. Se tornasse ora, ci sarebbe una mezza rivolta nel partito. Secondo me Renzi può tornare sulla scena solo in due modi: facendo un suo partito, o aspettando che il Pd, divorato dalle lotte intestine, lo richiami come salvatore della patria (un po’ come accadde a Veltroni anni fa, ma il precedente dovrebbe consigliare prudenza).

Il Pd è morto o solo tramortito? Che strada dovrebbe prendere e con chi?

Sicuramente è tramortito, ma molto difficilmente morirà in fretta. Sulla strada da prendere, molto dipende dagli obiettivi. Per conservare il potere, la strada maestra è una alleanza stabile con i Cinque Stelle: potrebbero aspirare al ruolo di “secondo partito della sinistra”.

Per conservare l’identità, invece, dovrebbero rinnovarsi molto, trovando il coraggio di cambiarla questa benedetta identità di sinistra. Per fare questo, però, ci vorrebbe un certo coraggio, perché al giorno d’oggi non è possibile né riproporre i modelli del passato remoto (come fanno i dinosauri di Leu), né i modelli del passato prossimo (la “Terza via” di Tony Blair). Fra il tempo della Terza via e oggi, infatti, ci sono state la Cina, internet, la crisi economica, l’esplosione dei flussi migratori, i progressi dell’automazione. Se non sa fare i conti con queste cose, la sinistra è morta.

E il centrodestra a trazione Salvini come lo vede?

Lo vedo in salute, ma penso che il declino di Forza Italia sia dannoso per il centro-destra. Se Forza Italia si lascia risucchiare dalla Lega, il consenso complessivo al centro-destra incontrerà inevitabilmente un limite connesso al fatto che ci sono ceti e individui che non voterebbero mai Lega, ma sarebbero pronti a sostenere un partito di destra classico, liberale e/o conservatore.

Il problema è che anche Forza Italia è sempre meno adatta a intercettare questo tipo di elettorato. In un certo senso Forza Italia ha il medesimo problema del Pd: se non vuole ridursi all’irrilevanza deve affrontare una lunga stagione di rinnovamento e autocritica.

Le Lega sembra l’unico partito ad affrontare il tema dell’immigrazione, come mai continua questo tabù sia per i problemi di integrazione sia per quelli di criminalità?

Perché tutti i partiti temono di urtare la Chiesa, il Papa, e più in generale il mondo delle persone “di buona volontà”, che sempre insorgono ogniqualvolta dalla rivendicazione dei diritti si passa all’indicazione dei doveri, specie se si osa pretendere che anche gli ultimi, o i presunti ultimi, rispettino le regole.

Analizzando il programma del M5s li trovava statalisti e ora ha detto che Di Maio ha perso voti dando l’impressione di equiparare Lega e Pd e di voler andare al governo a tutti i costi. Non sono loro il futuro della sinistra?

No, i Cinque Stelle sono una formazione qualunquista, che però effettivamente può evolvere in una specie di Podemos o di Syriza, cioè in una sinistra post-moderna, assistenziale e anti-mercato. Vedremo.

Mattarella ha detto che la disoccupazione giovanile è troppo elevata e che al sud la mancanza di lavoro ha proporzioni inaccettabili. Come inquadra questi problemi ed è sanabile la differenza nord-sud?

Non ci voleva Mattarella a dire quel che risulta da tutte le statistiche.  Quanto al divario Nord-Sud, se non l’abbiamo superato in più di 150 anni, una ragione ci sarà pure. E temo che quella ragione faccia parte delle cose che si possono pensare, ma è meglio non dire in pubblico: i cittadini del Sud hanno un’altra cultura, un’altra mentalità, altri valori, e quindi non vogliono vivere come noi del centro-nord. Io li capisco, e un po’ li invidio. Credo che la soluzione, l’unica vera e duratura soluzione, sia concedere piena autonomia al Sud. Nessuna secessione delle regioni del Nord, ma creazione di una grande area con istituzioni proprie, un fisco proprio, una politica economica propria. Culturalmente, ma anche sul piano dell’organizzazione economico-sociale, il centro-Italia è più simile al Nord che al Sud, dunque tanto vale che vi siano due italie libere di governarsi come desiderano, quella del Centro-Nord e quella del Sud, finalmente liberata dal giogo dell’unità nazionale.

Intervista a cura di Francesco Rigatelli pubblicata su Libero il 07 maggio 2018



Immigrazione, importiamo povertà

Se ne parla di meno di qualche mese fa, perché né il mare invernale né il ministro Minniti sonnecchiano. Ma l’immigrazione è sempre lì. L’immigrazione resta uno dei temi cruciali di questa campagna elettorale, tanto più dopo il corto-circuito dei giorni scorsi: una povera ragazza italiana morta in circostanze ancora poco chiare e fatta a pezzi da un nigeriano, e otto innocenti immigrati gravemente feriti da un italiano (un esaltato nostalgico di Mussolini), per vendicare il primo delitto.

In questo clima i temi dell’immigrazione e della sicurezza, recentemente sommersi dalla valanga delle promesse economiche, dalla flat tax al reddito di cittadinanza, sono tornati pienamente alla ribalta. Ma che cosa promettono i partiti in materia di sicurezza?

Ben poco, verrebbe da dire a scorrere i programmi del centro-destra e del Pd (volutamente trascuro i 5 Stelle, ondivaghi anche su questo). Anche se si tratta di due “ben poco” di natura diversa. Le promesse del centro-destra sono risolutive ma praticamente inapplicabili. Quelle del Pd sono applicabilissime, ma sfortunatamente non risolvono nessuno dei problemi fondamentali avvertiti dalla gente.

Per capire questa doppia inadeguatezza, è forse il caso di ricapitolare la situazione con qualche numero. Il dato più importante è che, nonostante le politiche di contenimento del ministro Minniti, gli sbarchi restano circa 6-7 volte più numerosi di quel che erano in passato, prima delle “primavere arabe”. A fronte di circa 150 mila sbarcati l’anno, il decreto flussi per il 2018 stabilisce che il numero di extra-comunitari che possono fare ingresso in Italia per ragioni di lavoro è di 30.850 persone, ovvero molto inferiore al numero di arrivi. I richiedenti asilo, che sono solo una parte di quanti entrano più o meno irregolarmente in Italia, sono circa 120 mila l’anno, di cui solo una piccola frazione (tra il 5 e il 10%) ottiene lo status di rifugiato e il relativo permesso di soggiorno. L’iter burocratico per ottenere dalle commissioni preposte e dai tribunali qualche tipo di risposta (positiva, negativa, o interlocutoria) è molto lungo, e altrettanto lo è la permanenza nelle strutture di accoglienza, non di rado fatiscenti, o inadeguate, o gestite in modo inappropriato.

Questo squilibrio fra l’entità dei flussi in arrivo e le nostre scarsissime capacità di filtrare e accogliere in modo ordinato, oltre a infliggere ingiuste sofferenze ai migranti, produce effetti sociali negativi, che in questi anni di crisi si sono aggravati, e spesso colpiscono più i ceti popolari che i ceti alti. Anche prescindendo dal tasso di criminalità relativo (gli stranieri delinquono 6 volte più degli italiani), che è una fonte permanente di tensione sociale, specie nelle periferie, non si possono ignorare due tendenze: il crollo del tasso di occupazione degli stranieri, e l’aumento del numero di famiglie straniere in condizione di povertà, che è in continuo aumento e ormai sfiora il 40% delle famiglie povere residenti in Italia, pur essendo gli immigrati solo l’8-9% della popolazione. Questo, in buona sostanza, significa che noi parliamo sì di accoglienza, ma ormai, non avendo né le risorse, né l’organizzazione, né i posti di lavoro necessari per una accoglienza vera, non facciamo altro che importare povertà. Un fenomeno che ormai si constata “a occhio nudo”, con la moltiplicazione dei modi e delle forme dell’accattonaggio, spesso praticato anche da giovani nel fiore dell’età.

Di questo ordine di problemi non vi è, nei programmi dei partiti, che una minima traccia. Il Pd, come più in generale la sinistra, semplicemente non li vede. Nel suo programma, oltre al solito auspicio a superare il Trattato di Dublino (che lascia la patata bollente degli sbarchi agli Stati di approdo) ho trovato solo due passaggi significativi. Il primo riguarda lo ius soli, e prevede di dare la cittadinanza ai “minori nati e cresciuti in Italia”. Una proposta non certo irragionevole, ma spesso presentata in questi mesi come una battaglia di civiltà, come fossimo agli ultimi posti in Europa in questa materia: in realtà, secondo i più recenti dati disponibili, l’Italia è più generosa di Spagna, Francia, Germania, Regno Unito, nonché di una ventina di altri paesi (solo la Svezia ci supera nettamente).

L’altro passaggio significativo del programam del Pd è un invito ad “arrestare la deriva securitaria” (per chi non fosse avvezzo al gergo della politica vuol dire: fermare la richiesta di maggiore protezione e sicurezza da parte della gente). Per la cultura di sinistra le paure della gente verso la criminalità comune e verso gli immigrati sono solo frutto di ignoranza, di cattiva informazione, di manipolazione da parte degli “impresari della paura”: quindi non si tratta di offrire risposte, ma di smontare false credenze.

Il problema del centro-destra è in un certo senso quello contrario. La destra molte delle ansie della gente le vede più che bene, ed enuncia obiettivi decisamente comprensibili: “ripresa del controllo dei confini”, “blocco degli sbarchi con respingimenti assistiti”, “rimpatrio di tutti i clandestini”, “abolizione della sedicente protezione umanitaria” (lasciando solo il diritto di asilo e la protezione sussidiaria). Il guaio è che non indica i mezzi per raggiungere gli obiettivi che si prefigge, o dà a credere che si possa, restando nell’Unione Europea, prelevare 500 mila extra-comunitari e riportarli in Africa.

Così, anche su immigrazione e sicurezza, sembra proprio che ci dobbiamo rassegnare. Se vincerà la sinistra, ci sentiremo ripetere che gli immigrati sono la soluzione, non il problema, e magari vedremo approvata qualche legge, più o meno ben fatta, sul diritto di cittadinanza. Se invece vincerà la destra, almeno la smetteranno di ruggire, perché la realtà, prima o poi, presenta il conto a tutti, anche ai più feroci.

Pubblicato su Il Messaggero del 10 febbraio 2018



Opinione pubblica e politica. L’intervista a Luca Ricolfi

Un prete sardo solleva il velo sul conformismo: l’accoglienza, così come la stiamo vivendo in Italia non funziona, è senza regole. E’ solo buonsenso o c’è qualcosa di più?

È solo buon senso, niente di più e niente di meno.

Sulla Rete il 90% è d’accordo con il prete di Nuoro. Significa che l’opinione pubblica vede più lontano dei partiti della sinistra e dei cardinali?

Non direi che l’opinione pubblica vede “più lontano”. Direi semplicemente che vede. Il fatto è che, negli ultimi tempi, l’opinione pubblica è sempre più spaccata: c’è chi vede, perché utilizza il senso comune; e c’è chi non vede, perché usa le lenti dell’ideologia.

Lei dice: per la cultura progressista, la paura non è semplicemente infondata, è una colpa. Cosa significa, colpa nostra?

Sì, molti sedicenti progressisti usano l’espressione xenofobia (che viene dal greco, e significa solo paura dello straniero), come sinonimo di razzismo. Di qui il sillogismo: hai paura dello straniero, dunque sei razzista; ma il razzismo è una colpa; quindi devi vergognarti dei tuoi sentimenti.

È triste, perché significa che non siamo in tempi di libertà. In una società libera si possono discutere o stigmatizzare i comportamenti, non i sentimenti.

Per questo, per sottolineare quanto sia importante la libertà di sentire, come Fondazione David Hume, abbiamo adottato come motto questa frase di Tacito: “Felici i tempi in cui puoi provare i sentimenti che vuoi, e ti è lecito dire i sentimenti che provi”.

Come si può offrire protezione a chi teme di essere aggredito dall’immigrato, di perdere il lavoro perché ci sono loro che lo offrono a basso prezzo, di subire attentati da islamici radicali?

Distinguerei. Sugli attentati, islamici o no, non ci sono rimedi sicuri: fornire protezione è praticamente impossibile.  

Diverso il discorso sulla concorrenza lavorativa e sui rischi di aggressione. In questi campi fornire protezione sarebbe possibile, ma è politicamente difficile. Per ridurre le aggressioni, sarebbe indispensabile cambiare le norme che consentono ai giudici di rimettere rapidamente in libertà chi commette reati predatori. Per ridurre la concorrenza dei lavoratori stranieri si dovrebbe sradicare il lavoro nero, una realtà che è sotto gli occhi di tutti ma che né le Forze dell’ordine né la politica intendono combattere. Ed è un peccato, perché sarebbe un modo di ridare dignità a tutti i lavoratori, senza distinzione fra italiani e stranieri.

Nel suo libro ‘Sinistra e popolo’ (Longanesi 2017) lei parla di un divorzio in corso tra la sinistra e il suo elettorato. Non è troppo severo, non crede che gli elettori del Pd invece lo vogliono lo Ius Soli o l’accoglienza diffusa?

Certo, la maggioranza degli elettori del Pd vuole lo Ius Soli, e spesso anche l’accoglienza. Il problema è che queste due cose non le vogliono i ceti popolari. Che infatti preferiscono guardare ai partiti del Centro-destra e al Movimento Cinque Stelle.

Professore, lei dice di aver stima di Minniti. Non crede che la sua azione contro l’immigrazione disordinata possa far recuperare voti al Pd e alla sinistra?

Sì e no. Certo, la politica di Minniti può frenare la fuga dei ceti popolari dal Pd, ma può anche convincere una parte dei ceti medi e della sinistra radical chic a votare la Sinistra Purosangue, ovvero uno degli innumerevoli cespugli alla sinistra del Pd.

Intervista a cura di Nino Femiani apparsa su Il Resto del Carlino

 




Immigrazione: I dilemmi dell’asilo politico

Dal gennaio 2014 all’agosto 2017, l’Italia ha registrato l’arrivo di 605.147 immigrati giunti attraverso la rotta del Mediterraneo Centrale (sul tema “sbarchi”, vedi anche la scheda a cura di Rossana Cima). Il marcato incremento degli arrivi ha portato, nello stesso periodo, ad un’impennata nel numero di richieste di asilo politico presentate in Italia. La figura 1 mostra il numero di richieste di asilo dal 1990 al 2016.

Figura 1. Richieste di asilo politico (persone, 1990 – 2016)
Fonte: Ministero dell’Interno

Gli ultimi tre anni, 2014-2016, hanno fatto registrare 271.026 richieste di asilo mentre il totale dei 24 anni precedenti è stato di 370.294 (il 2016, da solo, rappresenta un quarto delle richieste di asilo presentate in Italia dal 1990). L’apertura degli hot spot per l’identificazione degli immigrati e l’introduzione di stringenti controlli di frontiera da parte dei paesi europei confinanti, anche se membri dell’area Schengen, ha fatto sì che l’Italia sia sempre meno un paese di transito e sempre più un paese di destinazione. Il rapporto richiedenti asilo/migranti sbarcati era dello 0.37 nel 2014 per poi salire allo 0.55 nel 2015 e infine 0.68 nel 2016. E’ probabile che questo rapporto aumenti ulteriormente nel 2017. Quale è stato l’esito di queste richieste di asilo?

Tabella 1. Esiti domande di asilo politico, anni 2014-2016.
Fonte: Elaborazione su dati Ministero dell’Interno. Nota: (*) esaminati nell’anno indipendentemente dalla data di richiesta asilo.

La tabella mostra che solamente nel 6% dei casi viene effettivamente riconosciuto lo status di rifugiato. Una larga parte dei richiedenti riceve altre forme di protezione e con esse il permesso di risiedere in Italia: al 15,8% dei richiedenti è stata riconosciuta la protezione sussidiaria e al 22,6% la protezione umanitaria. La protezione sussidiaria è uno status molto simile a quello di rifugiato e da’ diritto ad un permesso di soggiorno di durata quinquennale (rinnovabile), consente l’accesso allo studio e alla formazione, e allo svolgimento di una attività lavorativa. La protezione umanitaria offre le stesse possibilità, ma con un orizzonte temporale decisamente più ristretto: nei fatti, da sei mesi a due anni. Complessivamente, per ogni cento richiedenti asilo, solamente 44 ottengono il permesso di risiedere e lavorare in Italia (22 ricevono un permesso della durata di cinque anni, ossia l’orizzonte temporale più consono per favorire l’inserimento nella società italiana e una piena integrazione).

I dati del periodo 2014-2016 mostrano, quindi, che la maggioranza dei richiedenti asilo (56 su cento) vede la propria domanda rifiutata, e con essa la possibilità di vivere e lavorare legalmente in Italia (le persone a cui la domanda di asilo è stata rifiutata vengono definite in gergo i “diniegati”). Questa quota è in aumento: nel 2016, sei domande su 10 sono state bocciate. E questo, a mio avviso, costituisce un serio problema che richiede una risposta politica in tempi brevi.

I “diniegati” perdono la possibilità di risiedere e lavorare legalmente in Italia, spesso dopo un iter di 1-2 anni. A questo punto – per definizione – le uniche opportunità di lavoro saranno di tipo informale o illegale. E questo, ovviamente, porta ad ulteriori problemi di ordine pubblico. Inoltre, per molti richiedenti asilo, lo stato italiano ha già speso risorse per la formazione, l’insegnamento della lingua italiana e, talvolta, l’inserimento in percorsi lavorativi in attesa della decisione finale sul loro status giuridico. Quale risposta adottare, quindi, per affrontare il problema dei 100,000+ “diniegati”? La decisione, ovviamente, spetta alla politica, ma vale la pena ricordare qui alcuni elementi utili.

Il primo: i dati presentati mostrano i limiti di una procedura largamente basata sull’asilo politico come strumento per la gestione dei flussi migratori. In una situazione come quella italiana, in cui le risorse sono estremamente scarse, mi pare che questo sistema porti ad una allocazione di tali risorse decisamente sub-ottimale (si pensi dal 60% di dinieghi registrati nel 2016 spesso dopo un lungo iter burocratico). Inoltre, anche nella situazione “ideal-tipica” in cui lo status di rifugiato viene conferito quasi di default – come nel caso dei profughi siriani in fuga dalla guerra – la procedura attuale comunque richiede che il profugo raggiunga una delle nazioni dell’Unione Europea per presentare la propria domanda. In questo modo si creano enormi opportunità per i gruppi criminali che organizzano i viaggi attraverso il Mediterraneo. Decisamente meglio sarebbe avere dei “corridoi umanitari” praticabili, sull’esempio di altri paesi come il Canada.  Il sistema attuale va ripensato al più presto.

Il secondo: i rimpatri forzati sono molto costosi, lenti e difficili da attuare dal punto di vista legale. Inoltre, provocano un impatto piuttosto radicale sulle vite delle persone se condotti dopo molto tempo dall’arrivo.

Il terzo: le operazioni di salvataggio in mare, che hanno fornito una risposta nobile e generosa all’emergenza sbarchi, stanno adesso dimostrando i loro limiti (tra cui la creazione di un massiccio e crescente numero di “diniegati”). L’idea europea di trasformare le operazioni Sofia e Triton in strumenti per combattere i cosiddetti “trafficanti” semplicemente non sta funzionando, e difficilmente funzionerà. La soluzione a questo riguardo è probabilmente da ricercare in politiche di terra e non navali. Un’estensione a tempo indeterminato di queste operazioni rischia di creare un sistema di incentivi perverso da cui diventa sempre più difficile uscire.

Credo che il punto tre sia la pre-condizione per attuare delle politiche che portino ad una soluzione al problema dei “diniegati” che sia, allo stesso tempo, umanitaria, efficiente dal punto di vista della risorse già impiegate e che minimizzi gli incentivi di tipo illegale. Un calo sostanziale degli arrivi può aprire la strada ad una legalizzazione di coloro che siano ancora presenti sul territorio italiano, che abbiamo seguito un percorso di formazione o inserimento lavorativo come richiedenti asilo, e che non abbiano commesso reati (ad eccezione, ovviamente, del reato di clandestinità). Una possibilità sarebbe di attuare questa legalizzazione nel contesto degli accordi di ricollocamento intra-UE: accordi che per il momento non stanno funzionando, ma che il Governo italiano potrebbe cercare di sbloccare in sede europea, anche nel contesto della discussione sulla revisione della Convenzione di Dublino sul diritto di asilo. Politicamente, questa potrebbe essere una strada molto difficile da percorrere. Ma il costo politico dell’inerzia potrebbe essere ugualmente elevato.