L’arte della contro-escalation

Si comincia, finalmente, a parlare con qualche serietà di un percorso di raffreddamento delle tensioni fra Russia e Stati Uniti, che possa portare (almeno) a un cessate il fuoco, e possibilmente a passi ulteriori verso accordi di pace.

Sulle ragioni di questo, per ora timidissimo, cambiamento di clima, ci sono solo ipotesi. Le più plausibili mi paiono tre.

La prima è che gli attentati-incidenti-sabotaggi delle ultime settimane, chiunque ne sia l’autore, stiano convincendo un po’ tutti che la situazione può andare fuori controllo, a dispetto delle consultazioni continue (e riservate) fra russi e americani.

La seconda è che Biden si stia rendendo conto che arrivare alle elezioni di midterm con un’opinione pubblica spaventata dal rischio di un conflitto nucleare possa costargli caro.

La terza è che lo spettro di una recessione mondiale, provocata dalle conseguenze commerciali della rottura dell’ordine internazionale, stia inducendo i principali giocatori in campo (Cina e Usa in testa) a correre ai ripari.

Quale che sia l’origine dei nuovi segnali, la domanda è: ci sono possibilità realistiche che, alla fase di escalation finora in corso, succeda una fase di escalation inversa (o contro-escalation, o “de-escalation psicologica”)? Ci sono strumenti con i quali è possibile favorire un’inversione di fase efficace?

Non so che cosa ne pensino i veri esperti, ossia generali, strateghi, politici, studiosi di relazioni internazionali. Ma azzardo l’idea che qualcosa si possa imparare anche dagli esperti di “de-escalation” nel senso psicologico (non militare) dell’espressione, ossia psicologi, operatori sanitari, operatori sociali alle prese con interlocutori aggressivi. Se si passano in rassegna consigli e linee guida per gestire questo tipo di conflitti, si deve constatare che, fin qui, occidentali e russi hanno fatto esattamente quel che le tecniche di contro-escalation raccomandano di non fare: offese, delegittimazione dell’interlocutore, minacce, intimazioni, ingiunzioni, totale rifiuto di mettersi dal punto di vista dell’avversario.

Tutti questi comportamenti sono perfettamente comprensibili alla luce del fatto che la situazione non è simmetrica né oggettivamente (A è stato aggredito da B), né soggettivamente (A pensa di essere nel giusto). Ma occorre riflettere su un punto decisivo: anche nelle situazioni in cui si usano tecniche di contro-escalation la situazione non è mai simmetrica. L’infermiere del pronto soccorso che deve fronteggiare un paziente infuriato che agita un coltello, o l’agente di polizia che deve interagire con un rapinatore che minaccia con la pistola dodici ostaggi, non si trovano certo in una situazione simmetrica. Sanno perfettamente di avere ragione loro, non certo il paziente furioso o il rapinatore armato. Però si comportano come se la situazione fosse simmetrica, ossia come se anche il loro interlocutore fosse dotato di razionalità e di ragioni più o meno valide. Lo scopo della contro-escalation, infatti, non è affermare la propria ragione, ma evitare che il conflitto si trasformi in tragedia, con l’accoltellamento dell’infermiere o l’uccisione degli ostaggi.

Ed ecco il punto. La difficoltà del passaggio da una situazione di escalation a una di contro-escalation sta nel fatto che occorre rovesciare completamente il registro e gli obiettivi della comunicazione. E bisogna farlo in contraddizione con tutto ciò che si è fatto fino a quel momento. Un’operazione che è particolarmente dolorosa per la parte in causa che, obiettivamente, ha più ragione (o meno torto).

Ma perché è così difficile cambiare registro?

La ragione profonda della difficoltà è di tipo logico: la medesima azione cambia di significato (e di razionalità) a seconda che si sia in una fase di escalation o in una di contro-escalation.

Facciamo un esempio. Il recente gesto del ministro degli esteri Lavrov (aprire a colloqui di pace in margine al prossimo G-20) è un segnale di debolezza (Putin ha paura, eccetera) se lo collochiamo in una fase di escalation, ma diventa un segnale di apertura (Putin è disposto a trattare) se lo leggiamo in una fase di contro-escalation. Reciprocamente, la conferma delle esercitazioni nucleari Nato della prossima settimana è un messaggio di forza (mostrare i muscoli) se la collochiamo in una fase di escalation, ma diventa un segnale di chiusura (noi non cambiamo) se la leggiamo in una fase di contro-escalation.

Se vuole entrare in una fase di contro-escalation, la politica deve riuscire a non giudicare i propri atti nel registro della fase precedente. Finché si continuerà a pensare che qualsiasi gesto di apertura equivale a “dare ragione a Putin”, nessun percorso di pace sarà possibile.

Ma perché la politica non riesce a passare dalla fase di escalation a quella di contro-escalation, gove?

Fondamentalmente, perché è scomparsa la realpolitik o, se preferite, si è persa la fondamentale lezione dei classici: la distinzione fra razionalità rispetto al valore e rispetto allo scopo (Max Weber), la separazione fra morale e politica (Machiavelli). La crisi ucraina è stata affrontata, finora, esclusivamente nel registro morale, con scarsissima attenzione alle cause della guerra e alle conseguenze delle azioni che si stavano e si stanno intraprendendo. E’ venuto il tempo, se vogliamo provare a entrare in una fase di raffreddamento, o contro-escalation, di rovesciare il registro, e tornare alla politica.

Luca Ricolfi