Dieci buoni motivi per non credere (troppo) ai sondaggi – 4. Mancanza di opinioni “costanti”

Nell’epoca in cui regnavano incontrastate le ideologie, esisteva una sorta di pensiero esclusivo, opinioni e atteggiamenti pressoché costanti nell’accostarsi ai fenomeni sociali o politici, guidati dalla propria ideologia, dalla propria visione del mondo, che difficilmente mutavano: parallelamente alla fedeltà di voto, rimaneva fedele anche il modo di vedere le cose, di manifestare la propria adesione quasi incondizionata ad una scelta specifica. Come cantava Giorgio Gaber: “Mio nonno si è scelto una parte che non cambia in ogni momento, voglio dire che c’ha un solo atteggiamento” (Il comportamento, 1976).

Ma poi, con la fine delle ideologie, con la secolarizzazione, con il costante aumento dei mezzi di informazione e di comunicazione (soprattutto sul Web), con il progressivo indebolirsi delle tradizionali agenzie di socializzazione primarie e secondarie (famiglia, scuola, fabbrica, ecc.), con la atomizzazione lavorativa e dei rapporti individuali le cose sono cambiate, e l’uomo è divenuto sempre più simile a ciò che già aveva intuito il sociologo Simmel della Vienna di inizio Novecento. Era l’uomo blasé, l‘uomo metropolitano, costantemente pervaso da mille stimoli diversi, con una identificazione sociale e politica sempre più debole e, viceversa, una identità individuale (l’individuazione) in perenne crescita, quasi ipertrofica, incapace degli antichi sentimenti solidaristici con il gruppo di appartenenza, perché gli antichi gruppi di appartenenza sociale venivano progressivamente ad esaurirsi.

Oggi, la frammentazione delle esperienze e l’atomizzazione sociale rendono l’individuo più debole nelle sue certezze più profonde e propenso a sperimentare identità differenti, in una sequenza sempre più rapida e per forza di cose più superficiale. Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. La società liquida, secondo Bauman (Vita liquida, Laterza, 2006), genera l’uomo liquido, il cui prototipo è la figura del “turista”, che ha sì una casa propria, ma si sposta temporaneamente alla continua e febbrile ricerca di sensazioni e piaceri inediti. Un altro grande sociologo (Goffman) ha approfondito l’analisi della vita quotidiana attraverso l’interpretazione dell’agire comune con la metafora del teatro, come se l’individuo fosse un attore su un palcoscenico, che recita una pièce teatrale; Goffman intende sottolineare l’esistenza, nelle azioni umane, di una componente legata allo specifico quadro (o “frame”) in cui l’individuo sente di essere inserito. Il suo comportamento appare dunque conseguenza specifica anche della sua percezione del ruolo che sta recitando all’interno di quel particolare quadro.

In quel momento peraltro egli non recita solamente, ma diventa il protagonista dell’opera cui sta prestando la propria interpretazione: quando un individuo è al volante della sua auto, ad esempio, la sua percezione di ciò che lo circonda viene vissuta nelle vesti di automobilista; dal momento in cui parcheggia la sua vettura, egli muta radicalmente, si appresta a vivere la nuova realtà in qualità di pedone, “diventando” quindi un pedone, e interpreta gli eventi secondo quel suo nuovo punto di vista.

È una sorta di sdoppiamento diacronico della personalità; le due personalità convivono nello stesso individuo, venendo attivate solamente in particolari momenti della giornata, a seconda del ruolo che sta giocando nel quadro di riferimento in cui egli è inserito. E lo studioso, per poter conoscere il pensiero dell’individuo analizzato, non può fare a meno di riferirsi ad una delle due differenti personalità.

Se ad esempio il suo interesse consiste nel comprendere il rapporto tra il soggetto e il traffico urbano, il ricercatore deve essere cosciente che questo rapporto potrà essere differente a seconda che il soggetto si proponga come automobilista (e allora vorrà privilegiare facilitazioni viarie) ovvero come pedone (e allora privilegerà la formazione di isole pedonali). Le due personalità convivono nello stesso individuo, contraddicendo l’una i bisogni dell’altra.

Tutte queste trasformazioni della personalità individuale hanno vissuto negli ultimi anni, a causa di pandemie e guerre, un ulteriore shock, con la crescita dell’instabilità anche nella formazione delle opinioni: è cresciuta l’incertezza, l’incostanza, l’alterità anti-establishment e la contraddittorietà dei riscontri demoscopici, rendendo sempre più problematico comprendere quanto siano attendibili le risposte fornite dagli intervistati nei sondaggi odierni.

Paolo Natale

Estratto del volume “Sondaggi”, in uscita nel prossimo autunno presso Laterza

 




Dieci buoni motivi per non credere (troppo) ai sondaggi – 1. Effetto “bandwagon”.

In senso letterale il termine inglese bandwagon indica il carro che trasporta la banda musicale in una parata. Salire sul carro della banda è dunque gratificante poiché permette di condividere il centro dell’attrazione del pubblico. Salire sul carro (del vincitore) è una delle principali conseguenze del cosiddetto clima di opinione politico-elettorale, che ha avuto un notevole successo negli ultimi anni per analizzare l’orientamento e il comportamento di voto anche nel nostro paese.

L’idea di fondo è che il clima abbia un certo effetto anche sulle opinioni di voto espresse da (alcuni) degli intervistati, soprattutto da quelli indecisi, che tenderebbero nei sondaggi pre-elettorali ad indicare (mentendo) il partito o la coalizione che gode di maggior appeal, oppure a sottacere il loro futuro appoggio al partito “perdente”. Si tratta di una sorta di “spirale del silenzio demoscopico” per cui alcuni elettori, condizionati appunto dal clima di opinione elettorale prevalente, non osano dichiarare apertamente la propria scelta minoritaria nelle interviste, salvo poi farlo nel segreto della cabina elettorale.

Nei sondaggi post-voto accade a volte l’esatto opposto: elettori non completamente convinti della propria scelta elettorale, tendono a dichiarare (mentendo) di aver votato il partito o il candidato vincente, salendo in pratica “sul carro del vincitore”.

Il concetto di clima di opinione elettorale ha subìto una ripresa di interesse nell’ultimo decennio in Italia soprattutto per due motivi.

Il primo è legato alla progressiva perdita di rilevanza delle appartenenze politico-sociali, che caratterizzavano la sostanziale stabilità e polarizzazione dell’elettorato italiano nel secondo dopoguerra. Le motivazioni di voto erano attribuibili per una vasta quota di elettori al cosiddetto “voto di appartenenza”, demarcato per questo da un forte livello di fedeltà, una “fedeltà pesante” frutto del radicamento delle tradizionali sub-culture cattolica e social-comunista.

Durante gli anni del successo di Berlusconi, a questa si è sostituita una sorta di “fedeltà leggera”, cioè da un tipo di vicinanza politica (e fedeltà di voto) legata allo schieramento bipolare (pro o contro Berlusconi). Ma anche questo nuovo tipo di fedeltà è terminata, lasciando il posto, da almeno un decennio, ad una inedita volatilità elettorale, scelte piuttosto superficiali veicolate dalle sensazioni collettive del momento, dai discorsi dei leader politici, alle quali si può presto rinunciare senza per questo sentirsi un traditore (l’elettore liquido ben descritto da Bauman).

Il secondo motivo riguarda la capacità di questo concetto di ben adattarsi alla trasformazione delle antiche campagne elettorali nelle attuali campagne permanenti, in cui l’impatto delle dinamiche di opinione – continuamente sollecitate dal rapporto sondaggi-consenso come fattore decisivo sia per l’esercizio della leadership che per le decisioni di governo – tende ad assumere un peso rilevante sia di medio ma perfino di breve periodo, favorendo la costruzione di “micro-cicli di opinione”, che rappresentano a volte un punto di riferimento essenziale per lo stesso comportamento elettorale della popolazione. Non contano più dunque le appartenenze, o i più stabili atteggiamenti, contano le emozioni del momento, nell’elettore liquido, conta il clima di opinione sempre più fluido e intercambiabile, cui il cittadino provvisoriamente si adatta.

Una volta che un particolare clima d’opinione si è diffuso all’interno del paese, l’elettore interrogato nel corso di un’indagine demoscopica si trova in alcuni casi quasi “in imbarazzo” a dichiarare la propria preferenza per il partito, il candidato o la coalizione che pensa non godano delle simpatie del resto della popolazione elettorale. Si rifugia in questi casi all’interno di quello che ho definito come “spirale del silenzio demoscopico”, preferendo cioè tacere il suo reale appoggio per quella forza politica, salvo poi votarla nel segreto dell’urna. Molti sondaggi sono pervasi da questa dinamica, che non permette di ottenere stime corrette del reale orientamento di voto di una parte significativa degli intervistati

Paolo Natale

Estratto del volume “Sondaggi”, in uscita nel prossimo autunno presso Laterza