La lezione dei lavavetri

Tempo di feste, tempo di regali. Siamo tutti più buoni. Più disposti a spendere, e più disponibili verso gli altri. Per esempio, compriamo dai venditori ambulanti un sacco di sciarpine finta seta, fazzolettini, portachiavi con l’animalino che si illumina e fa il verso, del maiale, del gatto, della rana. E ci lasciamo lavare il vetro del parabrezza infinite volte, anche ogni giorno.

Già, i lavavetri. Complicato il nostro rapporto con i lavavetri. Difficile dire cosa ci passa per la testa quando un lavavetri si avvicina e comincia a lavarci il vetro.

Noi siamo in auto. Fermi al semaforo. Mediamente sospesi nel vuoto, distratti, genericamente pensanti, annoiati, a volte nevrastenici. Siamo al semaforo, insomma. Si avvicina un tale che ovviamente è uno sconosciuto, armato di bastone con spugnetta e sapone liquido. E qui il mondo si divarica: ci sono quelli che fanno di no col capo e ottengono di NON farsi lavare il vetro, e ci son quelli che fanno di no col capo e NON ottengono niente: il lavavetri gli lava il vetro nonostante il loro drastico diniego.

Appartengo alla seconda categoria. Per quanto io dica di no e mi sforzi di fare la faccia più cattiva che posso, per quanto il mio vetro sia pulito anzi splenda di lucentezza, a me il lavavetri di turno, chiunque egli sia, mi lava sempre il vetro. E io da dentro comincio a veder annebbiarsi il mondo. Perdo la visuale, e mi blocco a seguire con lo sguardo le volute del sapone che mi opacizza gli occhi. La prima reazione è di irritata impotenza. Come si permette. Adesso gli faccio vedere io. Tiro giù il vetro e protesto. Non gli darò un soldo, così impara. La seconda reazione è di rabbia verso me stessa: perché a me sì e agli altri no? possibile che io sia così debole e inetta, che alla mia età non abbia ancora imparato a farmi valere? La sensazione prevalente, e fastidiosa, è quella di essere oggetto di una prepotenza, di una specie di violenza. Preda. Vittima innocente.

Poi un giorno trovo la soluzione.

Mi si avvicina il lavavetri. È un ragazzo. Bruno, sorridente. Alza la spugnetta minacciosa e sbrodola il sapone sul mio vetro prima che io possa aprir bocca. Resto come al solito offuscata dalla nebbia di quel sapone che mi avvolge gli occhi, la mente, il sangue. Rimango in quella nuvola sospesa atemporale per lo spazio di trenta secondi, e sento salirmi la solita duplice rabbia. Poi lui mi lava via il buio. Disegna le sue mezzelune di pulito e io torno a vedere. Mi sorride. E io, inaspettatamente, gli sorrido. Mi fa l’occhiolino e sì, anch’io gli faccio l’occhiolino. Prendo un euro e glielo passo. Ridiamo, ci salutiamo. Buona giornata.

Ecco la soluzione, semplicissima: non opporre resistenza. Lasciarsi andare, smollare. E non solo perché è Natale… Un euro non risolverà certo l’esistenza del lavavetri né, tantomeno, il problema dell’immigrazione; ma ci rilassa, ci rimette in pace con noi stessi liberandoci dal vissuto di non saper reagire…

Buona giornata. Buon Anno!

Leggi qui la terza storia delle feste

Articolo pubblicato il 31 dicembre 2017 su Il Sole24Ore