Un’opposizione spiazzata

Che Pd e Forza Italia abbiano promesso un’opposizione responsabile, non pregiudiziale, e basata sul merito dei provvedimenti, è senz’altro un fatto positivo. Che quasi tutti i partiti di opposizione (con l’importante eccezione di Fratelli d’Italia) siano fermamente intenzionati a difendere la permanenza dell’Italia in Europa e nell’Eurozona è anch’esso un fatto positivo. Così come è positiva la vigilanza sull’evoluzione dei conti pubblici che da quella scelta procede: molto possiamo permetterci, ma non di far ripiombare l’Italia in una crisi finanziaria, che avrebbe effetti nefasti sui risparmi e sull’occupazione.

Se queste sono le premesse, è arduo non rilevare che il comportamento effettivo dell’opposizione, in Parlamento come sulla stampa amica, sia ben poco coerente con esse. Qui non mi riferisco all’impegno profuso nel mettere alla berlina le gaffe e le goffaggini dei barbari appena entrati nel Palazzo, una pratica che in fondo fa parte della commedia della politica, e a cui i nuovi venuti offrono ogni sorta di pretesto. No, quel che mi colpisce è la sostanza politica dei discorsi dell’opposizione quando si parla di cose serie, ovvero di questioni che possono incidere profondamente sulla vita di tutti: tasse, pensioni, sussidi. Perché quando si arriva al punto, ovvero alle promesse del “contratto” giallo-verde, la critica al neonato esecutivo del professor Conte imbocca, contemporaneamente, due strade divergenti.

La prima strada, detto in estrema sintesi, è l’accusa di mettere a repentaglio i conti pubblici e, per questa via, i risparmi (e il futuro) degli italiani. Poiché il governo si guarda bene dallo spiegare dove prenderà i soldi per mantenere le promesse, si avanza (giustamente, a mio parere) il sospetto che finirà per aumentare il deficit, con conseguente ulteriore aumento del debito pubblico. Un sospetto che sarà difficile dissipare finché il partito di Grillo non ritirerà la proposta di legge 520 (ripresentata poche settimane fa), volta a togliere dalla Costituzione tutte le norme che impongono il pareggio di bilancio nei conti dello Stato.

La seconda strada è quella dello sbugiardamento: una per una, le promesse di Lega e Cinque Stelle vengono passate ai raggi X, mostrando che non verranno mantenute, o saranno abbondantemente annacquate. La legge Fornero non sarà abolita, ma solo ritoccata. Il reddito di cittadinanza non partirà subito, perché prima il governo intende rafforzare i Centri per l’impiego. Quanto alla flat tax, nel 2019 scatterà solo per le imprese, le famiglie dovranno attendere il 2021, quando compileranno la dichiarazione dei redditi per il 2020. Il messaggio è chiaro: attenti, cari elettori di Salvini e Di Maio, perché vi hanno promesso la luna, ma presto vi accorgerete che siete stati ingannati.

Curiosamente, ai politici dell’opposizione pare sfuggire che queste due critiche si elidono a vicenda. E’ piuttosto illogico annunciare la catastrofe dei conti pubblici e, contemporaneamente, accusare il governo di voler drasticamente ridimensionare (o diluire nel tempo) le sue promesse.

Delle due l’una. O stanno per spendere una vagonata di soldi, e allora è vero che mettono a rischio i conti pubblici ma non è vero che stanno tradendo il programma. Oppure stanno facendo retromarcia sulle promesse più costose, ma allora dobbiamo attenuare (non certo cancellare) le nostre preoccupazioni sui conti pubblici. Insomma: un’opposizione non isterica dovrebbe compiacersi dell’auto-smontaggio del contratto di governo, anziché criticare l’esecutivo perché si mostra meno avventato di quanto si supponeva.

Ma c’è di più. Se riuscissimo a mettere più attenzione sulla sostanza di quel che bolle in pentola, forse riusciremmo a cogliere meglio alcune notevoli novità delle politiche che ci attendono. Una prima novità è lo stanziamento di 2 miliardi per le “politiche attive del lavoro”, con il rafforzamento dei finora disastrosi Centri per l’impiego. Si può giudicare come buona o cattiva questa misura (io la trovo pessima) ma non possiamo non notare che è precisamente quel che la sinistra riformista predica da anni, e non è mai riuscita a realizzare, né con Letta, né con Renzi, né con Gentiloni. Una seconda importante novità è l’introduzione di un salario minimo legale, un’altra misura cara alla sinistra, ma mai realizzata, anche per le perplessità dei sindacati, timorosi di veder svuotato il proprio ruolo e il proprio potere.

Il segnale di novità più importante, però, a mio parere è il capovolgimento delle priorità della politica fiscale. Finora sia la destra sia la sinistra hanno sempre privilegiato, per ovvie ragioni di ricerca del consenso, la riduzione delle tasse che gravano sulle famiglie. Vale per Renzi, che nel 2014, di fronte al dilemma fra intervenire sull’Irap (che pesa sui produttori) e intervenire sulle buste paga, sceglie quest’ultima strada, che gli spiana la via del trionfo alle elezioni europee del 2014. Ma vale anche per Berlusconi, che nel 2001, al primo punto del “Contratto con gli italiani”, prevede l’abbattimento delle imposte sulle famiglie (le famose due aliquote al 33 e 23%), ma nulla promette alle imprese.

Ora, se dobbiamo prestar fede alle dichiarazioni di Alberto Bagnai (senatore della Lega) il governo si prepara a capovolgere lo schema: prima (2019) le imprese, poi (2020) le famiglie. Una scelta che, se effettivamente farà scendere subito al 20% l’imposizione complessiva sui redditi delle società, delle imprese individuali, delle partite Iva, segnerà un vero cambiamento di filosofia nella politica fiscale. Un cambiamento che, tradotto in parole semplici, si può enunciare così: anziché distribuire a pioggia pochi spiccioli a tutte (o quasi) le famiglie, proviamo a mettere le imprese in condizione di creare occupazione aggiuntiva, e per questa via aumentare il reddito delle famiglie. Può piacere o non piacere, e soprattutto può funzionare o non funzionare, ma è una novità vera.

Forse, anziché limitarsi a lanciare quotidiani (peraltro sovente fondati) rimproveri verso ogni mossa del governo, alle opposizioni non farebbe male cercare di capire quel che di nuovo bolle in pentola. Se non altro per non restare spiazzate quando il nuovo vedrà effettivamente la luce, e magari si rivelerà un po’ diverso da come lo si era dipinto.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 9 giugno 2018