Follemente corretto (20) – La wokeness contro la musica

La politica, l’ideologia e il politicamente corretto inquinano tutto, dalla stampa alla Tv, dalla letteratura alle scienze. Però non tutti gli ambiti sono ugualmente attaccabili. Ci sono ambiti ultra-permeabili, come il giornalismo, la letteratura, le scienze sociali, e ambiti quasi impenetrabili, come la fisica e la matematica.

E la ragione è semplice: tutto dipende dal grado di neutralità intrinseca di ogni ambito culturale. Se scrivi un romanzo, le tue preferenze e i tuoi valori contano molto, quindi può avere senso (almeno per i fanatici) chiedersi quanto un dato testo è politicamente corretto. Ma se dimostri un teorema, o scopri una nuova legge fisica, chiedersi quanto quel teorema o quella legge siano politicamente corretti è semplicemente illogico (anche se qualche fanatico ci prova).

E’ per questo che il politicamente corretto è particolarmente invasivo in ambiti come l’informazione, il cinema, le discipline umanistiche, la letteratura, l’opera, e persino la mitologia e le arti figurative.

Si potrebbe supporre che, oltre alla matematica e alla fisica, lo scudo delle neutralità protegga anche la musica. Dopotutto, una sequenza di note non è più politica di una sequenza di simboli matematici.

E invece no. Negli ultimi anni, anche a seguito dell’esplosione del movimento Black Lives Matter, la scure del politicamente corretto si è abbattuta anche nel mondo della musica. E lo ha fatto non solo là dove al testo musicale si accompagnano delle parole (come nelle canzoni o nell’opera lirica), ma dove la musica è per così dire muta: pura sequenza di note, senza parole né canto. Per il teorico (nero) della musica Philip Ewell la musica classica è razzista e discriminatoria per il fatto stesso di essere basata su un ordine rigoroso e gerarchie armoniche.

Gli attacchi alla musica si possono utilmente ordinare lungo una scala di assurdità. Un testo musicale può cadere sotto gli strali del fanatismo woke per almeno 5 motivi, via via più demenziali.

Livello di demenzialità Motivazione della censura Oggetto della censura (esempi)
1 Il titolo del brano contiene la parola negro Le petit nègre, di Claude Debussy
2 Il compositore è nazista Richard Wagner (razzista e antisemita, ma morto prima che Hitler fosse nato)
3 Il compositore piaceva ai nazisti Beethoven, Schubert,  Bach, Haydn, Schubert, Wagner
4 Il compositore è europeo, quindi “è stato sostenuto dalla bianchezza (whiteness) e dalla mascolinità per duecento anni”.

La sua musica “rafforza il dominio dei maschi bianchi e sopprime le voci delle donne, dei neri e della comunità Lgbtq”

Compositori europei

 

In particolare: Beethoven,

Quinta sinfonia

5 Il compositore è affetto da “bianchezza”, quindi colpevole di razzismo Praticamente tutti i compositori e musicisti occidentali

La censura di opere e autori non è tutto, però. Accanto ad essa proliferano anche altre pratiche. Ad esempio quella di scusarsi di essere bianchi da parte di dirigenti di grandi istituzioni musicali, come il presidente della Los Angeles Opera (Christopher Koelsch), o il capo della League of American Orchestra (Simon Woods), a quanto pare convinti che la whiteness sia una colpa. O il licenziamento di chi resiste alle intimidazioni dei censori (è successo a Dona Vaughn, direttrice dell’opera alla Manhattan School of Music).

Ma le pratiche più inquietanti sono quelle con cui si pretende di aumentare la presenza di musicisti neri nelle orchestre americane, da sempre molto sbilanciate a favore dei bianchi. Peccato che il rimedio usato – impedire ai giudici di vedere i musicisti, per evitare favoritismi pro-bianchi e discriminazioni – si sia rivelato un boomerang: il “daltonismo” dei giudici nelle “audizioni alla cieca” finiva per premiare il merito, non la razza. Ora è considerato discriminatorio.




Follemente corretto (17) – Musica razzista?

Chissà che cosa penserebbe Claude Debussy, uno dei più grandi compositori francesi di sempre, se per miracolo rinascesse oggi a New York. Scoprirebbe in tal caso che la prestigiosa Special Music School di New York, che offre un insegnamento musicale intensivo durante l’intero percorso scolastico, nel 2021 ha invitato a depennare dai programmi due sue celebri composizioni per pianoforte, precisamente e Le petit nègre (1909) e Golliwog’s cakewalk, l’ultimo brano di Children’s corner (1906-1908).

La ragione?

In entrambe le composizioni sarebbero presenti “connotazioni razziste”. Gli insegnanti non dovrebbero più eseguirli, né assegnarli agli allievi.

“Questi due pezzi non sono più accettabili nel nostro paesaggio culturale e artistico. Noi vogliamo rendere la Special Music School un posto in cui tutti gli studenti si sentano supportati, ed entrambi i pezzi hanno connotazioni razziste e superate. Fortunatamente il repertorio per piano è vasto – ci sono molte alternative”. E’ interessante notare che l’accusa non è rivolta a Debussy, ma alla sua musica. Ma come fa una musica, priva di un testo orale, ad essere definita “razzista”? Il comunicato della scuola non lo rivela, perciò mi sono messo a cercare, ed ecco i risultati.

Primo, le accuse sono decisamente recenti. A giudicare dalle date, si direbbe che il fenomeno sia successivo alla esplosione del movimento Black Lives Matter (sorto in seguito all’uccisione de George Floyd, nel 2020). Prima, nessuno aveva avuto niente da ridire.

Secondo, le accuse sono alquanto eterogenee, come se, non riuscendo a cogliere il punto, si provasse a sparacchiare un po’ qua e un po’ là. Vediamole.

  1. Nazionalismo. “Durante la prima guerra mondiale Debussy firmava le sue composizioni, ‘Claude Debussy’, musicista francese”, per marcare la sua distanza da altre nazionalità, in particolare dalla Germania. In questo senso era virulentemente nazionalista, e quindi, in base agli standard odierni, un razzista”.
  2. Appropriazione culturale. Tecnicamente, entrambi i brani incriminati risentono dell’influenza del Ragtime (precursore del jazz), nato dalla musica afroamericana di fine Ottocento, che Debussy aveva avuto modo di conoscere all’esposizione universale di Parigi nel 1889.
  3. Le petit nègredescrive la danza, leggera e allegra, di un ragazzino di strada nero che balla a un ritmo incontenibile.
  4. Golliwog’s Cakewalk si ispira alla travolgente danza afroamericana del cake-walk,che si immagina ballata da Golliwog, celebre bambola nera protagonista di favole per bambini (Debussy ne aveva regalata una all’adorata figlia Chouchou).

Proviamo a estrarre la ratio dell’accusa di razzismo.

  1. Se l’autore di un brano musicale è un patriota, allora il brano è razzista.
  2. Se in un brano di un compositore europeo echeggiano tecnicalità di origine afroamericana, allora il brano è razzista.
  3. Se il soggetto di un brano è un ragazzino nero, allora il brano è razzista.

Ma i ragionamenti più contorti sono quelli dell’ultimo punto, che riguarda il Golliwog’s Cakewalk. Qui l’accusa di razzismo si appunta sulla “nerità” del cakewalk (una danza afroamericana che, in realtà, era nata per prendere in giro i bianchi), sia sulla “nerità” della bambola Golliwog, inventata nel 1895 dalla scrittrice per ragazzi Florence Kate Upton, e popolarissima fra i bambini europei e americani nei primi decenni del Novecento.

Ma perché un soggetto nero rende razzista la musica? Fondamentalmente perché l’anti-razzismo è una forma di pensiero magico, che si dipana così:

– l’autore X dell’opera Z usa il simbolo Y (bambolina nera), che nella sua epoca ha un significato positivo, o neutro;

– successivamente, in altri contesti e da parte di altri soggetti, compaiono anche alcuni usi negativi del simbolo Y;

– il significato negativo di Y viene trasferito retroattivamente sull’opera originaria Z e da lì sul suo autore X, che – da quel momento – diventa ideologicamente “radioattivo”, intoccabile, da cancellare.

Alla faccia dei discorsi sul dovere di includere e sul dialogo fra culture.