La ventilazione meccanica controllata (Vmc) funziona

Conferenza stampa 22 marzo 2022

 

La ventilazione meccanica controllata (Vmc) funziona

  1. La ricerca

La Regione Marche ha finanziato, nel marzo 2021, un bando per l’acquisto e l’installazione degli impianti di Ventilazione Meccanica Controllata (VMC) nelle aule scolastiche. L’intervento era finalizzato a garantire le lezioni in presenza, in quanto le evidenze scientifiche disponibili indicavano nella Ventilazione Meccanica Controllata (VMC) un efficace strumento per contrastare la diffusione di Sars-CoV-2, riducendo la permanenza degli elementi inquinanti nell’aria. Le domande risultavano essere complessivamente n.187, per un totale 3.027 aule distribuite in 323 scuole marchigiane, per un importo finanziato di 9 milioni di euro. Le prime scuole beneficiarie del finanziamento, nel periodo estivo predisponevano gli impianti di ventilazione meccanica, al fine di iniziare l’anno scolastico con la strumentazione attiva e correttamente funzionante. Su queste basi nel 2021/2022 con la collaborazione della fondazione Hume, si è sviluppato uno studio che permetteva la comparazione tra due insiemi di osservazioni:

  • Nel primo insieme: le classi con l’istallazione della Ventilazione Meccanica Controllata VMC (più di 300, il 3% sul totale delle classi)
  • Nel secondo insieme: le classi senza la ventilazione meccanica.

Questa comparazione era strutturata analizzando i dati dell’incidenza (i nuovi casi positivi) da Sars-CoV-2 nei due insiemi oggetto di osservazione, classi con VMC vs classi senza ventilazione. Questo studio è stato strutturato attraverso il coinvolgimento di tutti gli ordini di scuola, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria superiore.

Su questa premessa la Fondazione Hume ha chiesto alla Regione Marche di poter analizzare i dati raccolti, in modo da stimare l’efficacia della VMC nel contrastare la trasmissione dell’infezione.

A questo scopo sono stati costruiti un certo numero di modelli matematico-statistici, atti a valutare l’impatto della VMC sul rischio di trasmissione, al netto di altri effetti quali l’ordine della scuola e il numero di alunni per classe.

 

  1. Metodi

Per stimare l’efficacia della Vmc sono stati usati 2 indicatori di trasmissione, basati sul conteggio dei cluster di casi (2 o più casi entro la medesima classe). L’impatto della Vmc è stato valutato sia in modo grezzo, ovvero confrontando i valori dei due indicatori su fasce di classi omogenee quanto al numero di ricambi-ora, sia con tecniche di regressione, tenendo sotto controllo il numero di alunni per classe e il tipo di scuola.

Fra le molte stime di efficacia della Vmc ottenute, di norma sono state selezionate le più prudenti.

  

  1. Risultato principale

Il rischio di trasmissione si può stimare calcolando, per ogni classe, il rapporto fra numero di casi attribuibile ad infezioni avvenute entro la classe e il numero di esposti, ossia di alunni per classe.

Ponendo a 100 il valore dell’indicatore per le classi prive di VMC si può determinare il rischio relativo di infezione per le aule dotate di VMC. Tale rapporto è pari al 37.2%, il che vuol dire che la presenza della VMC in classe abbatte il rischio di trasmissione di un fattore vicino a 3 (indicatore medio).

La portata massima degli apparecchi installati varia notevolmente da scuola a scuola, in un range che va da 100 a 1000 metri cubi-ora. Se distinguiamo le classi in base alla portata degli apparecchi installati, scopriamo che il rischio relativo può scendere intorno a un valore compreso fra 5 e 6 se la portata supera i 750 metri-cubi ora, il che equivale – approssimativamente – a 5 ricambi-ora.

Si può riassumere tutto questo calcolando come cresce il fattore di abbattimento del rischio man mano che sale la qualità della VMC, misurata dal numero di ricambi-ora.

Come indicato nella tabella 1.2 l’indicatore di trasmissione varia in base alla presenza di scuole con VMC/senza VMC o con una differente portata di metri cubi/ora della VMC. Si osserva una variazione dell’efficacia da: 40% correlata ad un ricambio/ora di 0,67-3,33, ad un 66,8% di efficacia correlata a 3,33 – 4,67 ricambio/ora a 82,5% di efficacia con 4,67-6,66 ricambio/ora.

Si vede bene che la VMC, specie se adeguatamente dimensionata (6 o più ricambi-ora), ha una capacità di abbattere il rischio di infezione da Sars-CoV-2 di oltre l’80%. Utilizzandola nelle scuole, si potrebbe passare da un tasso di Incidenza di 250 su 100.000 (soglia di rischio individuata dal Ministero) a un tasso di 50 su 100.000 con l’abbattimento di massimo di efficacia.

Sorprendentemente, il fattore di abbattimento del rischio (compreso fra 5 e 6), desunto da questa ricerca sul campo, corrisponde perfettamente a quello ricavabile dagli studi degli ingegneri ed esperti di qualità dell’aria, basati su esperimenti controllati (vedi

Mikszewski, A., Stabile, L., Buonanno, G., Morawska, L., Increased close proximity airborne transmission of the SARS-CoV-2 Delta variant, Science of the Total Environment, 816, 2022).

 

  1. Notizie sui dati

Il data set finale è costituito da un file con 10465 record (pari al numero delle classi), ciascuno descritto da 21 variabili (più i campi identificativi della classe e della scuola).

Le variabili fondamentali che descrivono ogni classe sono le seguenti:

  • provincia
  • plesso
  • ordine della scuola
  • sezione
  • annualità
  • numero di alunni della classe
  • numero di studenti positivi in 12 periodi diversi
  • presenza/assenza della VMC
  • marca impianto VMC
  • modello impianto VMC

I 12 periodi considerati corrispondono alle settimane, salvo il periodo iniziale, che va dal 13 settembre al 10 ottobre, e il periodo finale, che va dal 7 al 31 gennaio.

Le classi considerate sono tutte quelle senza Vmc (10125), più tutte quelle dotate di Vmc fin dal 13 settembre (316 su 340): in tutto 10441 classi.

Infine, ecco alcune informazioni sintetiche sulle classi considerate.

Per questa prima fase di studio, la percentuale di classi presa in esame è pari al 3% del totale.

L’analisi completa sarà disponibile nei prossimi giorni




Lo scivolamento a Sud delle Marche. Prima l’economia, adesso la politica

La mappa per regione dei risultati della recente consultazione elettorale divide l’Italia in due – fra centro-destra e movimento Cinque Stelle– sbiadendo o indebolendo l’idea di un’Italia divisa in tre: il nord-ovest, il nord-est centro e il mezzogiorno. Questa suddivisione era stata proposta nel 1977 dal sociologo Arnaldo Bagnasco, all’epoca all’Università di Firenze, in un libro che si intitolava appunto ‘Le tre Italie’. La tesi dello studio ribaltava l’idea, fino ad allora consolidata, di un’Italia divisa in due fra un nord sviluppato e un sud arretrato. Secondo Arnaldo Bagnasco, l’Italia era divisa in tre: da una parte il nord-ovest, area di prima industrializzazione dominata dalla grande impresa; dall’altra il sud, economicamente arretrato e con basso tasso di industrializzazione; in mezzo le regioni del nord-est e del centro. Che non erano semplicemente in una situazione intermedia fra le due ma erano caratterizzate da un peculiare modello economico, frutto di una più recente industrializzazione e basato su imprese di piccola e media dimensione.

L’idea non era del tutto nuova. Già nel 1974, in un convegno organizzato dalla Fondazione Aristide Merloni ad Ascoli Piceno si era parlato di ‘via Adriatica allo sviluppo’ notando le similitudini nell’organizzazione delle imprese e delle attività industriali nelle regioni che si affacciavano sull’Adriatico; a partire da quelle del Nord-est fino alle Marche. Queste prime intuizioni trovarono una più robusta sistemazione teorica nei primi anni ’80 con la stilizzazione del ‘modello NEC’ (Nord-est centro) da parte di Giorgio Fuà (fondatore della Facoltà di Economia ad Ancona) e con la riscoperta e rivitalizzazione della categoria del distretto industriale da parte di Giacomo Becattini (economista dell’Università di Firenze). In tutti questi autori era ben salda la convinzione che a caratterizzare la ‘terza Italia’ (come veniva definita nel libro di Bagnasco) non fosse solo l’economia, e in particolare la struttura industriale, ma anche l’organizzazione sociale e i valori fondanti le comunità locali. Non è un caso che tutti questi autori fanno risalire le peculiarità della terza Italia a caratteri strutturali di lungo periodo; in particolare l’organizzazione agricola preesistente all’espansione industriale, fondata sul sistema mezzadrile e sulla piccola proprietà coltivatrice. La famiglia colonica, diffusa in queste regioni, avrebbe fatto da incubatore del sistema di industrializzazione diffusa affermatosi nel secondo dopoguerra. Queste peculiarità dell’organizzazione economica e sociale si traducevano anche in specifici orientamenti politici, significativamente diversi nelle regioni della terza Italia rispetto a quelle delle altre due aree. Le differenze, come noto, erano particolarmente evidenti nelle regioni cosiddette ‘rosse’: Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche.

Non mancavano e non mancano, ovviamente, le differenze fra le regioni della terza Italia, sia sul piano dello sviluppo industriale sia sul piano sociale. Tuttavia, gli elementi di similitudine sembravano prevalenti. Fra questi anche la rilevanza delle istituzioni ‘intermedie’, dai partiti alle associazioni e alle istituzioni locali, che hanno svolto un ruolo rilevante di indirizzo e rappresentanza soprattutto nelle regioni, come le Marche, dove lo sviluppo industriale è avvenuto in assenza di significativi interventi da parte dello stato centrale.

I confini di questa ‘terza Italia’ sembrano del tutto cancellati dalla distribuzione delle quote fra i principali schieramenti nelle ultime elezioni politiche; se si eccettua la tenuta del centro- sinistra in alcuni collegi della Toscana e della Romagna. Per il resto prevale una spaccatura del paese fra centro destra al centro-nord e movimento cinque stelle al sud. Il taglio, però, non è lungo la linea est-ovest poiché la prevalenza del Movimento Cinque Stelle risale lungo la linea adriatica fino a Pesaro. Nella generale prevalenza della volontà di cambiamento le Marche sono accomunate alle regioni del sud nell’espressione del disagio sociale ed economico piuttosto che alle istanze delle regioni più sviluppate del nord.

Negli scorsi mesi alcuni commentatori su questo giornale (‘Corriere Adriatico’ ndr) hanno evidenziato il rischio di un progressivo ‘scivolamento’ delle Marche verso le regioni del sud Italia, per effetto delle difficoltà indotte dalla lunga crisi. I risultati elettorali sembrano fornire conforto a questa tesi. Non del tutto fondata se si considerano i livelli dei principali indicatori economici e sociali, che rimangono ancora decisamente superiori rispetto alle regioni del mezzogiorno. I risultati elettorali dimostrano però che non sono tanto i livelli degli indicatori a contare quanto piuttosto la loro variazione, che negli ultimi anni è stata quasi sempre in negativo. È mia convinzione che la situazione di disagio, sociale ed economico, è accentuata non solo dall’andamento recente dell’economia ma anche dalla mancanza di prospettive per il futuro. Alla crisi del ‘modello marchigiano’ non si è ancora sostituita una visione delle nuove prospettive di sviluppo; e, di conseguenza, di una strategia capace di indicare obiettivi e mobilitare risorse. È la principale sfida che attende le nuove élite politiche, al governo come all’opposizione.

Articolo pubblicato sul Corriere Adriatico il 7 marzo 2018