Lacrime da coccodrillo e sorrisi da kiwi

Datemi pure dell’insensibile (io preferirei “razionale”), ma non mi commuovono proprio le lacrime di Angela Merkel, che (ovviamente) si sono prese le prime pagine di tutti i giornali del mondo. Certo, sempre meglio (del resto ci vuol poco) del miserabile spettacolo che sta dando la politica nostrana. E meglio ancora delle lacrime c’è il fatto che (finalmente!) un politico europeo ha pronunciato la fatidica parola, ammettendo che le misure adottate sono state finora “inefficaci”. Inoltre, in Germania i risarcimenti a chi si vede chiudere l’attività sono una cosa seria (e in più non li chiamano “ristori”, che non è affatto un dettaglio secondario: spiegherò in un prossimo articolo perché). Ma gli aspetti positivi finiscono qui.

Anzitutto, infatti, teniamo presente che stiamo parlando del paese più ricco, potente e organizzato di tutta l’Europa, che, ciononostante, ha avuto 28.241 morti in valore assoluto e 337 morti per milione (mpm) in valore relativo alla popolazione, che è poi quello che conta davvero e che il triplo di quello che accusava alla fine dell’estate. Certo, sono sempre meglio dei catastrofici 1156 mpm dell’Italia e dei 1610 mpm del Belgio, fin dall’inizio “maglia nera” del mondo, salvo una breve parentesi in estate, quando, grazie al caldo che ci ha dato una mano, era stato superato dal Perù. E meglio anche dei 1059 della Spagna, dei 1004 della Gran Bretagna, dei 994 degli USA e dei 944 della Francia, solo per citare gli altri paesi leader dell’Occidente, che, incredibilmente, sono tutti messi peggio della grande maggioranza dei paesi sudamericani.

La Germania invece è messa un po’ meglio di questi ultimi, ma soltanto un po’, avendo un numero di mpm che è circa la metà del loro, il che è assolutamente surreale, dato il vero e proprio abisso che c’è fra le rispettive istituzioni sanitarie e statali. Anche ammettendo che là i morti siano sottostimati, non possono comunque esserlo più di tanto, perché non stiamo parlando di “Stati falliti” che non sono nemmeno in grado di contarli o (Venezuela a parte) di dittature che mentono intenzionalmente. Ora, anche se i mpm della Germania fossero in realtà non la metà, ma “solo” un terzo o un quarto di quelli di paesi come Colombia (ufficialmente 800), Ecuador (785) o Bolivia (770), il fatto resterebbe ugualmente tanto incredibile quanto ingiustificabile. E non dimentichiamo che alcuni paesi sudamericani, non affidabili al 100%, ma comunque abbastanza affidabili, come Paraguay (293) e Uruguay (34), dichiarano un numero di mpm addirittura inferiore rispetto ai tedeschi (nel secondo caso di ben il 90%).

Ma anche restando nell’ambito dei paesi più avanzati, dove siamo sicuri che i dati sono sostanzialmente omogenei, le cose non vanno molto meglio. In Europa la grande Germania sta appena un pochino meglio della derelitta Grecia (417 mpm) e della Lituania (404), paese che però nella prima fase aveva rapidamente azzerato il contagio con appena 81 morti (29 mpm), mentre adesso sta pagando la generosa ospitalità offerta ai profughi della Bielorussia, che ufficialmente dichiara appena 142 mpm, ma, essendo una dittatura tra le più scellerate del pianeta, ha di sicuro una situazione molto più grave. La Germania sta invece leggermente peggio della Serbia (319) e della Slovacchia (296), parecchio peggio di Lettonia (245), Danimarca (184) ed Estonia (145), molto peggio di Finlandia (92), Islanda (82) e Norvegia (74) e moltissimo peggio dei paesi orientali ed oceanici, che hanno gestito meglio di tutti al mondo l’emergenza: Taiwan (0,3 mpm), Nuova Zelanda (5), Singapore (5), Corea del Sud (14), Giappone (23) e Australia (35).

La cosa più preoccupante è però che in questa seconda fase la Germania ha avuto un numero di morti che è già il doppio rispetto alla prima e, soprattutto, da diversi giorni ha il più alto tasso al mondo di morti al giorno rispetto alla popolazione. Ieri perfino in valore assoluto era il secondo peggior paese al mondo, dietro soltanto agli USA di Trump il Pazzo (944 contro 2662), che però hanno il quadruplo di abitanti, per cui in proporzione l’incremento della Germania è stato superiore: 11,2 mpm contro 8 mpm.

Ancora più impietoso è il paragone con i paesi orientali ed oceanici, in particolare con i secondi, perché ultimamente il “modello coreano”, che è anche quello del Giappone, sta avendo un po’ di problemi (il che merita una riflessione a parte, che farò in un prossimo articolo). Qui, infatti, la cosiddetta “seconda ondata” (altro termine improprio e fuorviante su cui mi riprometto di tornare in futuro) semplicemente non c’è mai stata, se consideriamo che tra Taiwan (che, tra parentesi, nella mappa ufficiale della OMS continua a non esistere), Singapore, Nuova Zelanda e Australia, con una popolazione totale di oltre 60 milioni, a novembre ci sono stati in totale appena 2 morti (1 a Singapore e 1 in Australia), ovvero 0,03 mpm, e a dicembre finora neanche uno, mentre in Germania sono stati rispettivamente 6.279 (75 mpm) e 11.379 (135 mpm). Stiamo parlando di una differenza, o meglio, di un abisso di ben 4 ordini di grandezza, che è qualcosa di al di là del bene e del male, specialmente in paesi che hanno più o meno lo stesso livello di sviluppo economico e tecnologico.

Va da sé, ovviamente, che il paragone è ancor più impietoso per l’Italia, che, con una popolazione praticamente identica a quella dei quattro paesi suddetti, di morti ne ha avuti 16.958 (283 mpm) a novembre e 14.266 (237 mpm) in questa parte di dicembre. E, già che ci siamo, faccio notare che in un articolo pubblicato su questo stesso sito il 19 ottobre (Il lockdown che non c’è mai stato e quello che ci vorrebbe) concludevo dicendo che se non avessimo immediatamente e radicalmente cambiato rotta avremmo presto pianto altri 35.000 morti: detesto aver ragione… Ma per una volta non è di noi che stiamo parlando.

Infatti, tutto ciò dimostra, purtroppo, quello che ho sempre sostenuto (cfr. il mio articolo del 6 giugno su www.ilsussidiario.net e quello, appena citato, del 19 ottobre su questo sito) e cioè che la Germania non è mai stata un modello, neanche nella prima fase, perché le sue politiche di prevenzione sono sempre state sostanzialmente le stesse che hanno catastroficamente fallito in tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale. In particolare, neanche lì si è mai capito (o voluto capire), che, come dicono sia il buon senso che gli studi scientifici, il modo in cui ci si contagia più facilmente è stando al chiuso per molto tempo con persone adulte, il che significa in ufficio e in fabbrica: guarda caso, gli unici luoghi che non sono mai stati chiusi.

La differenza con l’Italia, che sembrava enorme (ma il discorso vale anche per altri paesi), era in realtà dovuta in gran parte alla gestione delle case di riposo, che i tedeschi avevano difeso in modo perfetto, mentre noi malissimo, arrivando al punto di ricoverarci i malati di Covid, il che ci era costato oltre 9.000 dei nostri 35.000 morti. Tenendo conto che in Germania gli anziani che stanno in casa di riposo sono il doppio rispetto all’Italia, ne deriva che se noi le avessimo gestite come loro avremmo avuto 26.000 morti, mentre se loro le avessero gestite come noi ne avrebbero avuti 27.000. Il resto l’ha fatto la maggiore efficienza tedesca (vedi per esempio la gestione dei tamponi), ma non una vera differenza qualitativa nelle misure adottate.

Non è quindi strano che, ridimensionato di molto il peso di questo fattore (perché almeno alle case di riposo abbiamo imparato a farci un po’ più di attenzione, benché ancora non abbastanza), anche il gap con la Germania si sia ridotto sensibilmente. Quello che invece è davvero strano, nonché imperdonabile, è che questo la Merkel l’abbia capito solo ora, mentre era evidente fin da maggio, così come era evidente fin da maggio che il crollo dei contagi verificatosi proprio in quel periodo era dovuto essenzialmente all’arrivo dell’estate, visto che non erano state prese nuove misure, anzi, un po’ ovunque si stava riaprendo anche quel che era stato chiuso.

Ma la cosa più grave è che la sua reazione dimostra che tale incomprensione dei fatti perdura, dato che alla fine l’unica cosa che ha saputo fare è stato riproporre le stesse misure fallimentari di sempre, sia pure in forma più rigida, oltre al solito appello (ipocrita e vergognoso) alla popolazione perché rispetti le regole, il che implicitamente sottintende che fin qui non le aveva rispettate abbastanza, il che è falso è comunque irrilevante, visto che lei stessa ha ammesso che erano inefficaci. Certo, almeno una parte delle responsabilità Frau Angela se l’è presa, il che rispetto a Conte, che non se ne prende mai neanche mezza e ci tratta sempre come una massa di scolaretti indisciplinati e un po’ stupidi, è sempre un bel salto.

Ma il problema è che per valutare un leader il paragone non va fatto con i peggiori, bensì con i migliori: e i migliori, in questo caso, sono stati quelli dei paesi oceanici, in particolare la straordinaria Jacinda Ardern, giovanissima premier neo-rieletta (a maggioranza assoluta: e vorrei vedere…) della Nuova Zelanda, che da maggio è senza morti e senza virus, sicché la gente può “assembrarsi” senza preoccupazioni e soprattutto senza mascherine, come chiunque può verificare con i suoi occhi guardano la folla sorridente che proprio in questi giorni nel mitico Golfo di Hauraki assiste alle regate della Coppa America, che magari i kiwi vinceranno pure (lo spero: se la meritano e magari questo aiuterà a far conoscere al mondo quello che hanno fatto).

Che la Merkel, pur ammettendo il fallimento, si ostini ancora a fare di testa sua invece di imparare da loro fa sì che purtroppo le sue, quandanche soggettivamente sincere, siano oggettivamente lacrime da coccodrillo.




Noi e l’Europa/L’illusione che Macron ci salvi dalla Merkel

Il parziale insuccesso di Angela Merkel e la netta avanzata di Alternative für Deutschland (AfD), partito nazionalista anti-immigrati, sembra aver suscitato, in Italia, due reazioni opposte. Al di là della preoccupazione per l’avanzata di una forza radicalmente anti-europea, valutazione che accomuna la maggior parte delle forze politiche (con le importanti eccezioni di Lega e Fratelli d’Italia), il vero punto di frattura fra gli osservatori sono le conseguenze economiche del voto tedesco.

Per alcuni l’indebolimento della Merkel comporterà la fine dell’egemonia franco-tedesca sull’Europa, e lascerà più gradi di libertà a paesi come la Francia e l’Italia, specie in materia di deficit pubblico. Per altri è invece possibile che l’ingresso al governo dei liberali renda ancora più severe le politiche seguite fin qui, non solo in termini di flessibilità, ma anche in materie come la politica monetaria (fine del Quantitative Easing) o le regole bancarie (minori possibilità, per le banche, di detenere titoli di Stato di paesi altamente indebitati). I primi sperano che Macron faccia da argine alla Merkel facendoci passarea ad “un’Europa plurale”, i secondi temono che ad avere la meglio sia ancora una volta la cancelliera tedesca, con conseguente rafforzamento delle politiche di rigore care al ministro Schäuble.

Ma è fondata l’idea che Macron possa fare da argine alla Merkel?

Per certi versi sì, perché in effetti, come ha giustamente rilevato Lucrezia Reichlin qualche giorno fa, i punti di vista dei due paesi sulla politica economica europea non collimano. La Francia vede di buon grado un accrescimento delle risorse a disposizione delle autorità sovranazionali per attuare politiche di stabilizzazione, la Germania pensa a un accrescimento del potere di sorveglianza, se non di ingerenza, sulle politiche nazionali, troppo sbilanciate dal lato della spesa.

Per altri versi, invece, penso che gli entusiasti dell’europeismo anti-tedesco di Macron si illudano. E lo penso per una ragione molto semplice: a suo tempo mi è capitato di leggere Rivoluzione, il libro in cui Emmanuel Macron enunciava il suo programma, uscito nel 2016 in Francia, e tradotto quest’anno in Italia (La Nave di Teseo, 2017). Di quel libro, la cosa che più mi aveva colpito, sul piano politico, è il modo in cui il futuro presidente della Repubblica francese parlava della Germania. Un modo estremamente rispettoso dell’alleato tedesco, e assolutamente autocritico riguardo alle scelte passate della Francia. Lungi dall’immaginare un futuro braccio di ferro con la Merkel, Macron delinea una vera e propria politica dei due tempi, in cui l’autoriforma della Francia precede ogni richiesta alla Germania, e anzi ne è la condizione di legittimità:

“Se vogliamo convincere i nostri partner tedeschi ad andare avanti, il nostro compito primario sarà quello di riformarci. Oggi la Germania è attendista, e boccia molti progetti europei perché non ha fiducia in noi”. E tale sfiducia, spiega Macron, è perfettamente giustificata, perché noi francesi (ma il medesimo discorso potrebbe essere fatto per l’Italia), la fiducia della Germania “l’abbiamo tradita almeno tre volte: nel 2003-2004 impegnandoci a introdurre riforme di fondo che solo i tedeschi hanno poi condotto; nel 2007 bloccando unilateralmente l’agenda di riduzione della spesa pubblica che avevamo stabilito insieme; e ancora nel 2013 guadagnando tempo senza poi concludere nulla di concreto”.

Di qui un impegno: “nell’estate 2017 presenteremo la strategia delle riforme di modernizzazione del paese e il piano quinquennale di riduzione delle spese correnti, provvedendo senza indugio alla loro attuazione”.

E’ solo a questo punto del ragionamento che Macron introduce la visione francese del futuro dell’Europa: “in cambio chiederemo ai tedeschi di procedere a una vera riprogrammazione di bilancio. Essi dovranno concordare con noi sull’idea di un bilancio dell’eurozona, nonché sull’autorizzazione di futuri investimenti nel complesso dei paesi dell’eurozona”.

Come si vede siamo lontanissimi dal registro vittimistico che accomuna tutto l’arco delle forze politiche nostrane. Nessuna richiesta di aumentare il deficit, nessuna accusa all’Europa di essere l’origine dei guai francesi, nessuna giaculatoria sulla flessibilità di bilancio.

Chi plaude a Macron e lo vede come il contrappeso al potere della Merkel forse dovrebbe riflettere. Si può pensare che la rigidità tedesca sia l’origine principale dei guai italiani (io non lo penso). Ma immaginare che sia Macron a tirarci fuori dai nostri guai ammorbidendo la politica della Germania mi pare decisamente azzardato. Perché, giusta o sbagliata che sia l’impostazione dei problemi europei che egli ha enunciato nel suo libro-manifesto, quella è una visione da uomo di Stato. Precisamente la materia prima che scarseggia in Italia.

Pubblicato su Il Messaggero il 30 settembre 2017