Tamponi. L’Italia ne fa di più degli altri paesi?

La Fondazione Hume pubblica oggi (16 aprile) sul suo sito un confronto internazionale sulla capacità rispettiva di fare tamponi dei principali paesi avanzati.

Il risultato è il seguente:

Come si vede, su 23 paesi solo 4 (fra i quali Francia e Regno Unito) hanno fatto meno tamponi dell’Italia. La Spagna è di poco superiore a noi, negli Stati Uniti la capacità risulta quasi doppia che in Italia, in Germania è 3 volte e mezzo.
Va detto comunque, per completezza e dovere di verità, che i paesi diversi dall’Italia hanno quasi tutti beneficiato, causa il ritardo con cui l’epidemia si è manifestata, della clamorosa marcia indietro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che dopo aver a lungo predicato di fare pochi tamponi, il 16 marzo ha repentinamente cambiato idea, e cominciato a predicare di farne il più possibile.
Forse la vera colpa dell’Italia è stata di attenersi alle indicazioni dell’OMS, anziché alle voci di tanti suoi scienziati.

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Nota esplicativa

Secondo il governo l’Italia è il paese del G20 che fa più tamponi per abitante. E’ vero.
Anzi era vero quando, in risposta alle 7 domande del “Messaggero”, il governo rilevava (giustamente) il primato dell’Italia in materia di tamponi.
Ora non è più vero, perché oggi 16 aprile la Germania ha sorpassato l’Italia, con 20.6 tamponi per 1.000 abitanti, contro i nostri 19.5. E questo nonostante l’epidemia, in Germania, sia partita con più di 3 settimane di ritardo rispetto all’Italia.

La scelta dei paesi del G20 come termine di paragone solleva due problemi:
a) nella maggior parte dei paesi del G20 l’epidemia non ha ancora raggiunto neppure la soglia di 10 decessi per milione di abitanti (i    paesi del G20 significativamente interessati dall’epidemia sono solo 4, oltre all’Italia).
b) il confronto appropriato non è fra numero di tamponi per abitante adesso, ma in momenti comparabili dell’epidemia (ad esempio dopo 10 giorni, dopo 2 settimane, dopo un mese, ecc.).

Un modo di risolvere questi due problemi è il seguente:
a) considerare tutte le società avanzate (Oecd o Unione Europea) per cui esistono dati sui tamponi, e nelle quali si sia superata la soglia di allerta dei 10 morti per milione di abitanti;
b) confrontare il numero di tamponi di un paese con quello dell’Italia nel medesimo stadio dell’epidemia.
Il risultato è il grafico riportato sopra.




Coronavirus, come stanno andando le cose

(bollettino di mercoledì 15 aprile, ore 20.00)

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume rende pubblico quotidianamente (alle ore 20.30) un nuovo indice sintetico utile per capire come sta procedendo l’epidemia di Coronavirus (per maggiori dettagli vedi oltre).

Risultati
Oggi (mercoledì 15 aprile), la temperatura è tornata a scendere, anche se in misura quasi impercettibile (ieri era appena sotto 37.7, oggi è appena sopra 37.6).

Alla base di questo lieve miglioramento rispetto a ieri non vi è l’andamento dei decessi, sostanzialmente invariati da 10 giorni intorno alle 600 unità (oggi 578, ieri 602), ma quello dei ricoveri ospedalieri, soprattutto ordinari: la diminuzione di oggi (-368) è la più marcata dall’inizio dell’epidemia.
La riduzione settimanale della temperatura (da mercoledì a mercoledì) è di poco più di una linea, mai così modesta da quando è iniziata la nostra rilevazione.

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APPENDICE. Il progetto “Temperatura Italia”

A partire da lunedì 30 marzo 2020 la Fondazione David Hume pubblica su questo sito, entro le ore 21, un nuovo indice sintetico che misura la velocità di espansione dell’epidemia. L’indice si basa sui dati comunicati poche ore prima dalla Protezione Civile, ma li rielabora per renderli più stabili e più agevolmente interpretabili.

 Perché abbiamo pensato a un nuovo indice

 L’idea di costruire un indice quotidiano è nata dalla nostra profonda insoddisfazione sia per la natura dei dati della Protezione Civile, sia per il modo in cui essi vengono quotidianamente comunicati e commentati.

A nostro avviso i principali difetti dei dati sono due:

  1. la variazione giornaliera del numero di positivi al test è scarsamente informativa (e spesso fuorviante), perché pesantemente influenzata dal numero di tamponi;
  2. tutte le variazioni giornaliere (non solo quella del numero di positivi) risentono gravemente dei ritardi nella trasmissione e registrazione dei dati.

In sostanza: non è possibile capire se le variazioni osservate riflettono la realtà o le politiche e le procedure messe in atto (quanti tamponi fare, quando trasmettere i dati).

L’indice sintetico di “temperatura” della Fondazione Hume, che misura la temperatura del paziente Italia (ossia l’avanzata dell’epidemia), è costruito per minimizzare l’impatto di questi difetti.

A questo scopo l’indice di temperatura utilizza esclusivamente le tre serie più affidabili e informative (ricoverati con sintomi, ricoverati in terapia intensiva, deceduti) e calcola il tasso di crescita in modo poco sensibile alle fluttuazioni nel processo di trasmissione dei dati.

Come si legge l’indice

L’indice ha una interpretazione estremamente semplice e intuitiva, essendo costruito come un comune termometro che misura la febbre (del malato Italia, nel nostro caso), su una scala da 37 a 42 gradi. Una temperatura di 42° indica che l’epidemia sta galoppando a una velocità assai alta (15% al giorno), come di solito accade solo nelle fasi iniziali di un’epidemia. Una temperatura di 37° gradi indica che l’epidemia è sostanzialmente sopita, perché la velocità di crescita è prossima a zero.

La velocità tendenziale viene ricalcolata ogni giorno, tenendo conto dell’andamento delle ospedalizzazioni e dei decessi degli ultimi tre giorni.




I già contagiati sono 10 milioni. Intervista di Alessandra Ricciardi a Paolo Gasparini

Riproponiamo l’intervista di Alessandra Ricciardi a Paolo Gasparini, ordinario di genetica all’Università di Trieste, pubblicata il 15 aprile 2020 su ItaliaOggi.

I già contagiati sono 10 milioni




Contagion. Come si esce vivi da un film catastrofico?

Facciamo un gioco.
“Stiamo analizzando l’efficacia di molti farmaci. Ma finora la nostra migliore difesa è il distanziamento sociale. Evitare strette di mano, stare a casa se ci si ammala, lavarsi spesso le mani”.
Chi ha detto questa frase?
Borrelli nella conferenza stampa delle 18? Franco Locatelli del CSS? Il presidente Conte?
No. L’ha detta Laurence Fishburne nel 2011, interpretando il dottor Cheever nel film “Contagion” di Steven Soderbergh.
La battuta l’ha scritta Scott Z.Burns, autore della sceneggiatura, ed è perfettamente realistica, come quasi tutto il resto.
In “Contagion”, una pandemia che arriva da un pipistrello di Hong Kong fino all’uomo miete qualche milione di vittime tutto il mondo. La dinamica di trasmissione, i dialoghi tra i medici, l’armamentario di mascherine e guanti sembra uscito dalle cronache del 2020.
Preveggenza?
Ovviamente no, solamente cinema ben fatto. All’epoca Soderbergh e Burns si sono avvalsi della consulenza di Ian Lipkin, celebre virologo del Center for Infection and Immunity della Columbia University, che si è limitato a immaginare ciò che era perfettamente immaginabile.
Qualche giorno fa Ian Lipkin ha annunciato di aver preso il Coronavirus.
Una bizzarra e crudele forma di contrappasso: è come se una fantasia fosse arrivata a vendicarsi di chi l’ha pensata.
La cosa interessante però non è notare le somiglianze tra “Contagion” e la realtà, quanto vedere le differenze.
Una su tutte. Nel film, intorno al giorno 30 dall’inizio della pandemia, esplodono violente tensioni sociali. Rivolte, incendi, saccheggi, vetri in frantumi, supermercati assaltati.
Immagino le riunioni di sceneggiatura tra Soderbergh e Burns, e ammetto che non so come dare loro torto su quella scelta. Era uno scenario perfettamente credibile.
Però nella realtà non è successo.
Fino ad ora, la risposta della comunità alla più grande emergenza degli ultimi ottanta anni è stata più composta, più pacifica, più riflessiva di come più o meno tutti avremmo potuto immaginare.
Abbiamo avuto la prova, casomai ce ne fosse bisogno, che i cattivoni da film catastrofico pronti a prendere d’assedio tutti e tutto non ci sono, o se ci sono sono pochi.
Le persone, tutte, reagiscono in funzione dei loro bisogni: assaltano i supermercati solo se non hanno più nessuna alternativa, e quindi, più che immaginare sempre le colpe degli altri, sarebbe il caso di darla, una alternativa, prima che la predizione di “Contagion” possa, alla fine, farsi reale.
Cosa vuol dire “dare un’alternativa”?
Non vuol dire riaccendere la macchina il prima possibile, rimandare tutti a lavorare prima del dovuto, questo lo abbiamo capito.
Il tempo della medicina è quello che comanda, ed è un tempo lento e tirannico, che non concede sconti nemmeno a chi è abituato a fare ciò che vuole con le vite degli altri.
E’ una occasione da cogliere, questa revisione delle priorità. Da troppi anni ci è stato raccontato che la produzione è un dogma indiscutibile, che è un valore in sé, che prescinde dalla qualità della vita di chi lavora nel nome del bene supremo dell’aumento della ricchezza.
Non ci si può fermare. E’ impossibile, impensabile.
Beh, ci si è fermati.
Il Coronavirus ha scassato il giocattolo.
E ora si chiede agli stati, che nel paradigma pre-pandemia il mercato voleva sempre più deboli e asserviti a logiche economiche, di tornare forti.
Si chiede agli stati di assistere e sostenere, di immaginare un futuro e governarlo. Si chiede insomma agli stati di fare quello che, in tempi di crisi, il mercato non riesce a fare.
Lo stesso mercato che ha rotto gli equilibri, che ha squarciato il tessuto sociale, che ha creato sacche di povertà e disparità inimmaginabili solo pochi decenni fa, ora chiede a qualcun altro di raccogliere i cocci.
Ma il danno era già lì. Se non ci si poteva fermare era perché si stava correndo troppo veloce, evidentemente.
Sarà il caso che i governi, e gli organismi sovranazionali, a cominciare dall’Europa, raccolgano questo invito.
L’alternativa è l’assalto ai supermercati, e sarebbe un assalto con delle buone ragioni.
Sarà il caso che la politica raccolga questo invito a tornare centrale nelle vite delle persone, ma per farlo deve avere una visione.
Lo stato di ansia ci spinge a sperare che tutto torni come prima il più in fretta possibile.
E’ comprensibile, perfino sano. Una normale reazione al dolore.
Ma non è a prima che bisogna tornare.
Il “prima” è ciò che ha generato tutto questo.
Se la reazione si ridurrà a prestare un po’ di soldi alle imprese perché la macchina riparta più o meno com’era, rabberciata e zoppicante, alla lunga da questa crisi usciremo soltanto tutti ancora più poveri e più fragili.
Se invece coglieremo l’occasione per creare un mondo più equo, forse, nel dramma, almeno questo maledetto morbo sarà servito a qualcosa.
Perché, vista da qui, mentre la gente muore, la realtà com’era anche solo sei mesi fa sembra meravigliosa.
Ma è una illusione ottica.
Il mondo non era un granché nemmeno prima. Non dimentichiamocelo.




Umbria e Basilicata: la lepre e la lumaca nella lotta al Coronavirus

(il termometro della Fondazione Hume regione per regione)

Da lunedì 6 aprile la Fondazione David Hume inizia la pubblicazione di un bollettino settimanale sull’andamento dell’epidemia nelle 19 Regioni italiane e nelle 2 Province autonome di Trento e Bolzano.
Il bollettino settimanale sulle Regioni e Province si affianca al bollettino giornaliero sull’Italia nel suo insieme, che esce ogni giorno alle 20 sul sito della Fondazione, nonché, alla medesima ora, nell’ambito del telegiornale di La7.
Entrambi i bollettini forniscono una valutazione dell’andamento dell’epidemia mediante un nuovo indice sintetico e intuitivo. L’indice si legge come una temperatura, e misura la velocità di propagazione del contagio su una scala che va da 42° (epidemia galoppante) a 37° (epidemia sostanzialmente arrestata).

Risultati dell’ultima settimana. Nel corso della settimana che va da lunedì 6 aprile a lunedì 13 aprile la temperatura dell’epidemia è scesa nella maggior parte delle regioni.
Sei sono invece le regioni che registrano una tendenza all’aumento: Abruzzo, Basilicata, Sicilia, Friuli V.G., Piemonte e Molise.

Se consideriamo le tendenze più recenti, ovvero gli ultimi due giorni della settimana, la regione con la temperatura più bassa (ossia con la dinamica del contagio più lenta) è risultata l’Umbria, quella con la temperatura più alta (ovvero con la dinamica del contagio più pronunciata) è stata la Basilicata.
Oltre all’Umbria, anche altre cinque regioni mostrano un andamento migliore di quello dell’Italia nel suo insieme: Calabria, Marche, Lombardia, Sardegna e Campania.
Per questa settimana la regione-lepre (la più rapida nella corsa ai 37 gradi) è l’Umbria, che ha già raggiunto 37.0.
La regione-lumaca (la più lenta) è la Basilicata, con 38.6.
Questa settimana, nessuna regione ha più di 40 di febbre.

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Appendice

Riportiamo, di seguito, i diagrammi dell’evoluzione settimanale della temperatura nelle 21 Regioni e Province.