Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi 4 maggio, primo giorno della Fase 2, la Fondazione Hume riprende a misurare la temperatura dell’epidemia con uno strumento completamente rinnovato: la scala di temperatura assoluta, espressa in gradi pseudo-Kelvin.

A differenza del termometro precedente, che si ispirava alla scala Celsius, il nuovo termometro, che si ispira alla scala Kelvin, possiede uno zero assoluto, corrispondente alla completa assenza di nuovi contagi, e un “tetto” (posto convenzionalmente pari a 100), che corrisponde a un flusso di nuovi contagi pari a quello della settimana di picco (collocata fra la fine di marzo e l’inizio di aprile).

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 3 maggio) la temperatura è 33.9 gradi pseudo-Kelvin, in diminuzione di 1.7 gradi rispetto a quella del giorno precedente. In concreto significa che oggi il termometro segnala un numero di nuovi contagiati altissimo (circa 34 mila), ma comunque un po’ minore di quello di ieri: 1700 nuovi contagiati in meno.

Fatta 100 la strada che dovevamo percorrere dalla settimana di picco fino al raggiungimento della meta di zero-contagi, possiamo dire che siamo a circa 2/3 del percorso.

Il grafico mostra che la discesa verso contagi-zero è molto più lenta dell’ascesa verso il picco e che, una decina di giorni dopo il picco, si è avuto un notevole rallentamento della discesa, seguito da una vera e propria battuta d’arresto.

E’ il caso di sottolineare, tuttavia, che i dati su cui il termometro si basa, pur essendo aggiornatissimi (ultime comunicazioni della Protezione Civile), non possono misurare la velocità dei contagi in questo momento, ma solo quello che accadeva 2-3 settimane fa: variabili come i decessi, le ospedalizzazioni, i nuovi casi positivi registrati si riferiscono necessariamente ad eventi precedenti.

Il termometro permette di individuare tendenze, ma non può garantire che le tendenze individuate siano proseguite inalterate nelle ultime settimane.

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Nota tecnica

Abbiamo abbandonato lo strumento precedente perché, in una fase di ospedalizzazioni decrescenti come quella in corso da qualche settimana, avrebbe richiesto informazioni che la Protezione Civile non fornisce.

Il nuovo strumento si fonda su 3 tipi di informazioni:

  1. l’andamento dei decessi ufficialmente registrati;
  2. una stima del numero quotidiano di ingressi di pazienti Covid negli ospedali;
  3. l’andamento dei nuovi contagi, corretto per tenere conto del ciclo settimanale e della politica dei tamponi.

Il livello della temperatura è proporzionale al flusso medio giornaliero di nuovi contagi 2-3 settimane fa, epoca cui necessariamente si riferiscono tutti gli indicatori disponibili su base quotidiana.

Una temperatura zero corrisponde a una situazione in cui tutti e tre gli indicatori segnalano un sostanziale arresto dei nuovi contagi: zero nuovi morti, zero nuovi ingressi in ospedale, zero nuovi casi.

Una temperatura pari a 100 corrisponde a un flusso quotidiano di nuovi contagiati intenso come quello registrato nella settimana di picco, collocata fra la fine di marzo e i primi di aprile.

Allo stato attuale dell’informazione, è impossibile stabilire con esattezza a quale temperatura corrisponde 1 grado pseudo-Kelvin. Una stima ottimistica, che assume che il tasso di letalità sia del 2% e il “numero oscuro” dei casi non rilevati sia un po’ minore di 2:1, suggerisce di interpretare ogni grado in più o in meno come una variazione pari a nuovi 1000 contagiati. Una stima meno ottimistica, che assume che il tasso di letalità sia dell’1%, suggerisce che 1 grado pseudo-Kelvin corrisponda a 2000 nuovi casi al giorno.




Più tamponi, meno morti

Un confronto internazionale

Sul fatto che le autorità non dicano il vero, quando affermano che siamo il paese del mondo che fa più tamponi, non ci sono più dubbi. In due contributi precedenti abbiamo ampiamente dimostrato come stanno le cose: se si considera l’anzianità epidemica, l’Italia è uno dei paesi che fa meno tamponi al giorno per abitante.

Come si vede, solo 5 paesi (fra cui Francia e Regno Unito) fanno meno tamponi dell’Italia; gli altri 20 ne fanno di più, talora molti di più (è il caso, ad esempio, di Israele, Grecia, Norvegia).

Fin qui tutto chiaro, anche se spesso negato. Ma ora ci chiediamo: hanno ragione quanti affermano che la politica dei tamponi ha effetti rilevanti sul controllo dell’epidemia? In questo senso si sono pronunciati, fra gli altri, il prof. Massimo Galli (infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano), e l’immunologo Jean François Delfraissy, consigliere di Macron per la gestione dell’epidemia.

Il primo, in un’intervista televisiva, ha ipotizzato che, proprio grazie alla sua elevata capacità di fare tamponi, la Germania fosse uno dei pochi paesi europei importanti con buone chances di uscire relativamente bene dall’epidemia. Il secondo è arrivato a dire che, ove la Francia avesse avuto una capacità di fare tamponi di 100 mila al giorno (anziché soltanto 3 mila), forse non avrebbe consigliato il lockdown al Presidente francese.

A giudicare dai dati disponibili, l’ipotesi di un elevato impatto dei tamponi sul tasso di mortalità di un dato paese è tutt’altro che campata per aria. In questo campo non esistono prove irrefutabili, ma l’analisi dei dati fornisce una forte evidenza a favore dell’ipotesi di un nesso inverso fra propensione a ricorrere ai tamponi e tasso di mortalità: più tamponi si fanno, meno drammatica è la conta finale dei morti.

Dividendo i paesi in classi di propensione a fare tamponi (1° classe tanti, 5° classe pochi) la situazione risultante è la seguente.

Passando dalla prima classe (che include Israele, Lituania e Islanda) all’ultima (che include Italia, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti ma non la Germania), il tasso di mortalità passa – con impressionante regolarità – da 19 a 294 morti per milione di abitanti: un rapporto di oltre 1 a 15. Un’analisi della distribuzione completa suggerisce che le soglie critiche siano situate intorno a 600 e 1000 tamponi al giorno per abitante. Il tasso di mortalità è quasi sempre relativamente modesto sopra i 1000 tamponi al giorno, è quasi sempre molto alto sotto i 600: la Germania è sopra la soglia dei 1000, l’Italia è sotto la soglia dei 600. Indicativamente si può suggerire che, per evitare l’esplosione della mortalità, l’Italia avrebbe dovuto fare il doppio dei tamponi che ha effettivamente fatto. E’ anche interessante osservare che, nel caso della Francia, la soglia di sicurezza fissata da Delfraissy (100 mila tamponi al giorno) corrisponde a circa 1500 tamponi al giorno per abitante, più o meno il valor medio della classe 2.

La relazione inversa fra tamponi e mortalità è ancora più chiara se confrontiamo le posizioni (o ranghi)  dei paesi nelle due graduatorie che si possono stabilire in base alle variabili “propensione a fare tamponi”, e “tasso di mortalità per milione di abitanti”.

Il diagramma mostra con estrema chiarezza che la mortalità tende a decrescere con il numero di tamponi: la correlazione è negativa, pari -0.802.

Il medesimo diagramma diventa ancora più nitido se restringiamo l’analisi ai paesi di tradizione occidentale, eliminando i paesi ex-comunisti. La correlazione inversa, già elevata, aumenta ancora in modulo (-0.832).

Credo vi sia materia per riflettere.

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Nota tecnica

I dati provengono dal database Worldometers rappresentano gli ultimi dati comunicati al 19 aprile 2020. Va tenuto presente che alcuni paesi non comunicano il dato dei tamponi quotidianamente, e altri comunicano il dato dei soggetti testati anziché quello dei test effettuati, due circostanze che comportano entrambe una sottostima della propensione ad effettuare tamponi. Ciò fa sì che la posizione effettiva di alcuni paesi (ma non dell’Italia) potrebbe essere migliore di quella da noi stimata, peggiorando così la posizione relativa dell’Italia.

I paesi inclusi nell’analisi sono costituiti dall’insieme delle società avanzate per le quali erano disponibili dati sulla mortalità e sui tamponi.

L’anzianità epidemica di un paese è definita come il numero di giorni trascorsi dal primo giorno in cui il numero di morti ha superato il livello di 10 per milione di abitanti.

Le classi di propensione sono così definite:

classe 1: oltre 2500 tamponi al giorno per milione di abitanti;
classe 2: fra 1300 e 2500
classe 3: fra 1000 e 1300
classe 4: fra 600 e 1000
classe 5: meno di 600




L’Italia e gli altri. Bollettino Hume sul Covid-19 (2°)

Bollettino bisettimanale sull’andamento dell’epidemia

Continua oggi, venerdì 1° maggio, la pubblicazione dei bollettini della Fondazione David Hume sull’andamento dell’epidemia.
In questo secondo bollettino, che esce a pochissimi giorni dall’avvio della fase 2, ci concentriamo su tre domande:
1) a che punto siamo nel percorso che dovrebbe condurci alla meta di “contagi zero”?
2) qual è la posizione dell’Italia rispetto agli altri paesi?
3) quanto tempo potrebbe essere ancora necessario perché l’obiettivo di contagi-zero venga centrato dal nostro paese?
La risposta alla prima domanda sta tutta in questo istogramma:La valutazione della velocità del contagio è basata sulla mortalità per abitante, l’unico dato relativamente comparabile fra paesi.
Come si vede, siamo ancora al 40%: vuol dire che, fatto 100 il numero di nuovi contagiati del giorno di picco, dobbiamo ancora discendere 40 scalini per arrivare a contagi-zero. Meglio di noi stanno, fra i grandi paesi, Spagna e Francia, peggio di noi stanno la Germania, il Regno Unito, gli Stati Uniti.
Insomma, a prima vista la posizione dell’Italia non sembra troppo cattiva.
I guai cominciano, però, non appena si considerano due elementi. Il primo è l’anzianità epidemica, ossia il numero di giorni da cui è iniziata l’epidemia, che per l’Italia è maggiore che per qualsiasi altro paese (eccetto Cina e Corea del Sud, ovviamente).
Il secondo elemento di preoccupazione è la velocità alla quale scendiamo verso la meta di contagi-zero. La velocità dell’Italia è del 2.9% al giorno, una delle più basse fra i paesi considerati.Peggio di noi fanno Stati Uniti e Regno Unito, meglio di noi Spagna, Francia, ma soprattutto Germania.
Fra i 26 paesi considerati gli unici che paiono relativamente vicini alla meta sono Finlandia, Estonia e Lussemburgo. Essi hanno infatti percorso buona parte della strada che li separa da contagi-zero, e paiono caratterizzati da una velocità di discesa piuttosto elevata.
Quanto tempo è ancora necessario per arrivare a contagi-zero?
Impossibile dirlo, perché non sappiamo la velocità alla quale l’Italia percorrerà l’ultimo tratto di strada. Un elemento di rassicurazione, però, esiste: sia i dati sul numero dei morti sia quelli sul numero di nuovi contagiati si riferiscono ad eventi che sono avvenuti, rispettivamente, circa 3 e 2 settimane prima. Come la luce delle stelle lontane, i morti di oggi ci informano su contagi avvenuti 20-25 giorni fa.
Possiamo solo sperare che, nel frattempo, la corsa verso contagi-zero sia proseguita. Anche se la prudenza suggerirebbe di attendere che sia i decessi giornalieri, sia i nuovi casi diagnosticati, si portino molto vicini a zero.

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Nota tecnica 
I paesi considerati sono tutti quelli in cui:
a) l’epidemia ha varcato la soglia dei 10 morti per milione di abitanti;
b) il picco è già stato superato da almeno 4 giorni.
Il picco è stato calcolato come variazione trigiornaliera della mortalità per abitante.

Leggi il 1° Bollettino Hume sul Covid-19




Tamponi e fakenews di governo: non è vero che l’Italia è il paese che ne fa di più

Grande rilievo ha assegnato il Tg1 di oggi, lunedì 28 aprile, a questa dichiarazione del Commissario Governativo Domenico Arcuri, diffusa attraverso l’Agenzia Nova:

“Per evitare che anche questa diventi materia di dibattiti comunico che l’Italia è il primo paese al mondo per tamponi fatti per numero di abitanti: a ieri erano stati fatti 2.960 tamponi ogni 100 mila aitanti. In Germania 2.474, il 20 per cento in meno; in Inghilterra 1.061, un terzo che in Italia e 560 in Francia, un sesto”.

La notizia comunicata è falsa: sono una decina i paesi che, alla data considerata dal Commissario Arcuri, fanno più tamponi dell’Italia.

Alcuni sono paesi molto piccoli, come Islanda, Lussemburgo, Malta, Cipro, Lituania, Estonia, ma altri – Norvegia, Israele, Portogallo – lo sono assai meno, e comunque sono anch’essi “paesi del mondo”.

Quanto al confronto con la Germania, è basato su un artificio, che sfrutta il fatto che in Germania il numero dei tamponi viene comunicato solo una volta la settimana. Il dato riportato nel comunicato di Arcuri non si riferisce al numero di tamponi della Germania ieri (27 aprile), ma al numero di tamponi comunicato dalla Germania l’ultima volta che ha aggiornato il dato, ovvero più o meno una settimana prima.

Se Italia e Germania vengono confrontate alla medesima data (19 aprile), è la Germania a fare più tamponi, non l’Italia (25.1 ogni mille abitanti la Germania, 22.4 l’Italia). Dunque non è vero che la Germania ne fa “il 20% in meno”, la realtà è che ne fa l’11.9% in più.

Questo per quanto riguarda le cifre nude e crude. Se però vogliamo fare una comparazione sensata, non è certo il numero di tamponi per abitante che dobbiamo confrontare. Per fare un confronto corretto fra due paesi si dovrebbe, come minimo, tenere conto della “anzianità epidemica” del paese. Le cifre da confrontare, in altre parole, non sono quelle dei tamponi totali per abitante, ma dei tamponi al giorno per abitante.

In Italia l’anzianità epidemica è circa il doppio che in Germania.  Se si tiene conto di questo fattore ci si rende conto che la Germania fa più del doppio dei tamponi dell’Italia. Per l’esattezza, fatto 100 il numero di tamponi giornalieri per abitante dell’Italia, la Germania ne fa 241.5.

Sottigliezze statistiche?

Per niente. Il fatto che gli esponenti del governo continuino a vantare un (inesistente) primato dell’Italia nel numero di tamponi è un chiaro segnale della volontà di non aumentarne troppo il numero. E’ come se dicessero: se già ne facciamo più di chiunque altro, perché voi giornalisti (e voi cittadini) continuate a infastidirci con questa faccenda dei tamponi?

Una scelta che, inevitabilmente, non potrà non appesantire il già drammatico bilancio dei morti.

Per un’analisi più sistematica leggi Tamponi. L’Italia ne fa di più degli altri paesi? pubblicato il 16 aprile 2010



A che punto siamo? Bollettino Hume sul Covid-19

Bollettino bisettimanale sull’andamento dell’epidemia

Iniziamo oggi, martedì 28 aprile, la pubblicazione di un bollettino sull’andamento dell’epidemia, che sarà disponibile sul sito della Fondazione Hume ogni martedì e ogni venerdì, di norma entro la mattina.
In questo primo bollettino, che esce a meno di una settimana dall’inizio della fase 2, ci concentriamo su due domande che riteniamo cruciali:
1) a che punto siamo nel percorso che dovrebbe condurci alla meta di “contagi zero”?
2) esiste almeno una regione italiana che è pronta alla ripartenza?
Per rispondere a queste domande in modo rigoroso, dovremmo avere informazioni che purtroppo non abbiamo. Alcune di esse semplicemente non esistono (è il caso del numero effettivo di contagiati in Italia), altre esistono ma sono tenute nascoste dalle autorità (è il caso dei dati sui flussi di ingresso e di uscita dagli ospedali). Dunque dobbiamo tentare una risposta con il poco che passa il convento della Protezione Civile.
Un modo per rispondere alle nostre due domande è di chiederci qual è il punto in cui l’Italia (o una sua regione) oggi si trovano, fatto 100 il numero di morti o di nuovi contagiati toccato nel giorno peggiore dall’inizio dell’epidemia (il cosiddetto giorno di picco): se il contagio è ancora galoppante il valore dell’indice dovrebbe essere prossimo a 100, se si è ridotto e si sta spegnendo il valore dovrebbe essere prossimo a zero.
Ebbene, la risposta per l’Italia nel suo insieme è che il ritmo quotidiano dei decessi ufficiali è il 36.2% del valore di picco, mentre quello dei nuovi contagi registrati è il 26.5%. E’ vero che il primo dato si riferisce a contagi avvenuti circa 3 settimane fa, e il secondo a contagi avvenuti circa 2 settimane fa, e dunque la situazione potrebbe nel frattempo essere migliorata. Ma in entrambi i casi non si tratta certo di dati rassicuranti: per dire che siamo vicini alla meta di “nuovi contagi zero” quei due dati dovrebbero essere molto più vicini a zero di quanto lo siano, specie se si considera quanto a lungo una persona può restare contagiosa dopo aver contratto il virus.
Una buona regola potrebbe essere: aspettiamo almeno fino al momento in cui entrambi questi indici, e soprattutto quello dei decessi (assai più affidabile di quello dei contagiati registrati), siano scesi vicino a zero. Un valore prossimo a zero, infatti, indicherebbe che 2-3 settimane fa il numero di nuovi contagiati era basso, e che presumibilmente la maggior parte dei nuovi contagiati di allora ha cessato di essere contagiosa.
E nelle singole regioni, com’è la situazione?
Estremamente differenziata, a quanto pare. Ci sono regioni (poche, purtroppo) in cui il contagio già 2-3 settimane fa era relativamente vicino a zero: Valle d’Aosta, Umbria, Basilicata, provincia di Bolzano.
E ci sono regioni (quasi tutte grandi) nelle quali la situazione (sempre 2-3 settimane fa) era ancora molto preoccupante sia sul versante dei decessi, sia su quello dei nuovi contagiati: Veneto, Piemonte, Liguria, Toscana.

Colpiscono, in particolare, la situazione del Veneto, in cui i decessi erano al 87.8%, ossia poco al di sotto del picco, e quella del Piemonte, in cui i nuovi contagi erano al 69.2% (valore massimo tra tutte le regioni).
Anche la Liguria desta molta preoccupazione, perché sia il numero di decessi, sia il numero di nuovi contagi, superava il 60%.
Fra le grandi regioni, infine, è il caso di segnalare la posizione della Toscana, che risulta tra le regioni con il numero di nuovi contagi più elevato (5° posto). Quanto alla Lombardia la sua posizione è tuttora preoccupante per il numero di nuovi contagi ma è relativamente rassicurante per quanto riguarda i deceduti.

Che cosa sia accaduto nel frattempo, e come sia la situazione oggi, sfortunatamente non è dato sapere. I dati ufficiali su cui siamo costretti a basarci si comportano come la luce delle stelle: non ci dicono quel che accade nel tempo presente, ma quel che accadeva in un passato più o meno remoto.