Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Negli ultimi due giorni (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 1° novembre) la temperatura dell’epidemia è salita fino a raggiungere 151.5 gradi pseudo-Kelvin (dai 134.1 gradi di venerdì 30 ottobre).

L’aumento dei nuovi casi continua ad essere il fattore principale alla base del peggioramento (+183 mila nuovi contagi nell’ultima settimana; il tasso di positività è pari al 16.3%, un valore simile a quello registrato a fine marzo). L’aumento della temperatura dipende però anche dagli ingressi ospedalieri stimati (in costante crescita da inizio ottobre) e, in misura più lieve, dal cattivo andamento dei decessi (+1.488 nell’ultima settimana).

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +60.4 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Anche oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 29 ottobre) la temperatura dell’epidemia è salita di circa 8 gradi, passando da 115.7 a 124.5 gradi pseudo-Kelvin.

Questo peggioramento è il risultato della stessa dinamica registrata ieri. Il balzo dei nuovi contagi è il fattore principale alla base dell’aumento della temperatura. Pesa però anche la crescita degli ingressi ospedalieri stimati, soprattutto ordinari (le persone ricoverate sono circa 17.000 come all’inizio di maggio). Anche se in misura più lieve, il peggioramento è in parte dovuto alla crescita dei decessi (+1.154 nell’ultima settimana).

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +55.5 gradi, una delle variazioni più alte da inizio.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 28 ottobre) la temperatura dell’epidemia è salita di ben 8.3 gradi, passando da 107.4 a 115.7 gradi pseudo-Kelvin.

Il forte aumento dei contagi (+140 mila nell’ultima settimana rispetto ai circa 77 mila della settimana precedente) continua ad essere il fattore principale alla base del peggioramento. Significativa però è anche la crescita degli ingressi ospedalieri stimati, soprattutto ordinari. L’aumento della temperatura risente, anche se in misura più lieve, del cattivo andamento dei decessi (sono raddoppiati rispetto a sette giorni fa).

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +52.6 gradi, una delle variazioni più alte da inizio.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 27 ottobre) la temperatura dell’epidemia ha oltrepassato soglia 100, e ciò significa che abbiamo superato, come gravità, il picco toccato fra marzo e aprile. Il termometro di oggi segna 107.4 gradi pseudo-Kelvin ed è in aumento di ben 9.3 gradi.

Questo peggioramento dipende soprattutto dal forte incremento dei nuovi contagi (+130 mila nell’ultima settimana rispetto ai circa 67 mila della settimana precedente). Pesa però anche l’aumento degli ingressi ospedalieri stimati (i pazienti ricoverati sono arrivati oggi a quota 15.000; a inizio ottobre erano circa 3.000) e dei decessi (più che raddoppiati rispetto a sette giorni fa).

L’aumento settimanale della temperatura è pari a +50.8 gradi, una delle variazioni più alte da inizio.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Covid: Conte dovrebbe chiederci scusa

Dunque, dopo un paio di settimane di tentennamenti, e avendo cura di lascarci divertire ancora un po’ nell’ultimo week-end (come a Ferragosto, quando lasciarono sciaguratamente aperte le discoteche), i nostri governanti si sono decisi: sarà semi-lockdown, semi-coprifuoco, semi-chiusura. A pagare il prezzo più salato saranno, per ora, soprattutto ristoratori, esercenti, gestori di palestre, cinema, teatri. I quali giustamente si chiedono: come si fa a tollerare che lo Stato pretenda da noi di accollarci ogni sorta di onere per far rispettare le regole, e quando invece il padrone è lo Stato, come avviene con treni, bus, voli Alitalia, il datore di lavoro pubblico non faccia nulla per farle rispettare, quelle benedette regole? Come è possibile che, mentre noi facevamo i salti mortali per adeguare i nostri locali ai protocolli di sicurezza, lo Stato tollerasse gli assembramenti per strada, dove è lui il padrone di casa?

Questa reazione è perfettamente giustificata, anche se non lo è la conseguenza che se ne trae, e cioè che – quindi – si debba tenere tutto aperto.

La realtà è ben più amara di come la percepiscono le categorie colpite dalle restrizioni imposte dal governo. Ridotta all’osso, la situazione a me pare questa.

Le chiusure sono ancora una volta tardive e insufficienti, se le commisuriamo all’entità del problema che la latitanza dei poteri pubblici, e innanzitutto del governo, ha fatto montare nello sciagurato trimestre estivo. La seconda ondata è il frutto, prevedibile e previsto, delle omissioni dei mesi scorsi sui versanti cruciali: aumento dei tamponi e dei drive-in, creazione di una task force per il tracciamento dei contatti, controllo degli assembramenti, assunzioni di personale sanitario, rafforzamento delle terapie intensive, aumento della flotta dei mezzi di trasporto, organizzazione della sorveglianza sanitaria nelle scuole, riduzione del numero di alunni per classe, scaglionamento degli orari di ingresso nelle scuole. Anziché fare queste cose, ci hanno raccontato che tutto il mondo ammirava il modello italiano di contrasto dell’epidemia.

Non avendole fatte, la seconda ondata ha avuto la strada spianata. C’è chi ha avvertito del pericolo a maggio, chi a giugno, chi a luglio, ma a partire dalla metà di agosto non si poteva non capire, perché tutti gli indicatori (ripeto: tutti gli indicatori) dicevano che la curva non cresceva più linearmente, ma esponenzialmente.  E’ questo non voler vedere che ci ha portati, oggi, a dover fronteggiare un’onda molto alta e pericolosa. Ed è questo il motivo per cui siamo chiamati a nuovi sacrifici, anche se per ora preferiscono non dirci quali, quanto grandi, e soprattutto quanto lunghi. Ma la risposta è semplice: i sacrifici saranno tanto più grandi e tanto più lunghi quanto più il governo continuerà a temporeggiare, rimandando misure che già sa che dovrà prendere.

Sono pronti, gli italiani, a una nuova stagione di sacrifici?

Io penso di no, in parte per cattive ragioni, in parte per ottime ragioni.

Le cattive ragioni si riducono ad una: la nostra società, nonostante sacche di povertà e di malessere, somiglia ormai più a un luna park che a una fabbrica. Novantacinque genitori su 100 mai avrebbero osato dire ai propri figli che era meglio, per un’estate, rinunciare ai divertimenti di massa e passare ad occupazioni meno pericolose o più utili, ad esempio vedere pochi amici, fare sport all’aperto, recuperare il tempo di studio perduto durante il lockdown. Ma anche a noi, che adolescenti non siamo più, sarebbe risultato molto doloroso non essere liberi di passare le vacanze all’estero, o dover osservare scrupolosamente le regole di prudenza, a partire dall’uso della mascherina e dal rispetto del distanziamento. Insomma, la maggior parte degli italiani ha pensato e pensa di aver fatto già sufficienti rinunce nel lockdown di marzo-aprile, e che non sia proprio il caso di farne altre. Queste sono le cattive ragioni, perché una società che ha perso la capacità di affrontare sacrifici per il bene comune è semplicemente una società in decadenza, anche se preferisce descriversi in registri più indulgenti.

Ma nella resistenza a fare nuovi sacrifici ci sono anche buone ragioni. Ottime ragioni. Che io ridurrei a una: il premier Conte non ci ha chiesto scusa. Si è presentato come di consueto in tv, per dirci che la situazione era grave, e che dovevamo di nuovo fare sacrifici.

Eh no, caro premier, noi avremmo voluto sentire un altro discorso, un discorso di verità e di umiltà. Un discorso che suonasse più o meno così.

“Cari italiani, è vero, in questi mesi, nonostante i pieni poteri che ci siamo presi proclamando lo “stato di emergenza”, non abbiamo fatto, a, b, c, d, e, f, … (qui lungo elenco), né abbiamo davvero preteso che voi faceste quello che vi avevamo prescritto, tipo niente movida, niente assembramenti sui mezzi pubblici, rispetto rigoroso del distanziamento. Un po’ abbiamo chiuso un occhio per risarcirvi dei due mesi di lockdown, un po’ abbiamo latitato perché siamo litigiosi, disorganizzati, e tendiamo a rimandare le decisioni difficili.

Però ora che l’epidemia ha rialzato la testa la lezione l’abbiamo capita. Abbiamo capito che aveva ragione il professor Crisanti quando, a luglio, ci diceva che 300 positivi al giorno non sono pochi. E aveva ancora più ragione quando, ad agosto, più di due mesi fa, ci consegnava un piano per aumentare i tamponi e costruire un vero sistema di sorveglianza attiva dell’epidemia. E avevano pure ragione quanti ci avvertivano che le scuole non erano pronte per riaprire, nonostante una raffica di banchi a rotelle in arrivo.

Ecco perché, nel momento in cui vi chiediamo i primi sacrifici, cui fra poco ne seguiranno altri, vi promettiamo anche che quegli errori non li faremo più. Ecco il nostro cronoprogramma, con le cose che faremo, gli stanziamenti, i tempi entro i quali vi garantiamo che le cose saranno fatte (segue lungo e dettagliato elenco di cose non fatte, ma che verranno fatte nei prossimi 3 mesi).

Perché sappiamo bene, ora ci è chiaro, che se non faremo tutte queste cose l’epidemia, dopo i vostri nuovi sacrifici, sembrerà in ritirata per qualche settimana o mese, ma poi si ripresenterà implacabilmente con una terza ondata”.

Noi, queste parole non le abbiamo ancora sentite. Noi questo programma non lo abbiamo ancora visto. E lo vorremmo. Subito. Se non lo vedremo, i sacrifici li faremo di nuovo, come sempre, ma non riusciremo a toglierci il dubbio che, ancora una volta, saranno inutili.

Pubblicato su Il Messaggero del 27 ottobre 2020